La Hollywood di Hitler : propaganda e antisemitismo nel cinema tedesco durante il nazismo

E’ in programmazione su Sky Arte, in occasione del Giorno della Memoria, l’interessante documentario “La Hollywood di Hitler”, un lavoro davvero esaustivo sulla produzione cinematografica nazista e sulla spaventosa opera di propaganda messa in atto dal regime nazionalsocialista attraverso la produzione e la distribuzione di pellicole cinematografiche.
Va ricordato, ad onor del vero, che il livello produttivo del cinema tedesco era altissimo già ai tempi del “muto” e nei primi anni del sonoro, che avevano consegnato alla storia diverse opere immortali (“Il gabinetto del dottor Caligari” di Wiene, “Nosferatu il vampiro” di Murnau, “M, il mostro di Dusseldorf” di Fritz Lang, e tanti altri); l’avvento del nazismo aveva comportato, tuttavia, un importante esodo di registi, attori, tecnici cinematografici dalla Germania agli Stati Uniti (ricordiamo, tra gli altri, Billy Wilder e Fritz Lang), privando così quella che era la forza cinematografica europea più creativa di molti dei suoi punti di forza.
Evidentemente questo particolare non interessava a Joseph Goebbels, ministro della propaganda dal 1933, individuo mefistofelico e pragmatico, che intuì subito la forza dirompente rappresentata dal cinema, propugnando un sistema secondo cui ogni pellicola, ogni aspetto della produzione avrebbe dovuto restituire, rafforzandoli presso il pubblico, i dogmi del nazismo.
Nonostante le numerose perdite, peraltro, la qualità del cinema tedesco rimaneva elevata, sia dal punto di vista creativo (regia-sceneggiatura-recitazione) che da quello meramente tecnico: da questo punto di vista è illuminante il documentario di Leni Riefenstahl, “Olympia”, girato in occasione delle olimpiadi di Berlino del 1936. Un’opera eccezionale, anche se controversa: formidabile sul piano tecnico, dettò la linea da seguire per tutte le manifestazioni sportive successive.

Le produzioni tedesche di quel tragico periodo erano di vario tipo: film storici, drammatici, commedie, persino musical. Ciò che le accomunava, se si esclude qualche sporadica eccezione, era l’adesione agli ideali del regime, che si traduceva in messaggi al pubblico chiari e diretti, anche quando le tematiche da affrontare erano scomode.
A volte, come in “Il grande re” (Veit Harlan, 1942), il film serviva a illustrare la grandezza della Germania, tramite arditi paragoni tra Federico il grande e Hitler; altre volte la pellicola di turno doveva documentare sui mali del capitalismo anglosassone, come in “La tragedia del Titanic”, dove il disastro della celebre nave diventava la metafora della prossima caduta (secondo i piani tedeschi) delle cosiddette “plutocrazie occidentali”.
Tra i casi più controversi c’è sicuramente “Io accuso” di Wolfang Liebeneiner, presentato nel 1941 alla Mostra del cinema di Venezia: una pellicola che, affrontando il tema della eutanasia (il personaggio principale del film è una donna affetta da SLA, che viene uccisa dal marito), cerca in realtà di introdurre presso il pubblico il tema della soppressione dei più deboli, dei disabili, dei malati, come previsto dal cosiddetto “programma Aktion T4”.
E poi, naturalmente, c’è l’aspetto più disgustoso della propaganda nazionalsocialista, quello relativo agli ebrei, particolarmente caro a chi, come Hitler e Goebbels, aveva fatto dell’antisemitismo un manifesto programmatico.
“L’ebreo errante” (Fritz Hippler, 1940) è un film dallo stile documentaristico che tratteggia la figura dell’ebreo come individuo squallido, repellente, privo di qualsiasi morale, depravato, interessato solo ed esclusivamente all’arricchimento personale. La pellicola non ebbe un grande successo di pubblico, a differenza di “Suss l’ebreo” (Veit Harlan, 1940), una delle pellicole più sconvolgenti, secondo me, sul piano morale, della storia del cinema: una autentica cattiva azione, che il regista Harlan, una volta caduto il regime nazista, provò ad addebitare a Goebbels. Il film, ispirato ad un personaggio storico realmente esistito, tratteggia la figura di Suss, ricco ebreo che riesce a introdursi presso la corte del duca Carlo Alessandro di Wuttemberg, modificandone pian piano le decisioni, e introducendo un sistema di potere fatto di vessazioni e prevaricazioni nei confronti del popolo tedesco. Il perfido Suss violenta fino alla morte una innocente ragazza, e questa tragedia cambia il corso degli eventi, portando ad una rivolta popolare e alla esemplare esecuzione dell’ebreo.

La pellicola, purtroppo, ebbe un successo stratosferico di pubblico, ed è doloroso annotare che venne esportata anche in molti paesi: la figura di Suss, cattivo oltre ogni limite, doveva servire proprio ad alimentar e l’odio verso gli ebrei, tanto che la visione del film divenne obbligatoria per tutti i soldati tedeschi. Un’opera indecente, una macchia indelebile per tutti coloro che parteciparono alla sua realizzazione (compreso il protagonista, Ferdinand Marian, che pure era stato sposato con una donna ebrea), ma allo stesso tempo la dimostrazione più efficace di quanto grande possa essere l’influenza del cinema sul pubblico, anche in negativo.

Alla fine, per fortuna, la propaganda di Hitler e Goebbels naufragò assieme ai loro sogni di gloria, trascinando con sè un intero periodo della storia del cinema tedesco, oscuro e controverso: il Giorno della Memoria deve servire anche a questo, a mantenere alta l’attenzione anche al cinema, e ad evitare che questo diventi la cassa di risonanza di ideologie prevaricatrici, di qualsiasi tipo.