La storia del Sud tra meridionalismo e arretratezza

La grande guerra ha segnato un momento di passaggio sul meridionalismo e dal punto di vista politico Don Luigi Sturzo propose con grande vigore la necessità di realizzare le autonomie regionali da lui reputate strumento efficace per dare vita ad uno sviluppo sociale e ad una tutela degli interessi del Sud.

Don Luigi Sturzo
Mentre Antonio Gramsci fece della questione meridionale un suo cavallo di battaglia ritenendola la grande contraddizione storica e sociale del paese. Il pensatore sardo portò avanti le idee di Salvemini traducendole nell’impostazione di Lenin e indicò l’alleanza di classe che in Russia aveva posto le premesse per i moti rivoluzionari con la realizzazione dei soviet degli operai e dei contadini. Il blocco sociale preconizzato da Gramsci doveva contrapporsi al potere dominante rappresentato dagli agrari del Sud e dagli industriali del Nord.

Antonio Gramsci
Invece Guido Dorso guardava al rinnovamento della classe dirigente, proprio nella per costruire e formare una élite direttiva che sapesse avviare una forte autonomia meridionale e regionale in linea con la società occidentale avanzata. La nascita del fascismo interruppe queste nuove idee sul meridionalismo che non alimentò mai con i suoi intellettuali di regime una riflessione sulla questione meridionale, mentre si dedicò all’espansione coloniale proprio per lenire le condizioni di sottosviluppo e intensificò la produzione nel campo agricolo. Chi non trovava lavoro poteva andare nei territori dell’impero italico.

Guido Dorso
Nel dopoguerra i partiti ripresero i temi del meridionalismo con i comunisti che aggiornarono le tesi di Gramsci e i socialisti che per merito di Rodolfo Morandi mise al centro della riflessione la questione dell’industrializzazione del Sud. Nel campo cattolico spicca il pensiero di Pasquale Saraceno e in quello laico abbiamo Nitti e Dorso i quali avanzarono le medesime proposte del passato. Un pensatore che ha lasciato il segno è stato Manlio Rossi Doria il quale ha elaborato una vera e propria riforma agraria, mentre gli altri ritenevano che l’industrializzazione e l’urbanizzazione fosse la soluzione e la risposta per superare il sottosviluppo.

Manlio Rossi Doria
Tra la fine degli ’40 e l’inizio degli anni ’50 si operò per una parziale riforma agraria e per l’istituzione della Cassa del Mezzogiorno che doveva servire per avviare lo sviluppo del Sud e per la creazione delle grandi infrastrutture che mancavano. Ci fu successivamente un intervento diretto che promosse la realizzazione di grandi impianti industriali. Tuttavia i risultati dell’azione della Casmez e i fondi finanziari dell’intervento speciale non raggiunsero mai gli obiettivi previsti anche se quasi per inerzia si mise in moto un processo di sviluppo negli anni ’60 che produsse una trasformazione del mezzogiorno. Il problema più grave fu certamente quello dell’emigrazione che si era interrotto negli anni ’20 e che, invece, nel dopoguerra si orientò sia verso il Nord che verso l’Europa occidentale. Le rimesse degli emigranti portarono ad un miglioramento complessivo in tutte le regioni meridionali e un netto cambiamento delle condizioni di vita delle popolazioni meridionali. La crescita dei servizi assorbì molto manodopera e consentì una migliore qualità della vita.
Gradualmente ci fu un superamento della politica d’integrazione della politica speciale per il Mezzogiorno e si agognò una politica nazionale di programmazione dell’intero sistema nazionale. Il meridionalismo decadde come priorità nazionale e la “politica speciale” in favore del Sud si frammentò in mille rivoli divenendo l’elemento di punta dell’azione dei governi che si succedevano.
L’emigrazione rallentò alla fine degli anni’70 e vi fu una congestione nuovamente del mercato del lavoro che avvenne anche per l’unificazione salariale del paese. La politica della spesa dosò gli interventi diretti e indiretti dello Stato, i finanziamenti si modularono tra agevolazioni o incentivi, tra assistenzialismo e promozione. Dopo vent’anni dal 1950 al 1970 il Mezzogiorno divenne la periferia di un’area fortemente sviluppata . Nonostante ciò le differenze di strutture e di redditi con le aree più avanzate del Paese di allargò. Sia l’autonomia delle regioni a statuto ordinario ottenuta a partire dal 1970 e sia quella a statuto speciale della Sicilia raggiunta nel 1947 adottata dai legislatori come strumenti giuridici che affrancassero il Sud non produssero risultati positivi.