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Vandalismo al Monastero dei Benedettini di Catania: un affronto alla storia e all’educazione

Le mura del Chiosco di Ponente e del Ponte Studio, nell’ex monastero dei Benedettini—oggi sede del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania—sono state imbrattate con disegni, scritte e segni enigmatici. Questo monumento, simbolo della città e incluso dal 2002 nell’elenco del patrimonio mondiale dell’UNESCO come gioiello del tardo barocco siciliano, è stato oggetto di atti vandalici che non solo ne offuscano la bellezza, ma rappresentano anche un tradimento nei confronti di un patrimonio che gli stessi studenti dovrebbero proteggere e custodire con cura. Invece, ciò che si osserva è un vero e proprio sfregio, con penne e pennarelli di ogni tipo che deturpano le mura come una cicatrice indelebile.

Ogni atto di vandalismo, per quanto possa sembrare insignificante, ha un costo che ricade sull’intera comunità, inclusi gli stessi trasgressori. Le risorse impiegate per ripristinare e restaurare quanto danneggiato potrebbero essere destinate ad altre necessità, eppure i danni si accumulano. Lo stesso discorso vale per i bagni del cortile e quelli del primo piano, recentemente ristrutturati a fronte di una spesa considerevole, ma che già mostrano i segni di una scarsa considerazione per il lavoro altrui.

Ridurre simili gesti a una semplice ragazzata sarebbe un errore che la comunità universitaria non può permettersi. Il vandalismo non è solo un danno estetico, ma il sintomo di un problema più profondo: una perdita di consapevolezza del valore di ciò che ci è stato lasciato in eredità. Non basta limitarsi alla riparazione materiale; è necessaria un’educazione al rispetto del patrimonio, che sia culturale, storico, artistico o anche contemporaneo.

È fondamentale che i giovani comprendano che ogni atto di distruzione ha conseguenze tangibili, non solo sull’ambiente che ci circonda, ma anche sulla collettività in cui viviamo. La città e il suo patrimonio sono parte della nostra identità, e come tali vanno rispettati e valorizzati. È tempo di ristabilire un legame di rispetto e consapevolezza tra le nuove generazioni e la memoria storica di Catania.

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A soli sedici anni ha iniziato il suo percorso nel giornalismo, scrivendo come corrispondente e raccontando la cronaca di Camastra e Naro sul giornale La Sicilia. Spinto dalla passione per l’informazione, qualche anno dopo ha iniziato a collaborare con testate di rilievo come il Giornale di Sicilia, Corriere dello Sport e L’Amico del Popolo di Agrigento, storico settimanale cattolico. Il suo viaggio lo ha poi portato a Milano, dove ha scritto per il Giornale di Milano Sud, dando voce alle storie e ai cambiamenti della zona meridionale della città. Ma le radici lo hanno richiamato in Sicilia, dove per un decennio ha diretto Tribeart, la prima guida dedicata alle arti visive dell’isola, punto di riferimento per artisti e appassionati. Da sempre convinto dell’importanza dell’etica professionale, afferma con decisione: “Il compito di chi fa giornalismo è uno solo: informare il lettore in modo corretto, senza compromessi”.

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