La grande crisi economica del 1929

La crisi economica del 1929, conosciuta anche come Grande Depressione, rappresenta uno dei momenti più drammatici e significativi della storia economica del XX secolo. Il crollo della Borsa di Wall Street, avvenuto nell’ottobre del 1929, innescò una catena di eventi che portarono a una recessione globale, con ripercussioni sociali, politiche ed economiche che segnarono profondamente il mondo per oltre un decennio.
Gli anni ’20, spesso definiti “Anni Ruggenti”, furono caratterizzati da una forte crescita economica, soprattutto negli Stati Uniti, difatti dopo la Prima Guerra Mondiale, gli USA emersero come principale potenza economica mondiale, con un’industria in pieno sviluppo e un mercato azionario in forte espansione. L’ottimismo economico spinse molti investitori a riversare ingenti somme di denaro nella Borsa di New York, convinti che il boom economico sarebbe continuato incontrastato per gli anni a venire.
La crescita del mercato azionario non fu però sostenuta da un parallelo sviluppo economico reale. Molti investitori acquistarono azioni non basandosi sui fondamentali economici delle aziende, ma piuttosto sull’aspettativa di un continuo aumento dei prezzi e, questa bolla speculativa fu alimentata da un uso massiccio del credito: milioni di persone investivano in borsa con denaro preso in prestito, un fenomeno noto come “buying on margin”. Questo sistema permetteva agli investitori di acquistare azioni con un piccolo anticipo, prendendo a prestito il resto, aumentando esponenzialmente i rischi di un crollo economico.
Il primo dei fattori fondamentali che contribuirono a quello del 1929 fu la sovrapproduzione. Negli anni ’20, le industrie americane avevano aumentato la produzione grazie a innovazioni tecnologiche e metodi di produzione di massa, tuttavia, la capacità di consumo della popolazione non crebbe allo stesso ritmo. Con il mercato saturo di beni, i prezzi iniziarono a calare, riducendo i profitti delle aziende e portando a una diminuzione della produzione e dell’occupazione.
Il secondo elemento critico fu la crescente disuguaglianza economica. Mentre i ricchi accumulavano enormi ricchezze, la maggior parte della popolazione viveva in condizioni economiche precarie. Tale squilibrio si traduceva nella mancanza di potere d’acquisto da parte della maggioranza della popolazione per sostenere il livello di produzione delle aziende. La concentrazione della ricchezza limitò la capacità della stessa a partecipare attivamente al consumo di beni, aggravando così la crisi.
Il sistema bancario degli anni ’20 si rivelava essere altamente vulnerabile. Molte banche avevano prestato denaro senza adeguate garanzie, sia agli investitori che alle imprese. Quando il mercato azionario crollò, queste si trovarono in difficoltà, incapaci di recuperare i crediti concessi. Inoltre la mancanza di regolamentazione bancaria amplificò il problema, causando una serie di fallimenti del sistema bancario che ebbero un effetto domino sull’intera economia.
Il crollo ebbe inizio in una data precisa, era il 24 ottobre 1929, giorno che passò alla storia come il “Giovedì Nero”, quando un improvviso e massiccio sell-off di azioni, cioè la vendita di titoli o altri beni di investimento durante un periodo di ribasso delle quotazioni, per evitare di conseguire perdite ancora maggiori in conto capitale, fece precipitare i prezzi. Il panico si diffuse rapidamente, e nei giorni successivi il mercato continuò a scendere. Il 29 ottobre 1929, conosciuto invece come il Martedì Nero, tale crollo raggiunse il suo picco con una perdita senza precedenti del valore delle azioni.
Il crollo della borsa non fu solo un evento finanziario, ma segnò l’inizio di un periodo di profonda recessione economica con un effetto domino di portata enorme. Le ingenti perdite subite dagli investitori portarono a una drastica riduzione della spesa e degli investimenti, causando il collasso di imprese e banche in tutto il mondo.
Una delle conseguenze più immediate della crisi del 1929 fu la drammatica crescita della disoccupazione. Negli Stati Uniti, il tasso di disoccupazione salì dal 3% nel 1929 al 25% nel 1933. Milioni di persone persero il lavoro e le loro case, creando un esercito di disoccupati e indigenti che si riversarono nelle città in cerca di occupazione.
La crisi si propagò rapidamente a livello globale, causando una contrazione del commercio internazionale: la caduta della domanda interna negli Stati Uniti si rifletté in una diminuzione delle importazioni, mentre le esportazioni subirono un calo a causa delle tariffe protezionistiche, come il Tariff Act del 1930 (conosciuto come Smoot-Hawley Tariff), che peggiorarono ulteriormente la situazione economica globale.
La crisi fu tale anche da un punto di vista sociale e politico. Le tensioni sociali frutto della disoccupazione e della povertà favorirono l’ascesa di movimenti populisti e totalitari. In Europa, ad esempio, si creò terreno fertile per l’ascesa di regimi autoritari, come quello nazista in Germania.
Negli Stati Uniti, la ripresa economica iniziò con l’elezione di Roosevelt nel 1933 e l’introduzione del New Deal, un insieme di riforme economiche e sociali destinate a rilanciare l’economia che includeva programmi di lavoro pubblico, riforme bancarie e misure di sicurezza sociale, che contribuirono a ridurre gli effetti della Grande Depressione.
La crisi del 1929 lasciò in eredità importanti lezioni per l’economia globale: l’importanza della regolamentazione dei mercati finanziari e della necessità di un ruolo più attivo dello Stato nell’economia per prevenire crolli simili; le politiche economiche keynesiane, che promuovevano l’intervento statale per stimolare la domanda, divennero un punto di riferimento per molti governi nel dopoguerra.
La crisi del 1929 non rappresenta solo la storia bensì un monito ed un insegnamento che continua a influenzare le scelte economiche del presente.