Colloquio con il magistrato Sebastiano Ardita

Sono rari i magistrati capaci di riflettere su quel che accade attorno a loro e raccontare senza infingimenti la loro esperienza professionale. Tra questi virtuosi vi è Sebastiano Ardita, 56 anni, attualmente componente togato del Csm, dotato di un intelligenza lungimirante e profondità d’analisi. Viene descritto a ragion veduta come uno dei giudici più importanti nel Paese che ha dimostrato competenza ,equilibrio e saggezza. Un uomo scevro dal protagonismo e dotato di precisione ed efficienza nello svolgimento dei ruoli delicati in cui è stato chiamato . Ha avuto una brillante carriera ricoprendo funzioni di grande rilievo in cui ha maturato una visione d’insieme nell’ambito giudiziario. Ora da alcuni anni è autore di libri importanti in cui ha analizzato sul piano sociale e giudiziario il fenomeno mafioso con particolare riguardo alla realtà catanese . Si è laureato a 22 anni e fa parte di quella schiera di magistrati entrati giovanissimi in magistratura. A soli 25 anni nel 1992 iniziò la sua carriera come sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania. Successivamente nel 1996 è divenuto componente della Direzione distrettuale antimafia occupandosi della criminalità organizzata di tipo mafioso, nonché di inchieste per reati contro la pubblica amministrazione e di infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti e forniture. Nella XIII legislatura è stato nominato consulente della Commissione parlamentare antimafia e in questo ruolo ha redatto il documento relativo all’indagine sulla mafia a Catania. La sua esperienza è proseguita nel 2002 quando è nominato alla Direzione dell’Amministrazione Penitenziaria dove è divenuto uno dei massimi esperti del 41 bis. Ha ricoperto questa delicata carica per un decennio sino alla nomina di procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Messina nel 2012. Nel 2017 ritorna a Catania in qualità di Procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Catania. Una carriera costellata di riconoscimenti professionali e condensata da una competenza giuridica ampiamente ed unanimemente riconosciuta. In questi anni ha scritto libri che hanno riscosso un ampio successo di vendite ed è sempre seguito da un vasto pubblico che gli tributa affetto e attenzione. Sostenuto da una scrittura elegante e da contenuti coinvolgenti, in cui con sincerità ,incisività e passione ha avuto modo di narrare i fatti che lo hanno visto protagonista. Si ricordano in modo particolare i libri di maggior successo: “Catania Bene Storia di un modello catanese divenuto dominante”(2015);”Cosa Nostra S.p.a Il patto economico tra criminalità organizzata e colletti bianchi” (2020) ed l’ultimo in ordine di tempo “Al di sopra della legge Come la mafia comanda dal carcere”(2022). Ha accettato un colloquio a tutto tondo e fuori degli schemi in cui ci parla della sua esperienza umana e professionale.
Lei entrò in magistratura nel 1992, annus horribilis della storia italiana. Che ricordi conserva di quel periodo?
Il ricordo di uno scenario di guerra, nel quale nulla ci sembrava ordinario e si operava nell’emergenza e nel timore di nuovi attentati. Ci siamo mossi al buio per alcuni mesi. Il tempo ci ha spiegato cosa stava accadendo realmente.
Nonostante tutte le inchieste portate avanti il pactum sceleris tra mafia, affari e politica non appare ancora debellato.
Non credo che il patto tra mafia e affari e politica si possa debellare con un intervento “esterno”, come quello di una indagine giudiziaria, per sua natura frammentaria, occasionale e riferibile solo ad una frazione di soggetti che tengono lo stesso genere di condotte. Chi pensa questo si illude, sopravvaluta la possibilità di intervento della giustizia ed è destinato a rimanere deluso. La possibilità di andare incontro ai rigori della legge è’ un possibile deterrente. Ma chi ambisce al potere deviato è disposto ad andare anche incontro alla morte pur di poterlo esercitare. E dunque i rimedi devono partire dall’interno della società.
La trattativa Stato mafia è esistita da sempre e affonda le radici nel passato. La verità giudiziaria e storica però non sono mai coincidenti.
La verità giudiziaria non può coincidere con quella storica perchè nella prima l’ambito di conoscenza è per forza di cose ristretto a ciò che è penalmente rilevante e non è prescritto o improcedibile. Inoltre sembra perdere peso specifico col passare del tempo a causa di una sorta di assuefazione alle condotte illegali.
La verità storica interessa a pochi sul piano istituzionale e gli storici o gli amanti della verità storica sono diventati troppo pochi, per non dire che stanno scomparendo.
I giudici uccisi dal terrorismo e dalle mafie sono un esempio morale e civile indimenticabile.
Lo sono e la loro memoria potrebbe rinvigorire la vocazione al bene pubblico. Per questo la loro memoria a volte viene abusata da chi vorrebbe apertamente accostarsi alla loro integrità senza esserne degno, e spesso detesta e combatte chi si impegna a proseguire nei fatti quella memoria.
Lei gode di una fama e di un seguito enorme nell’opinione pubblica . E’ stato mai tentato dall’idea di scendere in politica ?
Avrei potuto farlo molti anni fa e non l’ho fatto. Non mi metto in situazioni che non conosco senza avere chiare quali siano le regole di funzionamento.
La riforma della giustizia è irta di ostacoli con l’eterno pericolo incombente del tentativo di limitare l’indipendenza e l’autonomia della magistratura.
La stella polare di ogni riforma dovrebbe essere l’interesse dei cittadini ed il bene della democrazia, così come lo è per il corretto esercizio di ogni funzione pubblica. L’indipendenza e l’autonomia esercitate dai magistrati in questa precisa ed unica direzione – ed avvertite come tali dai cittadini – ci metteranno al riparo da riforme ingiuste.
Dal suo ultimo libro si ricava l’impressione che il periodo alla Direzione dell’Amministrazione Penitenziaria abbia inciso profondamente nella sua vita.
La dimensione della vita penitenziaria è troppo complessa per essere spiegata in due parole, possiamo solo dire che se viene trascurata amplifica tutti i disagi, le diseguaglianze e le ingiustizie presenti nella società libera. Per questo lo Stato deve essere sempre in grado di intervenire in questo mondo con attenzione e solerzia, per impedire che ulteriori mali si realizzino. Bisogna aiutare i detenuti e difenderli dalle loro grandi avversità e dalla incombenza delle gerarchie criminali di altri detenuti.
Lei possiede una vasta cultura letteraria quali sono gli autori che preferisce ?
Tra gli stranieri classici preferisco i russi, come Dostoevskji e Gogol, perché nella umanità “esorbitante” e piuttosto nichilista che raccontano riconosco alcuni tratti ed una chiave di lettura della nostra società moderna.
Lo scontro tra giustizialisti e garantisti sembra un tema avvolgente e demagogico frutto di ideologismi politici.
È un falso tema: in uno stato democratico nessuna persona intelligente e in buona fede può prescindere dalle garanzie individuali dei cittadini; con la stessa attenzione bisogna evitare che un garantismo strumentale si spinga fino ad impedire che la giustizia funzioni, cancellandone ogni effetto pure dinanzi alla accertata responsabilità. È il punto di equilibrio tra sicurezza e libertà che rende credibili le democrazie.
In tutti i suoi libri affiora la sua profonda fede e affiora una pietas cristiana che lascia il segno.
Si ma credo nella laicità dello Stato e del diritto, ogni cultura sia essa civile o religiosa serve solo a svolgere meglio la propria funzione, a calibrare il proprio essere nella direzione del “dover essere” di ciascuno .
Catania è la sua città che vive una stagione di declino. A suo avviso potrà risorgere dallo stato in cui è caduta?
Si è possibile, solo con una profonda riflessione sulle cause del declino, che parta dalla conoscenza della storia della città e delle grandi personalità che ne furono simbolo come Antonino di Sangiuliano e di Giuseppe De Felice.