L’insediamento di Trump ed i primi provvedimenti

Durante il suo primo mandato, Trump aveva già deciso di ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima, una scelta che ha lasciato il paese come l’unico al mondo ad aver mai abbandonato il trattato, sottoscritto da 194 nazioni.
Il ritorno di Trump alla presidenza ha segnato un netto cambiamento di rotta nelle politiche ambientali americane. Il 20 gennaio 2025, nel suo primo giorno di nuovo alla Casa Bianca, ha firmato un ordine esecutivo per ritirare nuovamente gli USA dall’accordo, una decisione che rappresenta un’inversione rispetto all’amministrazione Biden e che ha implicazioni profonde per il clima e la politica globale.
Gli Stati Uniti, come secondo maggior emettitore di gas serra, con questa mossa abbandonano il ruolo di leader nelle politiche climatiche internazionali. Questo lascia spazio ad altri attori globali, come l’Unione Europea e la Cina, per assumere maggiore influenza, rallentando probabilmente la cooperazione internazionale e minando gli sforzi per contenere l’aumento delle temperature globali entro 1,5 gradi Celsius.
Secondo le regole dell’Accordo di Parigi, delineate nell’articolo 28, gli Stati Uniti, dopo aver ratificato il trattato nel 2016, potevano formalizzare la loro intenzione di uscirne solo tre anni dopo la sua entrata in vigore, ossia dal 4 novembre 2019. Dopo aver dato la notifica formale, è iniziato un periodo di un anno durante il quale gli USA erano ancora vincolati dagli obblighi del trattato, fino a quando il ritiro non è diventato definitivo.
Parallelamente al ritiro dall’accordo, Trump ha dichiarato un’emergenza energetica nazionale, introducendo misure per stimolare la produzione di combustibili fossili. Ha revocato i divieti sulle trivellazioni nell’Artico e lungo le coste statunitensi, sospeso i nuovi contratti per l’energia eolica offshore e ripreso l’elaborazione dei permessi per l’esportazione di gas naturale liquefatto.
L’amministrazione ha giustificato queste mosse come necessarie per rilanciare l’economia e rafforzare la sicurezza energetica, sostenendo che la politica energetica nazionale non debba essere condizionata da enti internazionali. I sostenitori di queste politiche ritengono che porteranno benefici economici, tra cui nuovi posti di lavoro, costi energetici più bassi e una minore dipendenza dalle importazioni di energia.
Nonostante queste argomentazioni, gli esperti climatici avvertono che tali azioni potrebbero ostacolare gli sforzi globali per combattere il cambiamento climatico. Con l’uscita degli USA dall’accordo, la leadership globale degli Stati Uniti viene meno proprio in un momento critico. Anche a livello interno, la decisione ha diviso l’opinione pubblica: le industrie hanno accolto positivamente le nuove politiche, mentre le organizzazioni ambientaliste e alcune amministrazioni statali, come quelle di California e New York, hanno promesso di mantenere ambiziosi obiettivi climatici nonostante il cambiamento di rotta federale.
Di fronte a un Congresso diviso e a una società polarizzata, la questione climatica rimarrà una delle più dibattute durante il mandato di Trump. Intanto, la comunità internazionale deve fare i conti con il vuoto lasciato dagli Stati Uniti, offrendo potenzialmente a Cina e altri paesi l’opportunità di guidare la lotta globale contro il cambiamento climatico.