Il “delitto eccellente” di Emanuele Notarbartolo, torbido intreccio tra mafia e politica

Alle origini del potere mafioso in Sicilia vi sono numerosi “delitti eccellenti”. Il primo grave fatto di sangue in cui la mafia mostrò il suo dominio fu in occasione dell’omicidio del marchese Emanuele Notarbartolo, che dirigeva il Banco di Sicilia. Il banchiere e politico nacque in una famiglia di nobili origini, il nonno Francesco Paolo era principe di Sciara e rimase orfano di entrambi i genitori di entrambi i genitori, don Leopoldo e donna Teresa Vanni.
Nel 1857 si trasferì a Parigi e ,poi, andò in Inghilterra dove ebbe contatti con Michele Amari e Mariano Stabile, esuli politici siciliani che ne condizioneranno la formazione influenzando il suo impegno futuro. Si arruolò nel 1859 nell’armata sarda e successivamente nel 1860 aderì all’impresa dei Mille al seguito di Giuseppe Garibaldi partecipando anche alla battaglia di Milazzo e assumendo la carica di Ufficiale nel regio esercito dei Savoia.
Studiò in profondità la storia e l’economia divenendo un fautore del liberalismo di stampo conservatore e aderendo alle posizioni della Destra storica. Iniziò un’intensa carriera politica e nel 1865 ricoprì la carica di Assessore alla Polizia Urbana a Palermo con il sindaco Antonio Starabba, marchese di Rudinì. Nel 1866 vi su un’insurrezione e delle rivolte della popolazione e gli effetti furono negativi per l’intera classe dirigente che venne travolta. In questo fu un periodo in cui Notarbartolo si allontanò dalla politica. Però questo stato di cose durò poco, il marchese tra il 1870 al 1873 fu incaricato di guidare l’Ospedale. Il 26 ottobre 1873 ottenne un’elezione a Sindaco di Palermo rimanendo in carica sino al 30 settembre 1876. Da ricordare durante la sua sindacatura apprezzabili interventi in vari settori, soprattutto nell’ambito urbanistico dove si distinse per essere stato uno dei principali promotori del Teatro Massimo e il suo impegno costante per debellare il grave problema della corruzione alle dogane.
In virtù di queste sue doti Emanuele Notarbartolo divenne prima reggente, nominato dal governo Minghetti, del Banco di Sicilia, per assumere dopo la carica di titolare, compito al quale si dedicò con totale passione e grande competenza dal 1876 cercando di riorganizzare il sistema bancario al punto che salvò la Banca dal possibile fallimento evitando in tal modo il totale collasso della debole economia siciliana. Tuttavia il suo lavoro nell’Istituto diede fastidio a molte persone tra cui alcuni politici in vista legati alla mafia locale che facevano parte del Consiglio della Banca.
Uno dei principali obiettivi raggiunti dal marchese fu la creazione di una rete capillare di agenzie operando anche una restrizione sulle erogazioni di credito, che venivano effettuate senza garanzie reali e sulla base di interessi clientelari. In tal modo ben presto si mise contro gli interessi di molti speculatori. Durante il governo della Sinistra storica di Agostino Depretis entrarono nell’organo direttivo della Banca delle personalità che si opposero recisamente all’azione di Notarbartolo. Il principale avversario era il parlamentare Raffaele Palizzolo continuo e colluso con la mafia locale da anni e sempre al centro di torbide e spregiudicate speculazioni che crearono scontri piuttosto duri con Notarbartolo.

Per il marchese cominciarono le persecuzioni, le minacce e nel 1882 fu persino sequestrato per un breve periodo mentre si trovava nelle sue proprietà a Caccamo. Il maggiore sospettato di avere ordinato quest’atto fu proprio Palizzolo e il marchese fu costretto a pagare un riscatto di 50.000 lire per essere liberato. Notarbartolo denunciò le operazioni bancarie poco trasparenti inviando due lettere al Ministro dell’Agricoltura e del Commercio ,Luigi Miceli. Tali missive che però scomparvero essendo state trafugate dal tavolo del ministro mentre finirono misteriosamente nelle mani di Palizzolo, che le fece vedere agli altri consiglieri d’amministrazione. Notarbartolo venne sfiduciato e il Presidente del Consiglio Francesco Crispi lo estromesse dalla direzione del Banco nel febbraio 1890. Il governo nominò quindi il Duca Giulio Benso Della Verdura, fedelissimo di Francesco Crispi nonché azionista della Navigazione Generale Italiana come d’altronde lo era Palizzolo. E così il nuovo presidente iniziò una stagione di operazioni finanziarie assai spericolate, che vennero scoperte in seguito ad un’ispezione del Ministero del Tesoro, forse avviata anche per le denunce di Notarbartolo e tutto ciò avvenne nello stesso periodo dello scandalo nazionale della Banca Romana. Dopo le dimissioni di Crispi vi furono i governi Di Rudinì e Giolitti e si vociferò di una nuova nomina di Notarbartolo alla direzione del Banco, che però non si verificò proprio per il drammatico omicidio del marchese. Il marchese trovò ad attenderlo la morte violenta per mano mafioso il primo di Febbraio del 1893 ,quando stava percorrendo in treno la tratta tra Termini Imerese e Trabia e fu ucciso con 27 colpi di pugnale da Matteo Filippello e Giuseppe Fontana, entrambi appartenenti alla mafia di Villabate. I mafiosi non si limitarono ad pugnalarlo selvaggiamente, ma gettarono il cadavere dalla carrozza all’altezza del ponte Curreri, in una zona agricola di Trabia. Nelle prime indagini emerse chiara la complicità di due ferrovieri che furono rinviati a giudizio in quanto ritenuti complici degli assassini. Durante il processo svoltosi nel 1889 a Milano per legittima suspicione il figlio del marchese Leopoldo Notarbartolo lanciò pesanti accuse nei confronti dell’on. Raffaele Palizzolo di essere il mandate dell’omicidio del padre. Ci fu un’indignazione generale e la Camera dei Deputati nel 1899 concesse all’unanimità l’autorizzazione a procedere contro il deputato quale mandante del delitto, il quale venne arrestato insieme a Giuseppe Fontana dal Questore Ermanno Sangiorgi. Fontana era latitante nelle proprietà del Principe Pietro Mirto Seggio dove lavorava come campiere. Bisogna anche riconoscere che ,Luigi Pelloux, Presidente del Consiglio, fece anche una forte pressione per giungere a quest’esito.
Il caso ebbe una vasta risonanza nazionale proprio per la notorietà del Marchese Notarbartolo e si mise al centro la situazione della mafia in Sicilia Questo caso avrebbe acceso un importante dibattito sulla situazione della mafia in Sicilia e in Italia e, soprattutto, sulla collusione tra mafia e politica. Il processo si aprì nel 1900 presso la Corte d’Assise di Bologna e furono convocati a deporre ben 503 testimoni e tra l’altro anche ex ministri, deputati senatori, prefetti e questori e funzionari di Pubblica Sicurezza. Tutte le udienze furono seguite con attenzione dai corrispondenti delle principali giornali nazionali. Per la prima volta l’opinione pubblica sentiva parlava apertamente di delitto di mafia , delle connivenze politiche e dei tentativi di depistare le indagini. Ci furono prese di posizioni pubbliche dei deputati Napoleone Colajanni e Giuseppe De Felice Giuffrida che denunciarono le circostanze che puntavano a deviare l’inchiesta e i condizionamenti dell’intero processo.

Nel Luglio del 1902 si giunse alla condanna di Palazzolo e Fontana a 30 anni di carcere, tuttavia la Cassazione annullò la sentenza per vizi di forma. Si arrivò persino a costituire un “Comitato Pro-Sicilia”, cui aderirono intellettuali, scrittori tra cui Giuseppe Pitrè e Federico De Roberto. Tale movimento mirò a difendere l’immagine dell’isola offesa, diffamata e vilipesa dalle accuse emerse nel processo, negando addirittura l’esistenza della mafia, valutata dai firmatari un’invenzione dei settentrionali. Si tenne un nuovo processo a Firenze in cui venne convocato il testimone chiave Matteo Filippello,sicario della mafia, che decise di confessare il delitto e ad accusare Fontana e Palizzolo. Ma il pentito ante litteram Filippello venne trovato impiccato prima di testimoniare probabilmente “suicidato” in carcere. Il processo si chiuse definitivamente nel luglio del 1904 con l’assoluzione per insufficienza di prove, di Palizzolo e Fontana. Un mirabile romanzo storico che descrive in modo mirabile la psicologia dei personaggi e i vari passaggi dell’intricato caso Notarbartolo è “Il cigno” dello scrittore Sebastiano Vassalli.