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Brevi note sul Piano Rearm Europe

In data 4 marzo la Presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, ha indirizzato ai leaders europei una lettera, nella quale illustra quello che lei stessa denomina Piano Rearm Europe (piano per il riarmo dell’Europa).

Il documento si articola in una premessa e cinque “pilastri del piano”.

Partiamo dalla premessa. Ecco, in estrema sintesi gli argomenti svolti:

  • l’Europa è di fronte a un pericolo dalle dimensioni mai viste in precedenza;
  • sono in gioco il futuro di un’Ucraina libera e sovrana nonché di un’Europa sicura e prospera;
  • l’Europa deve assumersi la responsabilità della propria deterrenza e difesa, perciò è necessario aumentare urgentemente e significativamente la spesa europea per sicurezza e difesa;
  • bisogna mobilitare le immense risorse europee in difesa della democrazia e, a tal fine, si deve scatenare il potere industriale e produttivo europeo, indirizzarlo verso la sicurezza e ripristinare la deterrenza contro coloro che cercano di farci del male.

Qualche osservazione al riguardo.

Il riferimento al “pericolo Russia” è esplicito ma del tutto generico e imprecisato. Almeno dall’esame del breve documento, non è dato comprendere la reale effettività, l’imminenza e l’esatta portata del rischio su cui si basano l’allarme lanciato, la conseguente “chiamata alle armi” e le misure proposte.

Si teme che la Russia invada l’Europa? Tutta o parte? Nel secondo caso, quale parte sarebbe maggiormente a richio?

Ancora, si teme che la Russia “invada l’Europa domani”?

Si temono altre forme di attacco da parte della Russia? Come, guerra ibrida, cyberwar, ecc.

O si teme tutto ciò allo stesso modo e allo stesso tempo?

Anche il nome di battesimo del Piano, “Rearm Europe”, è abbastanza ambiguo. Si parla di difesa e deterrenza nucleare, convenzionale o di entrambe? Ovviamente, le scelte in un senso o nell’altro avrebbero un impatto enormemente diverso quanto a costi e tempi.

Inoltre, non è chiaro in quale contesto il riarmo auspicato dovrebbe calarsi: l’Europa politica non esiste, l’esercito europeo non esiste, gli Stati Membri, quelli chiamati “al riarmo”, agiscono solo se lo vogliono, nella misura e nel modo che vogliono.

Al contrario, l’apparato militare della Nato esiste ma non è chiaro se le “armi prodotte o acquistate” (altro punto non chiaro) dagli “europei” dovrebbero finire sotto la linea di comando e controllo Nato o solo “operare in modo coordinato con essa”. Il che sarebbe un po’ strano, perché vi sarebbero Stati Membri (SM) con un braccio armato “nella Nato” e un altro “coordinato col primo”.

Passiamo al primo pilastro, che viene descritto come segue:

  • un nuovo strumento finanziario per sostenere gli Stati membri nel potenziamento delle loro capacità di difesa;
  • istituito ai sensi dell’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell’UE per fornire agli SM prestiti garantiti dal bilancio UE, con un tetto massimo di 150 miliardi di euro;
  • l’impatto aumenterebbe in caso di acquisti congiunti (interoperabilità, riduzione dei costi e rafforzamento della base industriale di difesa europea.

Anche qui, qualche annotazione.

La dichiarata base legale dello strumento è l’articolo 122 del TFUE e, in particolare, il secondo comma che recita: “Qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito alla decisione presa.”

Fermo quanto già detto circa l’imprecisione del paventato “rischio russo”, deve riconoscersi che, una volta ritenuta l’esistenza del “pericolo di invasione”, questo risulta senz’altro cagionato da eccezionali circostanze (la volontà di aggressione della Russia) su cui non si può influire. Non si capisce, però, se la Commissione ritenga in pericolo e bisognosi di assistenza tutti gli SM allo stesso modo o solo alcuni di essi, per cui il meccanismo andrebbe deciso Stato per Stato.

Il tono usato nel documento suggerisce che la Commissione, non potendo ritenere in pericolo la stessa UE in quanto tale (per il semplice fatto che questa non è uno Stato), ritenga in pericolo tutti gli SM. In tal senso, i ripetuti riferimenti alla responsabilità dell’Europa per la sua difesa e deterrenza, allo spirito collettivo in difesa della democrazia, all’incoraggiamento agli acquisti congiunti di armi. Resta il fatto che la decisione circa il ricorso allo strumento finanziario spetterebbe ai singoli Stati che non potrebbero in alcun modo essere costretti a ricorrervi e/o a produrre o acquistare un tipo di armamento piuttosto che un altro.

Per la verità, quando si parla di “produzione” ci si riferisce a un processo, non certo breve, di riassesto degli apparati produttivi dei singoli paesi, la cui potenzialità al momento è prossima allo zero. Di conseguenza, l’unica opzione di “riarmo” immediato, o comunque rapido, è l’acquisto e non è difficile prevedere chi sarebbe il “venditore”.

Infine, va detto che lo strumento finanziario non è altro che un prestito con un tetto massimo complessivo di 150 miliardi di euro. Le modalità di acesso al prestito dei singoli paesi, le relative condizioni, le priorità rispetto ai richiedenti, l’armonizzazione dell’utilizzo delle somme erogate (acquisto di armi e/o investimenti industriali), sono tutti aspetti ancora da determinare.

Sul piano squisitamente giuridico, alcuni esperti criticano il ricorso a una procedura d’urgenza, che consente di evitare qualsiasi interlocuzione con il Parlamento Europeo, quando i presupposti dell’urgenza stessa sono quanto meno discutibili.

Il secondo pilastro concerne lo “sbrigliamento” dei finanziamenti pubblici nella difesa, attraverso l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità e crescita. I prestiti di cui al punto 1 rientrerebbero nella clausola di salvaguardia nazionale.

La sterilizzazione delle regole del Patto di Stabilità sembra essere condivisa da tutti i membri del Consiglio Europeo, con la sola eccezione dell’Ungheria. Nessuno pare preoccuparsi, invece, dell’opinione dei cittadini degli SM, chiamati a prendere atto, tacendo, dell’impossibilità di spendere in deficit, ad esempio, per sanità e istruzione, mentre la spesa per armamenti è, non solo consentita, ma incoraggiata e anzi richiesta dall’UE.

Le previsioni della sig.ra von der Leyen sono che se gli SM aumentassero le spese per la difesa in media di un 1,5% del loro PIL, ne risulterebbe “uno spazio fiscale vicino a 650 miliardi di euro in un periodo di quattro anni” (dichiarazione alla stampa della sig.ra von der Leyen – https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/sv/statement_25_673 -). Ora, sommando questa cifra ai 150 miliardi di prestiti, si arriva al famigerato e sbandierato importo di circa 800 miliardi di spese militari aggiuntive.

All’identica logica risponde, e alle stesse critiche è soggetto, il terzo pilastro, con il quale si intendono incentivare gli SM a reindirizzare i fondi della Politica di Coesione verso investimenti per la difesa.

Gli ultimi due pilastri (contributo della Banca Europea per gli Investimenti e mobilitazione del capitale privato) potrebbero in teoria avere un effetto positivo sull’economia e sulla crescita dei paesi europei ma deve prendersi atto che, se si preferiscono politiche di riarmo a misure di sostegno sociale e/o di tutela ambientale, l’inesorabile deduzione è che si ritiene il “pericolo russo” ben più reale ed attuale di quello di squilibri e ingiustizie sociali o climatico, rischio quest’ultimo che viene risfoderato a convenienza. La fondatezza e l’opportunità della scelta lasciano parecchi dubbi.

In conclusione, le misure proposte dalla Commissione UE appaiono, da un lato, di dubbia efficacia e potenzialmente generatrici di confusione e sovrapposizioni rispetto a strumenti di difesa già esistenti e, dall’altro, tendenti ad escludere l’intervento dell’unico organo dell’UE che possa vantare una legittimazione democratica.

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Maurizio Salustro ha maturato 41 anni di esperienza nel settore legale, compresi 31 anni con la magistratura italiana, spaziando dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti. Ha presieduto la Prima Sezione Penale del Tribunale di Catanzaro. Ha svolto un’intensa attività internazionale sia con funzioni esecutive (in Kosovo come Giudice con la Missione ONU - UNMIK e, poi, come Pubblico Ministero per i crimini di guerra con la Missione dell’UE – EULEX; in Guatemala come Capo delle Indagini con la CICIG -Commissione Internazionale contro l’Impunità in Guatemala-, sia nel settore dello sviluppo delle istituzioni (specialmente in Georgia e Iraq). In pensione dall’agosto 2022, si dedica a iniziative di promozione sociale.

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