Intervista al campione di rugby Lorenzo Cirri

Lorenzo Cirri, nativo di Prato,52 anni , è un insegnante di Storia e Filosofia, ma è anche un allenatore della FIR acronimo per Federazione Italiana Rugby nella specialità a 15 femminile e nel Rugby Seven compreso il settore femminile. Attualmente allena I Cavalieri Rugby Union a U18 (a Prato).
Il settore femminile per un gioco come il rugby sembrerebbe un paradosso, invece Lorenzo Cirri è un convinto assertore della possibilità della crescita del rugby femminile sia dal punto di vista nazionale con la presenza dell’Italia femminile nel 6 nazioni come Francia, Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda, e sia per lo sviluppo di un campionato nazionale femminile che possa fare emergere a livello mondiale le nostre migliori giocatrici.
Sul rugby femminile abbiamo impostato la nostra intervista che qui riportiamo
Se si esclude la pallavolo e in parte il basket, in Italia non c’è grande cultura di sport di squadra femminile. Il rugby femminile italiano potrebbe smentire simili pregiudizi?
Il fatto che in Italia non ci sia una grande cultura sportiva in generale, non è un mistero. I pregiudizi legati alla fisicità delle giocatrici così come al loro orientamento sessuale sono elementi trasversali in tutte le discipline di squadra ad esclusione della pallavolo, che beneficia anche del fatto di essere quasi l’unico sport praticato dalle ragazze all’interno della scuola. Il rugby femminile italiano sta dimostrando di poter essere un ottimo strumento per abbattere i pregiudizi tradizionali che, a volte, confinano l’immaginario collettivo degli sport femminili limitandolo alla pallavolo o ad altre discipline considerate prettamente femminili come la danza o la ginnastica. Il rugby è una grande vetrina per il talento e la determinazione delle atlete, ma anche un esempio tangibile di come un ambiente sportivo possa andare oltre stereotipi che associano “forza” e “contatto” in maniera esclusivamente maschile.
Progetti e iniziative, come quello promosso dalla Federazione Italiana Rugby con il programma “Woman in Rugby”, hanno l’obiettivo di evidenziare come il rugby non sia soltanto uno sport di contatto, ma anche una palestra per la crescita personale, l’inclusione e lo sviluppo di capacità di leadership. Attraverso campagne educative e attività rivolte alle scuole, queste iniziative mostrano concretamente che il rugby femminile si fonda su valori universali, capaci di superare i preconcetti legati al genere e di ridefinire cosa significhi fare sport in squadra.
Molte atlete e dirigenti sportive, intervistate su piattaforme specializzate, sottolineano come il rugby offra una via di emancipazione, favorendo lo sviluppo di una forza mentale e di una resilienza che vanno ben oltre la mera preparazione fisica, invitando le donne a riscoprire il proprio potenziale in contesti tradizionalmente considerati “maschili”. Così, il rugby si propone non solo di essere un’alternativa valida e innovativa all’interno del panorama sportivo per le ragazze, ma anche un veicolo per trasformare la cultura dello sport di squadra in Italia, rendendola più inclusiva e variegata.
In sostanza, mentre il pregiudizio che in Italia persiste in numerosi ambienti sugli sport di squadra femminili, non ultimo quello del rugby stesso, il rugby giocato dalle ragazze sta costituendo un contraltare positivo, dimostrando che la passione, la dedizione e il supporto del gruppo sono valori universali che possono e devono essere evidenziati in ogni campo sportivo, sfidando e superando i limiti imposti da vecchi stereotipi. La strada è ancora molto lunga e tutt’altro che semplice, ma continuando a lavorarci sono sicuro che nei prossimi anni cominceremo a vedere dei risultati tangibili in proposito.
Lorenzo Cirri
Chi sono le squadre femminili più forti del mondo e in cosa si caratterizzano?
Le squadre che si distinguono oggi nel panorama mondiale del rugby femminile sono quelle che hanno saputo coniugare tradizione, innovazione tattica e grande preparazione atletica, dando vita a stili di gioco unici e altamente competitivi. In particolare, fra le più forti troviamo:
Innanzitutto la Nuova Zelanda (Black Ferns) Le Black Ferns sono un riferimento assoluto, avendo vinto sei edizioni della Coppa del Mondo femminile. Il loro gioco si caratterizza per una combinazione superba di tecnica, velocità e capacità di lettura del gioco. Solitamente la Nuova Zelanda ha un approccio offensivo dinamico e fluido, capace di sfruttare le transizioni in maniera eccellente. Anche la difesa è solida e organizzata. La loro capacità di adattarsi e reinventarsi in campo, unitamente a una struttura di sviluppo giovanile consolidata con grande diffusione del rugby (femminile) all’interno della scuola e l’investimento sul rugby 7s che ne fa una delle potenze in quel tipo di gioco, rendono la Nuova Zelanda un vero e proprio esempio di eccellenza ovale. Po la formazione dell’Inghilterra (Red Roses) Quando parliamo di qualità ovale in assoluto per scrivere una pagina storica del loro rugby. In particolare la partita col Sudafrica sarà molto difficile dal punto di vista fisico. Questo mondiale rappresenta un punto di svolta per il rugby italiano, se le Azzurre riusciranno a contenere lo strapotere fisico delle avversare, essere efficaci in difesa e nel breakdown e sfruttare al meglio le opportunità nelle fasi d’attacco, potrebbero non solo ottenere punti preziosi nel girone e qualificarsi alla fase successiva, ma anche gettare le basi per ulteriori imprese nelle fasi ad eliminazione diretta.
Come vedi l’attuale Commissario Tecnico Roselli al posto del suo predecessore Di Giandomenico?
Ogni coach ha lasciato la propria impronta: Di Giandomenico ha posto le basi, contribuendo a diffondere la cultura del rugby e a far crescere una mentalità competitiva creando un gruppo che si è riconosciuto nella sua idea del gioco acquisendo la propria identità. Raineri ha tentato di strutturare ulteriormente il gioco, puntando su una maggiore organizzazione nelle fasi statiche e tentando di introdurre nuovi schemi tattici, sebbene con risultati altalenanti, soprattutto in vista di un contesto internazionale sempre più esigente in termini di consistenza fisica è abilità tattica.
L’arrivo di Fabio Roselli è stato accolto con grande interesse dalle ragazze e rappresenta una scommessa sul consolidamento e sulla definizione di un’identità tattica chiara. Roselli, che ha maturato un’esperienza di rilievo con le Zebre, punta a sfruttare la dinamicità della squadra e a enfatizzare aspetti come il recupero dei palloni e il gioco al piede, cercando di trovare il giusto equilibrio tra la fase difensiva e l’attività d’attacco. L’obiettivo è duplice: essere competitivi nel breve termine nel Sei Nazioni, e preparare al meglio la squadra in vista della Coppa del Mondo del 2025. Questo cambio, dunque, non si configura come una rottura, ma come un processo evolutivo che intende valorizzare le qualità delle atlete e correggere precedenti criticità, con la speranza di impiegare al meglio tutto il potenziale del rugby femminile italiano.
Ci sono giovani emergenti a potere indossare degnamente la maglia della nazionale?
Assolutamente sì. La nazionale italiana femminile sta puntando sempre più sul connubio tra esperienza e gioventù, facendo della valorizzazione dei talenti emergenti uno dei dei tratti distintivi della gestione Roselli, come abbiamo visto nelle prime partite di questo 6 Nazioni. Giocatrici che hanno già esordito come Alia Bitonci, Vittoria Zanette o Desiree Spinelli o giovani talenti che si sono messe in mostra nella recente Series U20 come Margherita Tonellotto o Martina Busana, sono destinante a diventare la spina dorsale della squadra Azzurra nel prossimo futuro, segno che il settore giovanile offre spunti promettenti per alimentare la rosa della nazionale. Anche nelle squadre Under 18, si osserva un flusso costante di atlete preparate a salire gradualmente nella rosa maggiore, grazie a percorsi ben strutturati che puntano su tecnica, agilità e visione di gioco. Questo approccio, che integra giovani emergenti con la leadership delle veterane, non solo arricchisce il bagaglio tecnico-tattico della squadra, ma rafforza anche lo spirito di gruppo e la capacità di affrontare al meglio lo sviluppo del rugby femminile a livello internazionale. La fiducia riposta in questi giovani talenti fa sperare in una generazione capace di portare la maglia azzurra con orgoglio e determinazione nei prossimi anni.
Cosa dovrebbe fare la Fir e il suo Presidente Duodo per lanciare ad alti livelli il rugby italico?
Per sviluppare il rugby femminile italiano ed arrivare ad un livello di qualità elevato, la FIR dovrebbe concentrarsi su due assi portanti: la professionalizzazione strutturata e la valorizzazione del movimento di base. Un ulteriore passo decisivo è rappresentato dall’investimento reale nella formazione e nel sostegno alle atlete sin dalla base. Questo implica potenziare le scuole di rugby e i programmi di sviluppo giovanile, creando itinerari chiari che permettano alle atlete di crescere e di arrivare gradualmente alla nazionale
con un percorso di Elite chiaro e ben strutturato. Parallelamente, una strategia di comunicazione efficace, con campagne di marketing e collaborazione con sponsor e media, potrebbe aumentare la visibilità del rugby femminile, attirando nuovi talenti e risorse. L’adozione di pratiche innovative, anche ispirandosi a esperienze internazionali, potrebbe infine dare impulso alla competitività della nazionale italiana in ambito globale.
Per elevare il livello competitivo, è indispensabile che le atlete possano accedere a condizioni contrattuali e operative simili a quelle delle realtà di riferimento (Inghilterra, Francia, Nuova Zelanda). Questo implica assegnare budget specifici per la formazione tecnica, l’assunzione di preparatori atletici qualificati e il miglioramento delle strutture di allenamento e degli impianti sportivi. Un campionato di maggior livello economico e organizzativo, che attiri sponsor e investimenti, potrà offrire condizioni migliori per una preparazione all’altezza delle sfide internazionali. Credo altresì che sia necessario “obbligare” i club a sviluppare i settori femminili partendo dalle U14, come accaduto in Francia e Inghilterra.
Zebre e le Benetton potranno fungere da Pigmalione per il rugby femminile?
Zebre e Benetton potrebbero assumere un ruolo strategico per il futuro del rugby femminile in Italia. Con la nascita delle franchigie femminili a partire dal 2024, si è voluta creare una piattaforma in cui le migliori atlete, provenienti sia dalla Serie A Élite che dalla Serie A, possano confrontarsi e crescere a livello internazionale. Questo progetto, sviluppato in sinergia con la Federazione Italiana Rugby e in collaborazione con partner esterni come la federazione spagnola e con il sostegno di World Rugby, è studiato per fornire continuità competitiva e un ambiente di alto livello, giusto per alimentare il sistema di formazione e di eccellenza del rugby femminile italiano.
Inoltre, sfruttando l’esperienza decennale accumulata nelle competizioni internazionali d’élite (come lo United Rugby Championship), Zebre e Benetton mettono a disposizione infrastrutture e competenze tecniche. Questi poli di sviluppo permetteranno alle atlete di incrementare il numero di impegni internazionali attraverso tornei e match di confronto (come la Latin Cup), incrementando così la preparazione tecnica, tattica e psicologica necessaria per competere su palcoscenici mondiali. Tutto questo però deve essere parte di un progetto più ampio che richiede anche finanziamenti consistenti che al momento non sembrano essere previsti all’orizzonte, vista la politica di spending review che al momento sembra essere il leit motive della politica federale.
In sintesi, se le franchigie sviluppate da Zebre e Benetton riuscissero a integrare la crescita del settore giovanile femminile, la professionalizzazione delle atlete e l’espansione della visibilità mediatica, potrebbero avere un impatto decisivo nel potenziare il livello del rugby femminile italiano, fungendo da catalizzatori per la formazione di un sistema sempre più competitivo e sostenibile. Tutto sta alla volontà di volerlo fare.