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Al Teatro Brancati di Catania“La vita è un sogno”

Mercoledì 22 marzo ha debuttato al Teatro Brancati di Catania, la pièce diretta da Giuseppe Dipasquale e tratta dall’opera di Pedro Calderón de la Barca. La traduzione, l’adattamento, la regia e le scene sono di Giuseppe Dipasquale. I protagonisti sono gli attori : Mariano Rigillo, Angelo Tosto, Ruben Rigillo, Silvia Siravo, Filippo Brazzaventre, Alessandro D’Ambrosi, Valerio Santi, Federica Gurrieri.I costumi sono curati da Dora Argento, mentre le immagini sono di Francesco Lopergolo. Le musiche sono di Germano Mazzocchetti. Questa produzione è del Teatro della Città – Centro di produzione teatrale.

La vita è sogno, scritta nel 1635 da Pedro Calderón de la Barca, è una tragedia filosofica che venne recuperata nel XIX secolo, in pieno clima romantico e oggi si presenta in scena rivisitata da Giuseppe Dipasquale.

Pedro Calderòn de la Barca

La trama si sviluppa attorno a tematiche esistenziali molto vive in quel Seicento segnato dalla crisi (guerre, rivolte, peste) non solo della Spagna ma di tutta l’Europa.

Dopo Lutero, inoltre, si era creata una ‘spaccatura’ nelle coscienze mettendo in crisi, sull’onda della liceità del libero arbitrio e di tanto altro, non solo il rapporto col divino ma anche il vecchio dogmatismo.

L’autore si inserisce inoltre in un coevo dibattito tra domenicani, che dubitavano che l’uomo avesse molte possibilità di cambiare il proprio destino, e gesuiti che invece tenevano in gran considerazione il libero arbitrio.

Di queste problematiche si fecero interpreti anche filosofi e scrittori del tempo come Erasmo da Rotterdam, Cartesio, Shakespeare, Cervantes e, non ultimo Calderòn de la Barca.

L’autore è dunque interprete del suo tempo ma riecheggia anche suggestioni classiche: platoniche (il mito della caverna), sofoclee (Edipo re) e senechiane (quomodo fabula est vita…), contro il carpe diem oraziano.

È attorno al tramonto di un vecchio sistema e a questi tormenti dell’anima che si sviluppa la trama ridotta in due atti dal regista e arricchita di vicende dallo stesso introdotte.

Basilio, re di una Polonia immaginaria, aveva letto negli astri che il neonato erede Sigismondo sarebbe stato un sovrano tiranno.

Per questo motivo lo aveva imprigionato in una torre sperduta affidandolo agli insegnamenti del ministro Clotaldo, ma privandolo della sua libertà:

¡Ay mísero de mí, y ay, infelice!
Apurar, cielos, pretendo,
ya que me tratáis así
qué delito cometí
contra vosotros naciendo;
Aunque si nací, ya entiendo
qué delito he cometido.
Bastante causa ha tenido
vuestra justicia y rigor;
pues el delito mayor
del hombre es haber nacido.

Quando il vecchio Basilio deve decidere la sua successione vuole in extremis provare se l’uomo può prevalere sulle profezie delle stelle.

Addormentando il figlio lo riporta, così, a palazzo reale.

Clotaldo spinge invano Sigismondo a manifestare la sua natura di essere non fondamentalmente cattivo, ma soltanto vissuto lontano dalla civiltà:

la crudeltà del principe riemerge.

Basilio, pertanto, ritenendo che il figlio sia veramente il profetizzato mostro lo riaddormenta riconducendolo in prigione.

In Sigismondo nasce a questo punto una certa confusione tra il sogno e la realtà: 

tutta la vita è un sogno?

Quando verrà liberato dal popolo insorto a suo favore scoppia una rivolta in cui Sigismondo risulta vincitore davanti al padre che, in ginocchio, accetta il suo destino.

Viene però assolto da un ‘rinnovato’ Sigismondo consapevole di poter capovolgere l’antica profezia attraverso il ‘disinganno’ e l’atto di libera volontà che gli restituisce la dignità di essere uomo: persino quando si sogna è bene agire in modo retto!.

Reprimiamo” – dice Sigismondo – “questa indole selvaggia, questa furia, questa superbia se ci avvenisse di sognare ancora. E così faremo poiché tanto singolare è il mondo, che vivere è soltanto sognare e l’esperienza m’insegna che l’uomo, vivendo sogna quel che è finché si sveglia…”.

Come risveglio infatti, si intende anche il risveglio che avviene dopo la morte, in una dimensione ultraterrena (è il messaggio cristiano dell’autore) in cui vale soltanto il bene compiuto. In ogni caso si evidenzia la fugacità della gloria terrena.

Dipasquale, diplomato in regia presso l’Accademia nazionale d’arte drammatica “Silvio d’Amico” e laureato in Lettere, ha diretto oltre cinquanta spettacoli presso i più importanti teatri a livello nazionale, ed è stato direttore dello Stabile di Catania.

Un momento dello spettacolo

Il regista sottolinea come in questo dramma “umano e divino, realtà e sogno, assoluto e relativo si compongono e si confondono… Sigismondo decide categoricamente di impiegare nel bene il suo breve transito terrestre. Sebbene la vita sia una fantasmagoria e un trucco divino occorre impiegarla bene in attesa del risveglio e della rivelazione dell’unico vero: l’Eterno”.

Benché sia una commedia morale e pertanto legata alla concezione giudaico/cristiana -continua –   si adatta anche al nostro mondo laico se sostituiamo “la vita celeste cui siamo destinati con la nostra propria azione…con la capacità dell’uomo di interpretare la realtà attraverso i sentimenti e le passioni, più che attraverso la ragione… Ci facciamo un’idea del mondo in base alle nostre emozioni… Calderòn utilizza questo gioco nel suo fine morale, ma in fondo la commedia si presta a scandagliare il principio di identità dell’uomo anche a prescindere dall’azione morale…”.

L’opera, dunque, pur essendo considerata un dramma barocco assume una valenza atemporale e totale.

Emerge, infatti, la necessità di ottenere la fama eterna in una dimensione che trascende l’esistenza terrena;

è forse più importante della la gloria eterna dei cieli che appartiene invece ad una concezione cristiana.

Pensiero classico e cristiano si fondono: sia realtà o sogno, una sola cosa importa: agire bene…enuncia Sigismondo.

In questo caleidoscopico intreccio di piani “sono dunque tanto simili ai sogni le glorie, che quelle reali sembrano false, e quelle simulate, vere? Così poca differenza c’è tra le une e le altre, che si deve discutere per sapere se ciò che si vede e si gode è verità o menzogna?

Cos’è la vita? Delirio.
Cos’è la vita? Illusione,
appena chimera ed ombra,
e il massimo bene è un nulla,
ché tutta la vita è un sogno,
e i sogni, sogni sono.

 

E se tutta la vita è un sogno che termina con la morte:

OBRAR BIEN ES LO QUE IMPORTA

                                                                                                   

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Silvana Raffaele, laureata in Lettere moderne, è stata professore ordinario di Storia moderna presso l'Università di Catania. Nella sua lunga carriera, oltre a seguire allievi e tesisti, ha organizzato convegni di studio, seminari, conferenze, e viaggi di istruzione a livello nazionale e internazionale. Ha insegnato anche presso il Dottorato di ricerca in Storia del Mediterraneo dell'Università di Potenza. Specialista del periodo borbonico si è occupata, scegliendo tra un centinaio di pubblicazioni, di politica assistenziale specie dell'infanzia abbandonata, di demografia storica, di analisi delle strutture familiari, di storia delle realtà accademiche e universitarie specie nel campo della sanità, di patrimonio culturale dell'isola e di politica scolastica. Ha pubblicato infine un volume sul feudalesimo al femminile e in particolare sulle monacazioni forzate in età moderna. Negli ultimi anni ha ideato e completato un progetto di turismo culturale "Catania e i suoi Palazzi: il recupero della memoria" con cui si è proposta, attraverso l'apposizione di ben 162 tabelle e dopo una lunga ricerca di archivio, di recuperare l'architettura urbanistica in senso storico per imparare a leggere la città attraverso le categorie sociali che nel tempo hanno voluto autorappresentarsi con i loro edifici. Per circa quattro anni ha pubblicato su informarmaSicilia le recensioni di tutti gli spettacoli di lirica, sinfonica e prosa messi in scena dal Teatro Massimo 'Bellini', dallo Stabile e dal Brancati nella stagione invernale e in quella estiva.

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