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Don Giorgio Gennaro ucciso nel 1916 per la sua omelia contro la mafia di Ciaculli

La mafia nel passato ha ucciso anche preti e l’omicidio di Don Giorgio Gennaro lo conferma. Il prelato venne assassinato  il 16 Febbraio 1916 a Palermo e va ricordato come tra le prime vittime della mafia nel mondo ecclesiastico. Don Giorgio era un parroco che svolgeva la sua missione religiosa e spirituale nella borgata palermitana di Ciaculli. Ci sono poche notizie e informazioni su questo fatto di sangue. Si è persa la memoria e esistono poche informazioni su un omicidio gravissimo consumato a danno di un sacerdote. Il suo nome è seppellito nel dimenticatoio della storia. Ogni tanto qualcuno si ricorda di questo povero prete ammazzato. Don Giorgio invece va ricordato essendo di quei preti coraggiosi e retti che non rinunciava alla verità e alla giustizia.

 A quei tempi l’assassinio di un prete faceva ancora più scalpore e scandalo  e dopo la drammatica morte don Gennaro subì persino l’onta delle calunnie. Si diffusero ad arte le menzogne più disparate con un depistaggio ante litteram  in cui si  fecero circolare la voce  falsa che si trattasse di un delitto passionale e, quindi , fosse solo una vendetta privata.
Subito dopo l’assassinio si fanno mille supposizioni e si getta fango  sulla figura di un uomo che senza dubbio  ebbe la colpa di schierarsi contro i potenti mafiosi. Invece si arrivò a dire che Don Giorgio fu ucciso per questioni di gelosia da un marito geloso.

 Mentre in realtà il prete aveva denunciato le infiltrazioni mafiose nell’amministrazione delle casse rurali, nelle rendite ecclesiastiche e nei fondi destinati alla beneficenza. Don Giorgio muore per qualcosa che aveva detto durante una predica domenicale svelando gli intrighi affaristici e le ingerenze mafiose nell’amministrazione delle rendite ecclesiastiche.

 Dopo la sua uccisione avvenne la classica messinscena mafiosa che manipola e mistifica la realtà e il destino volle che un ruolo fondamentale nell’organizzazione dei funerali fu rivestito dai Greco, boss e ricchi proprietari terrieri, che non solo erano eminenti componenti della locale confraternita religiosa, ma quasi sicuramente erano i mandanti dell’omicidio. Don Gennaro era un sacerdote onesto e coraggioso e la sua fine terrena fu decisa dalla mafia di questa borgata a quel tempo dominata dalla famiglia Greco e ad ucciderlo furono due persone provenienti da quel contesto mafioso.

Il movente sembra essere stato appunto l’omelia che Don Giorgio fece una domenica quando avrebbe denunciato il fatto che l’organizzazione malavitosa si immischiava nell’amministrazione ecclesiale e la  sua colpa fu quella di avere osato denunciare con un attacco diretto la famiglia mafiosa davanti a tutti i fedeli convenuti alla messa.

I mafiosi si sono sempre professati dei credenti e hanno sempre evitato di uccidere gli uomini di chiese, però l’attacco del sacerdote in luogo pubblico è un errore cha andava lavato con il sangue. Don Giorgio Gennaro ebbe coraggio inconsueto per quell’epoca e risulta essere stato uno dei primi sacerdoti uccisi dalla Mafia. Purtroppo non è ricordato abbastanza anche perché il fatto è avvenuto oltre un secolo fa ,quindi, sembra caduto nell’oblio. Invece va trasmesso come un esempio raro e unico a quei tempi quando anche la Chiesa conviveva con la mafia senza alzare la testa e ribellarsi a questo dominio del territorio. Infatti i legami tra la mafia e la Chiesa cattolica sono stati contraddistinti più da ombre che da luci. Allora la storia di Giorgio risalta ancora di più e il delitto maturò con un esecuzione de “l’Alta Maffia” dei Ciaculli, che era rappresentata  da Salvatore e Giuseppe Greco (detti rispettivamente “Cicchiteddu” e “Scarpuzzedda”). I mafiosi professano da sempre una fede ipocrita che viene smascherata in modo evidente dall’uso della violenza e dell’intimidazione per convincere coloro che non si sottomettano ai loro voleri. L’onta subita da un prete che li chiama in causa non viene perdonata dal tribunale della morte di Cosa nostra. Giovanni Paolo II nel 1993, dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, ad Agrigento lanciò un’ anatema contro i mafiosi invitandoli a convertirsi . Questo suo messaggio ebbe un effetto dirompente nell’universo mafioso. Nel 2014 è  stato Papa Francesco che ha esplicitamente scomunicato tutti quelli che fanno parte della mafia e il processo di allontanamento della chiesa dalle organizzazioni criminali è divenuto irreversibile.

Dopo l’esempio di Don Giorgio Gennaro  vi sono stati altri  sacerdoti che hanno condannato la presenza mafiosa nelle loro comunità uscendo pubblicamente allo scoperto . In tal modo bisogna rammentare Don Pino Puglisi a  Brancaccio ,il quale faceva perdere consenso a Cosa Nostra e che venne ucciso il 15 settembre 1993. La stessa sorte toccò a Don Peppe Diana assassinato a Casal di Principe il 19 marzo del 1994 . Quest’ultimo prete si impegnò in prima linea contro la camorra redigendo un manifesto pubblico con i criminali dal titolo emblematico “Per amore del mio popolo non tacerò”. Mentre nel passato i boss mafiosi si contornavano anche di preti che celebravano le messe nei covi dei latitanti, oppure a quelli che consentivano o tolleravano l’inchino dei santi e delle  Madonne sotto le case dei  boss. Era ancora un modo per ribadire una concezione della religiosità primitiva, ancestrale e antica in cui si riaffermava che anche i mafiosi erano  fedeli da accogliere poiché una cosa sono i peccati che vanno sempre perdonati e una cosa erano i reati di cui la Chiesa non teneva conto.  

Le cosche hanno sempre manifestato una distorta religiosità con una ritualità manipolata ad arte per dare copertura e legittimità alle consorterie criminali. San Michele Arcangelo viene elevato a protettore delle ‘ndrine e quando si procede all’affiliazione si fa  colare il sangue di chi è iniziato sulla sua figura . Poi persino  Padre Pio è il santo  a cui la camorra è devota al punto che la sua icona è presente in ogni cella e in ogni casa di camorrista. Si arriva a venerare la  Madonna che viene elevata alla figura religiosa che dovrebbe perdonare chi commette orrendi crimini.

Per i capi delle organizzazioni criminali uccidere diventa un atto giusto e provvidenziale perché mette in discussione l’ordine costituito dalle famiglie mafiose fondato sul benessere e la tranquillità degli affiliati. Secondo questa visione aberrante il comportamento adottato dai mafiosi è sempre funzionale al bene delle cosche e dei suoi affiliati. Niente meno si paragona il calvario di Cristo alla vita del capo mafioso , perché costui si è assunto il dolore e la colpa del peccato per il benessere degli uomini su cui comanda. Quindi sulla base di questi presupposti uccidere sarà perdonato da Dio perché è fatto per garantire la sicurezza della “famiglia”. Sono ancora vivi nella nostra memoria le frasi Bernardo Provenzano che quando scriveva i pizzini chiudeva con frasi del tipo “Il Signore vi benedica e vi protegga”  e anche i suoi ordini si accompagnavano ad una sorta di preghiera “Sia fatta la volontà di Dio”.

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Rosario Sorace, nasce a Giarre il 13 maggio 1958;nel 1972, a 14 anni, inizia un intenso impegno politico e sociale. A soli 25 anni diventa segretario regionale dei giovani socialisti in Sicilia e dopo due anni, nel 1985, viene eletto al Consiglio Comunale di Giarre. Successivamente, viene eletto al Consiglio Provinciale di Catania dove svolge la carica di Assessore allo Sviluppo Economico. Nel 1991 viene eletto Segretario della Federazione Provinciale del PSI di Catania. Nel contempo consegue la laurea in Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Catania in cui oggi svolge il servizio in qualità di funzionario di Biblioteca del Dipartimento di Scienze Chimiche. È giornalista pubblicista. Collabora dal 2018 con i giornali on line IENE SICULE, SIKELIAN, IL CORRIERE DI SICILIA e AVANTI LIVE. È un grande di lettore di prosa e scrittore di poesie.

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