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Idrogeno e transizione energetica: è tutt’oro quel che riluce?

Il ruolo che l’idrogeno come vettore energetico ricopre nella transizione energetica sembra essere sostenuto dalla stragrande maggioranza di scienziati, divulgatori e commentatori. Ma è tutt’oro quel che luccica ? O ci sono interessi che spingono a prendere una certa posizione?

Con questo primo articolo inizio la mia collaborazione con la Clessidra2021. L’area di mia competenza e su cui intendo intervenire è quella dell’energia e del mondo che vi ruota attorno: dalla produzione agli aspetti economici, dalla storia alla ricerca. L’argomento è vasto. Cercherò, quindi, di offrire spunti su alcuni aspetti che ho seguito nel tempo, a volte come protagonista, altre come spettatore.

Un’elementare ricerca web sul tema idrogeno, restituisce una sfilza di siti che non basterebbe una vita a consultare. E allora, che altro si può dire di interessante al riguardo? Per esempio, qualcosa che renda il lettore più accorto nel vagliare la valanga di informazioni e opinioni che ci investono continuamente. Forse qualcosa che induca il dubbio, specialmente quando il clima delle discussioni è un po’ troppo entusiasta, a volte euforico.

Ho lavorato dagli anni ’90 sull’idrogeno come vettore energetico e mi stupisco di quanti articoli, libri e interventi a convegni siano dedicati oggi a questo elemento chimico il cui atteso avvento, quasi messianico, sembra dover risolvere tutte le future necessità energetiche della nostra società e, al tempo stesso, evitare i problemi ambientali che l’uso esteso, a volte dissennato, dei combustibili fossili ha provocato.

Scorrendo i curricula di coloro che intervengono sul tema e soffermandomi su formazione e storia professionale, ruoli ricoperti e pubblicazioni, mi chiedo le ragioni del loro intervento e a chi essi siano affiliati.

I contributi in questione sono tutti favorevoli al futuro uso dell’idrogeno, ma nelle pieghe dei vari discorsi (aspetti come tecnologie proposte, scala dei tempi di attuazione, tipo di applicazioni) si distinguono punti di vista abbastanza differenti.

L’affiliazione dell’autore fornisce una buona chiave di lettura che consente di svelare logiche di conservazione del business dell’azienda o di finanziamento ad una certa istituzione di ricerca.

Il risultato è un dibattito caotico, all’insegna del conflitto di interessi, che pone al cittadino comune, ma anche al politico onesto, seri problemi di comprensione delle possibili soluzioni e delle vere priorità.

Un esempio recente di disorientamento “per eccesso di informazione incoerente” lo abbiamo sperimentato durante la recente pandemia da COVID.

La versatilità dell’idrogeno, per cui è stata coniata una vasta gamma di colori a seconda della fonte primaria di produzione (pur essendo l’elemento allo stato naturale incolore!), porta erroneamente a pensare che realizzare una caldaia domestica, un treno o un cellulare alimentati ad idrogeno siano progetti tutti ugualmente fattibili, perseguibili e, soprattutto, convenienti.

Analizzando con attenzione strategie ma anche singoli progetti si intravedono conseguenze economiche, industriali e sociali, non sempre positive ma spesso volutamente tralasciate al fine di evidenziare solo gli aspetti benefici per l’ambiente. Questo atteggiamento, di promozione entusiastica e acritica, va sotto il nome di “green-washing” (lavaggio, o meglio risciacquo, verde): una pitturata di verde a progetti magari già esistenti e riciclati, che si ripropongono per far apparire l’impegno profuso come efficace e benigno per l’ambiente.

Questa situazione potrebbe essere estesa dall’idrogeno ad altri settori tecnologici presenti nel programma per la “transizione energetica” nell’ambito del  PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), che prevede una ingente spesa per il rinnovamento e il potenziamento delle infrastrutture energetiche e tecnologiche.

Il problema chiave che dovranno affrontare le istituzioni preposte alla programmazione e attuazione del piano è, e sarà, quello di spendere “bene” i finanziamenti a disposizione, investire cioè in progetti e infrastrutture che abbiano un effetto positivo, in termini economici ed  ambientali, nel lungo periodo, cioè ben oltre la fase di costruzione ed avviamento.

Come non pensare alle “cattedrali nel deserto” del boom economico di cui si è oramai persa memoria? Allo stesso modo, molti progetti, sempre nel settore energetico, disseminati sul territorio nazionale per compiacere qualche amministrazione locale o azienda del settore, non sono sopravvissuti alle inaugurazioni. Il web, in questi casi, è impietoso: basta cercare!

L’attuazione di questo vasto programma, potenzialmente una buona opportunità di modernizzazione del paese, è dominata da una fretta che non promette buoni risultati. Se questa frenesia sia dettata dall’attesa, apparentemente incombente e catastrofica, dell’aumento della temperatura del pianeta o dalle scadenze – abbastanza arbitrarie – poste dalla UE all’utilizzo dei fondi concessi e/o al raggiungimento di acritici obiettivi relativi alla transizione energetica, non è dato sapere.

Durante la pandemia si tentò di demandare a un comitato scientifico, autorevole (almeno negli intenti) e con competenze complementari, il monitoraggio della situazione e la raccolta di elementi utili a guidare le scelte politiche. Nel caso dell’energia questo non appare.

Si è lasciato tutto al “mercato”, alle numerose proposte, spesso in concorrenza tra loro, del settore privato, nazionale ed estero. La “programmazione” si è limitata a fissare gli obiettivi intermedi e finali (molto generici) mentre la “gestione” è al vaglio della compatibilità ambientale dei singoli progetti.

La mancanza di una direzione scientifica e tecnologica autorevole, porta quindi che ogni istituzione e agenzia si attenga strettamente al proprio compito, evitando ogni confronto e integrazione. Insomma, frammentazione e non visione complessiva e sinergica.

Alla fine sarà il settore privato a determinare il risultato. Un settore, quello industriale, che sta cercando spazi e finanziamenti, a volte anche in campi tecnologici che sono oltre l’attuale loro “core-business”, e in cui, ovviamente, le aziende più strutturate e organizzate avranno la quota maggiore. 

Forse la sollecitudine per il proprio interesse e l’assenza di una visone generale, attenta alle priorità e alle conseguenze nel tempo delle scelte operate, sono tipicamente italiane. E chiedere organizzazione e programmazione è una pretesa eccessiva.

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Ingegnere chimico, per alcuni decenni ricercatore presso il centro ENEA di ricerche della Casaccia (Roma). Negli anni mi sono interessato di attività sperimentali nel settore energetico, con progetti pionieristici nel settore dell’idrogeno e delle sue applicazioni. Col tempo si capiscono la funzione politica che l’energia e la ricerca ricoprono e il ruolo che la scienza e la tecnologia hanno nella vita di ognuno ma anche nella modalità di sviluppo della società. Queste tematiche, vissute nel quotidiano e dall’interno di istituzioni, risultano meno nette e rosee di come possono apparire dall’esterno. La stimolante occasione di “Clessidra2021” mi offre l’opportunità di informare, nei limiti del mio sapere, ed argomentare su questi temi che ogni cittadino, credo, ha il diritto e il dovere di conoscere

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