“Il giardino dei ciliegi” di Anton Čechov al Piccolo Teatro della Città di Catania

È andato in scena al Piccolo Teatro della Città di Catania, all’interno del progetto Čechov in collaborazione con l’Associazione Città Teatro, da giovedì 12 a domenica 15 ottobre:“Il giardino dei ciliegi”di Anton Čechov.
Con la regia di Nicola Alberto Orofino (assistente alla regia Gabriella Caltabiano) hanno recitato: Luana Toscano, Egle Doria, Francesco Bernava, Anita Indigeno, Daniele Bruno, Luigi Nicotra, Alice Sgroi, Carmela Silvia Sanfilippo, Lucia Portale, Giovanni Zuccarello, Alberto Abbadessa, Vincenzo Ricca.
Scene e costumi di Vincenzo La Mendola; disegni di luci: Simone Raimondo.
Nato nel 1860 in una famiglia di umili origini e laureatosi in medicina, Anton Čechov (1860-1904) già dal 1884 era noto per i suoi racconti e le sue opere teatrali.
“Il giardino dei ciliegi”, l’ultimo suo lavoro teatrale fu scritto nel corso di numerosi anni e messo in scena per la prima volta il 17 gennaio1904 al Teatro d’Arte di Mosca.
Sei mesi dopo Čechov moriva di tubercolosi a soli 44 anni.
Questo classico della letteratura teatrale, tradotto in diverse lingue venne in seguito rappresentato anche all’estero.
L’opera trae spunto da un’esperienze personale finanziaria e domestica dell’autore che appena sedicenne assistette al tracollo economico della madre.
Truffata da alcuni costruttori della sua casa e da un sedicente amico che fingendo di aiutarla segretamente la comprò per sé, la madre perdeva anche la sua stessa casa d’infanzia per estinguere l’ipoteca.
In seguito l’autore avrebbe visto abbattuto un suo personale giardino di ciliegi.
Quasi parallelamente, nella trama Ljubov’ Andreevna Ranevskaja, detta Ljuba, ritorna a casa da Parigi per rimettere ordine al suo patrimonio con la figlia diciassettenne Anja, Šarlotta Ivanovna, la governante tedesca, e con Jaša, un servitore.
Trova Varja, la sua figlia adottiva, custode della casa, Ermolaj Alekseevič Lopachin, mercante e amico di famiglia, Leonid Andreevič Gaiev, fratello di Ljuba, e i servitori della casa: Dunjaša, la governante, il contabile Epichodov e il vecchio servitore Firs.
Nel frangente Ljuba viene a conoscenza del fatto che la proprietà sarà messa all’asta per pagare i debiti accumulati.
Lopachin si offre di aiutarla, proponendo di lottizzare il giardino per costruire villette:
“Fino ad ora in campagna ci sono stati padroni e contadini, invece ora hanno fatto la loro comparsa ance i villeggianti…adesso costoro si contentano di bere il tè sul balcone, ma, vedete, può darsi che ognuno cominci a coltivare il suo pezzo di terra e allora il vostro giardino di ciliegi diventerà ricco, lussureggiante…”
Ma l’idea non piace a Ljuba, incapace di prendere decisioni, indissolubilmente legata al passato e al ricordo della morte del suo bambino annegato cinque anni prima.
La proprietà è sempre in pericolo, ma la famiglia sembra non curarsene.
Anzi a breve distanza di tempo si organizza una grande festa a casa di Ljuba.
Ma è anche il giorno dell’asta.
Pare che solo Varja sia ansiosamente consapevole del paventato disastro.
Improvvisamente Anja entra con la notizia che il giardino dei ciliegi è stato venduto. Alla domanda di Ljuba su chi avesse vinto l’asta Lopachin, esaltato, rivela di essere riuscito a comperare la proprietà dove suo padre era stato servo:
“Io l’ho comprato…Ah se mio padre e mio nonno potessero vedere…io ho comperato la terra dove mio padre e mio nonno furono servi, non li si lasciava entrare nemmeno in cucina…costruiremo noi le ville e i nostri nipoti e pronipoti vedranno qui una nuova vita”
Arriva il triste giorno della partenza.
Si odono i colpi d’ascia all’esterno mentre il vento impetuoso del cambiamento infuria incessante.
Lentamente rientrano tutti in scena, pronti a partire. Gaiev e Ljuba rimangono soli nella stanza della loro infanzia.
Piangendo salutano per sempre il loro antico mondo.
Solo, il vecchio servitore scopre di essere stato lasciato nella proprietà a morire:
“Di me si sono dimenticati…non fa niente…aspetterò qui…e la vita è passata: come se non avessi vissuto! Niente è rimasto, niente…”
A larghe pennellate il drammaturgo dipinge lo struggente ritratto di una
Russia nel significativo momento di trapasso da una società aristocratica, la cui economia si reggeva sul servaggio, incapace di leggere dentro quel mondo che invertiva la sua rotta, ad una nuova ipotetica rampante società borghese popolata da quanti avevano goduto nel 1861 della fine della servitù, e dei loro discendenti.
Gli effetti di questa riforma erano ancora molto sentiti al tempo di Čechov, sebbene fossero passati ben quarant’anni.
“Pensate Anja -fa dire l’autore a Trofìmov – vostro nonno, il vostro bisnonno e tutti i vostri antenati erano signori, possessori di servi…Noi siamo in ritardo di almeno duecento anni, non abbiamo un senso preciso del passato…per cominciare a vivere nel presente bisogna farla finita con esso”
Egli interpreta e denuncia con grande acume la società del suo tempo.
Sente il vento del cambiamento e quasi prevede i futuri esiti rivoluzionari.
Già l’anno prima, nel 1903, infatti il partito socialdemocratico di orientamento marxista si era spaccato: i bolscevichi propugnavano la rivoluzione operaia; i menscevichi propendevano per una moderata rivoluzione democratico/borghese rinviando ad un secondo tempo la dittatura del proletariato.
In seguito alla guerra russo giapponese per il controllo della Manciuria e della Corea, conclusasi con la sconfitta della Russia, il 22 gennaio 1905, la domenica di sangue, scoppiava una rivoluzione a S. Pietroburgo.
La polizia uccise un migliaio di dimostranti che volevano presentare una petizione allo zar.
La prima rivoluzione russa che coinvolse operai, soldati e, nelle campagne, i contadini poveri, dando vita ai soviet, venne repressa nel sangue segnando il fallimento del progetto liberal/riformista.
Seguiranno, come è noto, le rivoluzioni del febbraio e dell’ottobre 1917.
Il vecchio mondo crollava definitivamente.
Profeticamente Čechov ne aveva avuto sentore oltre un decennio prima.
Il giardino dei ciliegi, con intelligenza, passione e umanità, diventa così una sorta di resoconto drammatico di quel percorso verso la “modernità”.
Il regista Nicola Alberto Orofino, ben noto al pubblico catanese, ha voluto accentuare la coralità e la dinamica di questo capolavoro cechoviano rendendolo più contemporaneo e quasi mediterraneo.
“Le cose nuove – commenta Orofino- si sa fano sempre un sacco di paura…nostalgici giardini…passato e futuro, ancien règime e nuove dottrine, vecchi e giovani. Aristocratici squattrinati e ex servi arricchiti si scontrano in questo capolavoro teatrale di tutti i tempi…un’ultima volta per festeggiare un passato che va seppellito…il rito di passaggio…drammatico e lunghissimo percorso di liberazione…un nuovo mondo si affaccia…La rivoluzione è alle porte…il cambiamento diventa un obbligo al quale è impossibile sottrarsi …”