Ruolo e luoghi delle donne nella Catania del Sette/Ottocento” al centro culturale HYGGE

In occasione dell’8 marzo ci si è riuniti presso Hygge, il centro culturale di via D’Amico 161, nello storico quartiere dello zolfo e delle ciminiere di Catania, per una conversazione sul significato della ricorrenza e sul ruolo e i luoghi delle donne nella Catania del Sette/Ottocento.
L’idea dell’Associazione Culturale “Hygge” nasce una sera dalle chiacchiere di alcuni amici riuniti attorno a una fumante teiera e a una ‘torta della nonna’.
Come sarebbe bello -disse qualcuno- un luogo così per poter condividere questi magici momenti con familiari e amici in maniera serena e informale.
E così nasce Hygge, una parola danese che significa letteralmente “calore…intimità”, che definisce un’atmosfera rilassante, intima e raccolta caratterizzata da comodità, sicurezza, accoglienza e familiarità.
Higge è, dunque, un luogo dove godere a pieno dei piaceri semplici della vita, dove esprimersi liberamente, arrestare il flusso dei pensieri, allontanarsi dagli impegni della vita quotidiana.
E -perché no?- condividere anche il cibo, sorseggiare il tè, la cioccolata, o il vin brulé alla luce soffusa delle candele, leggere un libro, ascoltare musica tra morbidi cuscini.
Ma anche dedicarsi all’esplorazione sociale, creativa e personale.
Imparare nuovi modi di aggregazione attraverso la partecipazione a corsi di lingue, ceramica, pittura, cucina, ballo, giochi di società, cicli di cineforum e salotti letterari. Conoscere il territorio tramite tour reali o virtuali, passeggiate in città, visite a musei, eventi, gite e viaggi. Aprirsi agli altri offrendo ai soci i locali e la possibilità di realizzare qualsiasi progetto finalizzato allo ‘stare bene insieme’.
Ma ritorniamo all’incontro dell’8 marzo su ‘Ruolo e luoghi delle donne nella Catania del Sette/Ottocento’.

Dopo un’introduzione di Caterina La Rosa, scrittrice e docente di lingue straniere, sul significato di questa ricorrenza e sul lungo cammino verso i diritti delle donne, le tappe e i traguardi,la sottoscritta che ha ricoperto il ruolo di storica già ordinaria di Storia moderna nell’Università di Catania nonché di vice-presidente del centro Hygge, ha svolto l’intervento sul tema da approfondire.
I ‘luoghi delle donne’, strettamente intrecciati al loro ruolo e ai loro destini -ha esordito la scrivente- sorgono, tra XVIII e XIX secolo, nel tessuto urbano di Catania, ridisegnato da Giuseppe Lanza duca di Camastra dopo il terremoto del 1693 che distrusse la città e gran parte del Val di Noto.
In questa nuova città ‘aperta’ perché voluta senza mura e senza uno spazio differenziato in quartieri “popolari” e quartieri ” civili”, tuttavia, a levante si collocarono per lo più aristocrazia e clero, ad ovest le classi popolari. L’edilizia povera attorno ai Benedettini fu destinata infatti alla manovalanza impiegata nella ricostruzione, comportando una diminuzione del valore dei terreni e, in seguito, un degrado della zona.
Nascono così luoghi al cui interno, tra Sette e Ottocento, vissero, amarono, soffrirono, scelsero o subirono i loro destini gli uomini e le donne del tempo.
Le donne, in particolare, quelle che in gran parte non ebbero la possibilità di essere padrone del loro destino accettando le strategie – talvolta casuali ma molto più spesso programmate e volute – delle famiglie in cui ebbero la ventura di nascere.
Al centro della famiglia patrilineare e con discendenza maschile il cui ordine è delegato al pater che, come in un microcosmo, tutto decide riflettendo il macrocosmo dove il sovrano governa, troviamo la donna. Priva di diritti, bisognosa sempre della malleveria maschile rappresenta l’anello debole della catena sociale.
Ma qual è stato il destino delle donne nella società d’antico regime analizzandolo sulla base delle categorie, dall’alto in basso?
Nelle famiglie aristocratiche (prima fra tutte a Catania quella dei Paternò Castello principi di Biscari) la legge del maggiorascato imponeva che l’eredità passasse solo al primogenito destinato a continuare il lignaggio. Solo ad una delle figlie femmine era consentito sposarsi per favorire l’allargamento del potere della famiglia.
Tutti i figli cadetti erano costretti alla vita militiae o a quella ecclesiastica i maschi, al convento le femmine: aut virum…aut murum.
Nella Catania ricostruita per loro si aprivano i conventi delle benedettine: S. Agata, S. Benedetto, S. Placido, S. Giuliano e della Trinità; S. Chiara accoglieva le clarisse.
Sei monasteri femminili, dunque, che sorsero al posto dei quattordici rimasti sotto le macerie, furono i luoghi destinati in base al loro ruolo.
Pedine da giocare sulla scacchiera del potere alcune donne, specie le badesse, accettavano la scelta obbligata orgogliose di rappresentare l’egemonia della loro famiglie. Altre invece non sopportando la prepotenza subita e non tollerando le restrizioni della clausura tentavano di annullare la loro estorta professione di fede dando mandato di istruire i processi nullitatis professionis. Studiando i documenti conservati negli archivi diocesani dell’isola si ricava, dai libelli delle giovani donne, la descrizione delle angherie, delle violenze fisiche e psicologiche subite per costringerle a monacarsi.
Disperazione, malattie (vere o finte) per ottenere ‘uscite’ temporanee, tentativi di suicidio, ribellioni caratterizzarono l’iter verso la ‘smonacazione’ di quelle donne che decisero di non tacere.
Contro la falsa credenza che le donne fossero escluse dal lavoro, nelle classi medio/basse esse fornivano, invece, quotidianamente manovalanza anche se non riconosciuta. Veniva infatti loro proibito l’accesso alle corporazioni di arti e mestieri che in età moderna consentivano solo ai maschi di godere di non pochi vantaggi e di poter anche intervenire nel governo della città.
Contadine, tessitrici, pastore, fattoresse, bottegaie, sarte o serve le donne del passato hanno sempre duramente lavorato accanto ai loro uomini e per il sostentamento delle loro famiglie, anche se niente rimane ufficialmente dei loro luoghi.

Ai margini della società le più sventurate erano le fanciulle senza famiglia: orfane e bambine abbandonate.
Al posto della famiglia troncata o inesistente intervenivano a protezione del loro ‘onore’ la Chiesa e le istituzioni. Su quelle porzioni di terreno svalutate infatti le famiglie aristocratiche costruirono, per autorappresentarsi, i “Conservatori della virtù”:
della Purità, della Provvidenza, di S. Agata, delle Verginelle al Borgo, delle Proiette settenarie (riservati alle “pericolanti” che per la giovane età rischiano di perdere l’onore); e le Case delle “donne ritirate”, del Lume, dell’Immacolata Concezione, del Buon Pastore e del Santo Bambino, per le “pericolate” traviate, prostitute pentite o donne che hanno avuto rapporti illeciti con l’altro sesso.
Si tratta di spazi ormai cancellati insieme con la memoria di chi vi ha vissuto in condizioni di estremo disagio e di penosa emarginazione: fanciulle senza famiglia, “vergini vaganti”, ragazze “traviate”, “gravide occulte”, spose “malmaritate”.,
La rassicurante definizione di “Conservatori della virtù” attribuita a tali istituti nasconde una realtà dolorosa ed amara di reclusione, ai limiti della carcerazione, e di violenza fisica e psicologica sulle internate. Ma indica anche un complesso progetto assistenziale, finalizzato al controllo sociale, alla cui realizzazione lavorarono insieme Monarchia borbonica, Chiesa e privati benefattori.
Libera concorrenza, dopo l’abolizione delle corporazioni, rinnovamento tecnologico, generale crisi del settore tessile sono tutti elementi che probabilmente contribuirono a segnare il fallimento di questo progetto.
All’artigiana si sostituisce “l’angelo del focolare” in grado di prendersi cura della casa e di provvedere agli stadi iniziali dell’educazione dei figli, o la “buona serva” adatta alle esigenze di una fascia borghese che va allargandosi sempre più.
Che le donne siano nobili dame, in conclusione, o caste e colte monache, potenti badesse orgogliose, o semplici suore rassegnate, o ancora ribelli smonacate; che siano brave artigiane, sagge madri di famiglia o attente cameriere, ma soprattutto “angeli del focolare”, l’importante è -nell’ottica del tempo- che rimangano ben delineati e consolidati i contorni di un ruolo muliebre, fortemente introiettato, che vuole la donna passiva, debole e bisognosa di protezione.
