Javier Marías ” Vivere nell’ inganno…”

Le cose migliori si scrivono quando non si ha niente da dire. È allora che affiora il non detto sepolto sotto la neve.
Qualcosa di simile scrive Javier Marías-scrittore madrileno, saggista, traduttore, figlio del filosofo, Julián Marìas Aguilera, vincitore dei più prestigiosi premi della letteratura europea, morto l’ undici settembre 2022-, nell’ appendice a uno dei suoi romanzi più belli- “Un cuore così bianco”-. Un libro che porta i tratti distintivi di una personalità di romanziere complessa e irripetibile nella sua originalità. Egli si definisce un autore ” senza bussola” un esploratore di quel cuore di tenebra che è l’animo umano. Dove si aggira a tentoni, alla scoperta di un destino che solo una volta compiuto- compiutezza che si raggiunge nella morte o nella forma statica della finzione narrativa-può delinearsi come tale. Le sue opere, i suoi personaggi nascono per caso; un dettaglio insignificante del reale, una svista, un atto mancato, un’impressione istantanea, fuggevole, fermata come in un fotogramma. Da questi scarti della realtà germinano trame, vicende, volti, amori, sentimenti estremi che si definiscono nel loro svolgersi, come nella vita. Senza un progetto, un fine, ma entro una struttura portante che è la visione dell’autore. I temi di fondo sono quelli elementari e universali del vivere: l’amore, la morte, il tempo sulla cui nera schiena- “La nera schiena del tempo”, titolo shakespeariano dalla “Tempesta” è uno dei suoi libri più originali per la mescolanza di pensiero e di invenzione- scivolano via emozioni, ardori, desideri, slanci generosi e passioni devastanti, turpitudini e infamie. Verso un baratro d’insignificanza e d’oblio che inghiotte le sorti degli esseri umani, senza lasciare traccia di essi.
L’ amore si manifesta nel suo prima e nel suo dopo, nell’ attesa e nel ricordo, in un interregno delle possibilità e della “proiezione immaginaria” Allo stesso modo della felicità o della morte, non può essere esperito se non come annunciazione e perdita. “Nell’ uomo sentimentale”, uno dei suoi romanzi più tormentosi, esso viene rappresentato come triangolo tra due uomini e una donna. Il marito, un cinico banchiere, la moglie, figura di fascino e vaghezza, in bilico tra desiderio e assenza, e l’uomo sentimentale, un giovane tenore che nutre per Natalía “un amore che non si vede, né si vive, ma si annuncia e ricorda”. Anche la morte, come l’amore, non si vive, se non in una duplice ingannevole dimensione; quella che la precede e l’altra che la segue. “Vivere nell’ inganno è facile ed è la nostra condizione naturale”. Nel romanzo ” Domani nella battaglia pensa a me”- altro titolo shakespeariano tratto dal Riccardo III, come “Un cuore così bianco” dal “Macbeth- la morte lega due sconosciuti aspiranti amanti, più dell’ atto d’ amore non consumato. Victor e Marta, assente il marito, s’ incontrano nella casa dove lei vive col coniuge, e un figlioletto di appena due anni. Colta da improvviso malore la donna muore tra le braccia di Victor. Da quel prima di una passione che sarebbe durata lo spazio di una notte, l’uomo passa rapidamente al dopo di un forte legame con la morta, in un ossessivo tentativo di ricomporre il filo spezzato di un improbabile comune destino. Nei dodici racconti che prendono il titolo da uno di essi, “Quand’ ero mortale”, ritroviamo spunti, temi, abbozzi di personaggi dei suoi romanzi, che si rincorrono e si eludono quasi in un jeu de massacre. Ancora l’amore, ma nelle sue più torbide e abiette declinazioni. Non il desiderio impellente dell’infedeltà coniugale, ma le viltà del tradimento come ricatto, rancore, spirito di vendetta. Nefandezze che sopravvivono alle atrocità del regime franchista, e si covano in ambienti familiari, al sicuro delle proprie case, nel silenzio complice e nella bieca menzogna. Ma la maggiore crudeltà sta nel venirne a conoscenza da morti, quando si continua ad esistere come pura coscienza e possibilità di penetrare i segreti più ignobili nascosti in vita sotto tumuli di pietose bugie.
In “Berta Isla”, il personaggio femminile più bello e luminoso di Marías, malgrado il tormentoso segreto di una infedeltà giovanile che precede il suo matrimonio con Tomás, è l’ amore coniugale che l’ autore rappresenta. Un sentimento che resiste allo spegnersi delle passioni, agli angoli bui delle mura domestiche, dove si annidano ombre e mistero. Ma le tenebre più profonde sono quelle del marito, protagonista dell’ultimo romanzo dello scrittore madrileno “Tomás Nevinson”. (Einaudi 2022). Un uomo apparentemente mediocre, prevedibile, che nasconde un passato di spietato agente segreto. Qui tutto si ribalta nel suo opposto. La noiosa quiete di un matrimonio borghese occulta una feroce verità: che neppure una lunga convivenza, una costanza di affetti può salvare dalla reciproca estraneità e dall’ inganno. Che sopravvivere insieme si può, solo in velate menzogne di compromesso, perché la verità può risultare più crudele di un qualsiasi nascondimento, che tuteli soprattutto da sé stessi. Anche la prosa speculativa, digressiva, eppure di forte impatto lirico di Marías, che non trascura alcun dettaglio narrativo, nessun cambio di scena o ribaltamento di certezze, sino a depistare il lettore, sembra riprodurre le tortuosità del vivere, il terreno accidentato persino della più ordinaria esistenza. Ci mancherà una voce così implacabile e a un tempo dolente sulle nostre manchevolezze. Una coscienza critica che guardi al mondo nel suo fondo oscuro e lo guidi verso un barlume di consapevolezza e di riscatto.