La riforma della giustizia è servita. Le principali novità e i nuovi assetti giudiziari

L’esecutivo guidato dal governo Meloni ha battuto un colpo, e i suoi rintocchi risuonano non senza polemiche alla “rubrica” giustizia. Sì, quanto si dice corrisponde all’avvio dell’iter costituzionale che porterà ad una importanza ridefinizione degli assetti nel settore della giustizia, attraverso il concepimento di una riforma già preannunciata nelle intenzioni dell’attuale governo e, che, a seguito degli ultimi passaggi istituzionali, comincia ad assumere i contorni della concretezza.
Richiamare la serie di criticità che appartengono all’intero settore della giustizia risulterebbe quasi pleonastico. Non può, infatti, essere in discussione l’esigenza di procedere a regole nuove che consentano un’amministrazione più efficiente dei servizi a beneficio della collettività che, sovente, si perde nella fitta rete di ostacoli di cui la giustizia si compone, precludendo, inoltre, l’inverarsi dell’idea di una “giustizia giusta” quale massima aspirazione di ogni ordinamento giudiziario moderno e, in una prospettiva più generale, dello stesso ordinamento democratico nel suo complesso.
La sostanza del contendere risulta quindi abbastanza chiara, ma, ciò che varia, è il modus con cui si ritiene che tali bisogni possano maturare portando il loro frutto migliore; questo è lo spazio nel quale sorgono polemiche, contrasti e dissensi vari che accompagnano le battute introduttive della riforma in esame a firma dell’attuale guardasigilli, Carlo Nordio.
Lo scenario evolutivo al quale si rinvia, suggerisce, però, il mantenimento di un principio fermo, non negoziale, e sul quale in verità, tutti e ciascuno, dovrebbero quindi ritrovarsi: l’osservanza della separazione dei poteri e sfuggire da ogni spinta di senso opposto. Scindere da ciò, che esprime peraltro una conquista che segnò, storicamente, il passaggio dallo Stato assoluto allo Stato liberale, poi ulteriormente confermato con la nascita dello Stato democratico e il relativo avvento delle Costituzioni, sarebbe gravemente delittuoso per la tenuta del sistema istituzionale, a causa delle garanzie che rischierebbero di essere compromesse, là dove, anche solo per ipotesi astratta, si palesasse l’occasione di un allentamento di siffatto principio.
Muovendo da questo ordine è quindi possibile richiamare ad evidenza le principali novità che scaturiscono dall’iniziativa riformatrice approvata dal Consiglio dei ministri: carriere separate per i magistrati, distinti tra quelli giudicanti e quelli requirenti, con due diversi Csm e il sorteggio per la nomina dei suoi membri, oltre all’istituzione di un’Alta corte come organo di disciplina delle toghe.
Questi sono itre pilastri della nuova riforma della Giustizia approvata in Consiglio dei ministri, che attua, secondo quanto riferito dal ministro Nordio, il “principio fondamentale del processo accusatorio auspicato nel secolo scorso dal giurista Giuliano Vassalli“.
L’iter per l’approvazione del provvedimento potrebbe avere due percorsi differenti:il primo esclusivamente parlamentare, il secondo anche in sede referendaria. Ponendoci al riguardo di una legge di modifica della Costituzione, il testo ha bisogno di essere approvato da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad un intervallo di almeno tre mesi. La riforma potrà dirsi approvata se nella seconda votazione, entrambe le Camere, approvano la legge con una maggioranza dei due terzi dei rispettivi componenti.
Se il ddl non raggiungerà le maggioranze prescritte dalla Costituzione all’art. 138, la legge sarà sottoposta ad un referendum popolare che, secondo fonti governative, dovrebbe essere distinto dall’eventuale tornata referendaria avente ad oggetto il premierato. La richiesta di referendum andrà fatta entro tre mesi dalla pubblicazione della legge, da parte di un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali. Su questo versante, quindi, sarebbe auspicabile ritenere che la riforma non sarà approvata prima del 2026.
A seguito della riforma, fin dal principio, ilmagistrato sarà chiamato a dover effettuare una scelta definitiva in ordine alla funzione da esercitare: requirente – i pubblici ministeri che conducono le indagini – oppure giudicante – quindi i giudici di tribunale o corti – mediante la previsione di procedure di selezione separate.
Consegue di conseguenza la costituzione di due Consigli superiori della magistratura, e non più di uno soltanto come risulta configurato nell’attuale sistema organizzativo, che continueranno ad essere composti da tre membri di diritto (il Presidente della Repubblica, il primo presidente della Corte di Cassazione e il procuratore generale della Cassazione) e da altri trenta componenti: due terzi di questi sono rappresentati da venti membri togati – ovvero appartenenti alla magistratura ed attualmente eletti da magistrati ordinari – e dieci membri laici attualmente eletti in seduta comune dei due rami del Parlamento, scelti tra professori ordinari in materie giuridiche o avvocati con almeno quindici anni di esercizio della professione.
Inoltre va precisato come mutamenti insorgano anche a riguardo dei meccanismi di nomina dei trenta membri, sia per i togati che per i laici, i quali procederanno secondo le dinamiche tipiche di un sorteggio, con lo scopo di debellare le disfunzioni derivanti dai “venti contrari” delle correnti che competono per acquisire uno spazio politico di egemonia in seno alla magistratura, influenzando, dunque, le fasi propedeutiche alle nomine.
Ad oggi il Csm si occupa anche di procedimenti disciplinari, ma con la riforma provvederà in tal senso un’Alta corte, composta da quindici giudici (tre nominati dal Presidente della Repubblica, tre estratti a sorte dal Parlamento, sei magistrati giudicanti e tre requirenti estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie), ad assumere il ruolo di organo disciplinare, le cui sentenze si possono impugnare dinanzi alla stessa corte.
Parrebbe invece non esserci il pure ipotizzato intervento per eliminare l’obbligatorietà dell’azione penale, ossia l’obbligo per il p.m. di indagare ove a conoscenza di una notizia di reato, ma questo rimane un quesito aperto, insieme a molti altri ancora, rispetto a ciò in cui si potrà arrivare attraverso i diversi input della riforma una volta entrata in vigore.