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Giornalisti e non teppisti da tastiera. Una certa deriva del giornalismo dei nostri tempi (e non solo)

C’è una razza di giornalisti che, a ogni generazione, emerge dalle redazioni come una nebbia molesta, pronta a insinuarsi ovunque ci sia la possibilità di urlare più forte del buon senso. Questi scribacchini senza scrupoli, il cui mestiere è più vicino al mestiere di guastafeste che a quello di cercatori di verità, non guardano in faccia nessuno. E a dirlo non sono solo io, ma la storia del giornalismo, che di cialtroni ne ha sempre conosciuti troppi.

“Un giornalista è uno storico del presente,” diceva Indro Montanelli. Ma che dire di chi trasforma la cronaca in un teatrino grottesco, riducendo fatti e persone a marionette mosse da titoli sensazionalistici? Costoro non servono la verità, ma il mercato delle emozioni: più lacrime, più scandalo, più clic.
Il giornalista senza scrupoli non è mai interessato a verificare, ma solo a vendere. Sventola la penna come un’arma, non per fare luce, ma per gettare ombra. Non si preoccupa delle conseguenze, delle vite rovinate da una notizia sparata senza filtri o da un’opinione mascherata da fatto. Sono contenti quando diffamano e rovinano la reputazione di qualcuno, sfogano il loro astio e la loro invidia sulla tastiera del PC.
“Non c’è peggior tradimento che mentire al lettore,” ammoniva Montanelli. Eppure, il cialtrone del XXI secolo non si considera un traditore: si vede come un innovatore. “Stiamo reinventando il giornalismo,” dicono, mentre smantellano il rigore della professione per erigere un altare al dio della viralità.
Non si salva nessuno dalla loro furia mediatica. Politici, artisti, uomini comuni, gli stessi loro colleghi: tutti sono bersagli. Non importa che il bersaglio sia innocente o colpevole, purché faccia notizia. “Scrivere per distruggere qualcuno è facile,” ricordava Enzo Biagi, “ma il nostro lavoro è costruire conoscenza, non rovine.”
Eppure, ciò che li rende pericolosi è che il loro pubblico li applaude. La gente ama lo scandalo più della verità. E i cialtroni lo sanno bene: “Date alla folla ciò che vuole, non ciò che le serve” è il loro motto non dichiarato.
Ma ogni tanto, in mezzo a questo mare di mediocrità, emerge una voce che dice basta. “Un giornalista senza etica è un mercenario,” scriveva Montanelli. E forse è ora di tornare a ricordare che il nostro mestiere non è un circo, ma un servizio.
È ora di chiedersi: che giornalisti vogliamo essere? Quelli che cercano la verità, o quelli che la vendono al miglior offerente? Perché, alla fine, la differenza tra un cronista e un cialtrone è tutta qui: uno serve la verità, l’altro si serve di essa.

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Davide Romano (Palermo, 1971), giornalista di lungo corso, è impegnato nel volontariato e negli studi religiosi ed ecumenici. Ha studiato teologia in istituzioni italiane e internazionali, collaborando con testate come “Avvenimenti”, “La Repubblica”, “L’Ora”, “Il Giornale di Sicilia” e “Jesus”. Fondatore di “Nuovo Mezzogiorno” e “Forum 98”, è autore e curatore di numerosi libri. Ha creato la comunità cristiana “La Compagnia del Vangelo” e ne gestisce il relativo blog oltre diverse pagine social.

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