La lotta di classe tra lavoratori precari e garantiti

La flessibilità è un sinonimo utilizzato ormai a piene mani nel mercato del lavoro e nell’economia moderna. Indica elasticità, adattabilità, cedevolezza e in buona sostanza sono definizioni che preludono a ciò “che si può modificare, che cede facilmente alla volontà altrui”. Anche la parola precariato ormai domina da oltre trent’anni la dimensione sociale e richiama un condizione di instabilità e una mancanza di equilibrio. Parole in gran voga per spiegare l’opacità che vive la produzione economica e la forza- lavoro.
Tutti questi termini flessibilità e precariato sono entrati nel lessico comune indicando le nuove tipologie atipiche di lavoro. Gli ultimi anni sono stati segnati da questi temi centrali che hanno dominato le dinamiche del mercato del lavoro nel nostro paese. La compressione dei diritti dei lavoratori ha trovato il culmine con l’eliminazione dell’articolo 18 dallo Statuto dei lavoratori, che tutelava il lavoratore dai licenziamenti senza giusta causa, e gli effetti nel tempo sono stati l’affievolimento del welfare con lo sviluppo ancora più preponderante dei precari in tutti gli ambiti lavorativi. Adesso vi sono classificazioni ampi dei contratti di lavoro , ci sono quelli a termine, il lavoro in affitto, l’apprendistato , il lavoro parasubordinato, il lavoro a chiamata e stagionale, il part-time, quello a domicilio, a collaborazione continuativa e coordinata, a progetto, a somministrazione, in subaffitto e interinale, a tempo determinato, a tempo parziale, nuovo apprendistato, e,comunque, la ciliegina sulla torta è sempre il lavoro nero che non diminuisce anzi prospera nei comparti più duri dei settori produttivi quali il settore tessile, l’abbigliamento e l’edilizia, non si riduce in quanto molto conveniente per gli imprenditori con scarsa moralità e con bramosie di profitto . E’ rientrata dalla finestra lo logica dello sfruttamento dopo gli anni di conquiste sociali e si ritorna ad una legislazione che surrettiziamente ripropone vecchie modi di produzione. Marx definiva la forma stagnante dell’esercito industriale di riserva, che vale ancora oggi poichè meglio risponde ai fenomeni di lavoro irregolare( a tempo parziale, stagionale, occasionale, lavoratori a prestito e oggi il leasing, che è una forma di “caporalato” più o meno legale), poi, oggi abbiamo anche una crescita dei prestatori d’opera (solo formalmente autonomi), oppure del falso apprendistato o formazione (variamente mascherati), fino alle nuove forme di lavoro a domicilio. Tutte queste categorie rappresentano un vero e proprio “esercito operaio” attivo, che svolge in gran parte un’occupazione assolutamente irregolare ed in tal senso offrono al realtà capitalistica un serbatoio inesauribile di forza-lavoro disponibile. Sono ,quindi ,scese drasticamente le condizioni di vita della classe operaia consentendo un forte accumulazione di ricchezza nel campo industriale e finanziario. La forza-lavoro precaria resta con un occupazione irregolare facente parte di un esercito industriale attivo che cresce e nel contempo divine una componente dell’esercito industriale di riserva. Oggi vi è nell’economia attuale una sovrapproduzione delle forze produttive, sul piano della forza che genera la sovrappopolazione assoluta, caratterizzata in special modo dal lavoro precario. Tale sovrappopolazione è un dato peculiare e ineliminabile del modo di produzione capitalistico, che determina una contraddizione fra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione.
Diviene una necessità assoluta in quanto consente al capitalismo di accrescere i margini di plusvalore. Mentre per il lavoratore irregolare l’esistenza è sempre appesa ad un filo piena di ansie e angosce per il futuro con un’occupazione generalmente poco soddisfacente persino ai limiti della sopravvivenza per evitare il baratro della disoccupazione. Sulla forza -lavoro precaria pende la spada di Damocle del ricatto di ridursi disoccupati. Chi acquista la forza lavoro riduce al minimo le spese per la sua riproduzione, invece per i lavoratori precari da un punto di vista esistenziale si vivrà sempre al di sotto della condizioni di vita degli occupati. Ritorna uno sfruttamento di un padronato più rampante che tende ad ottenere il massimo del tempo di lavoro in cambio di un livello minimo della retribuzione. Non diminuisce la piaga del lavoro nero che anzi prospera nei comparti più duri dei settori produttivi quali il settore tessile, l’abbigliamento e l’edilizia.
Sempre più netta è la separazione tra “i garantiti” che hanno stabilità e coloro che vivono l’incubo del precariato disgregando la coscienza di classe fra i lavoratori che non riescono ad essere uniti contro lo sfruttamento. Oggi si è formata una solida schiera di ideologi al servizio della classe dominante che lavorano per favorire la contrapposizione fra gli interessi dei giovani, in maggioranza irregolari, e quelli dei lavoratori regolari presentati come privilegiati in quanto garantiti. Anzi questi “raffinati pensatori” propagano l’idea che le condizioni di sfruttamento degli irregolari dipendano dai presunti privilegi dei “garantiti”. Un triste destino per chi ha creduto nel riscatto della classe operaia dalle catene dello sfruttamento.