Teatro Stabile di Catania , una toccante Sarabanda in omaggio a Bergman

Ingmar Bergman a teatro? Ebbene sì. Arriva allo Stabile il grande regista cinematografico svedese che amava però tanto il palcoscenico, fino a creare pellicole in cui la contaminazione tra le due arti era palpabile.
Grande intensità, dunque, per Sarabanda, in scena in questi giorni allo Stabile di Catania fino al 9 marzo, per la regia dell’attento Roberto Andò, alla testa di un cast di tutto rispetto formato da attori davvero bravissimi, dal più consumato alla più giovane. Sarabanda è stato l’ultimo intenso film del grande regista svedese, il suo testamento spirituale, che nel 2003 riprende, a trent’anni esatti di distanza, “Scene da un matrimonio”, con la stessa coppia di sposi, poi divorziati, che torna ad incontrarsi dopo una lunga fetta di vita.
Struggente colonna sonora di questo incontro la Sarabanda della Suite n. 5 per violoncello di Johann Sebastian Bach, nata con l’intento di esplorare le possibilità tecniche ed espressive del violoncello, ma capace di assumere un valore di una meditazione universale sui grandi temi dell’esistenza umana: le relazioni, la solitudine e il dolore. Ma non solo: la Sarabanda è anche, in origine, una danza lenta di origine spagnola, e, come nel film, anche a teatro assistiamo a scene dove protagonisti sono due personaggi per volta, pronti a incontrarsi, scontrarsi, in un vertiginoso scavo nell’io profondo di ognuno di loro.
Densità emotiva e spietata introspezione delle relazioni umane, dunque, in questa toccante pièce, proprio le caratteristiche che hanno reso il regista svedese una delle voci più autorevoli del Novecento.

Roberto Andò, con la sua regia attenta e rigorosa, è riuscito dunque a trasferire l’essenza del film del 2003 in un lavoro intenso e lacerante, prosciugato da ogni inutile orpello accessorio; non a caso l’eliminazione del prologo e dell’epilogo hanno reso lo spettacolo un autentico teatro da camera, dove i dialoghi, i gesti e i silenzi sono diventati protagonisti assoluti. La traduzione di Renato Zatti ha restituito poi la crudezza e la profondità dei confronti tra i quattro personaggi, immersi in un universo emotivo dominato da rancori, incomprensioni e struggente solitudine.
Il cast, straordinario, ha dato vita a una danza tragica fatta di sguardi e parole pesanti come macigni. Renato Carpentieri ha incarnato un Johan disilluso e cinico, ormai sull’orlo del nulla, mentre Elia Schilton è stato un Henrik fragile e tormentato, incapace di liberarsi dall’ombra paterna. La giovane e promettente Caterina Tieghi ha portato in scena una Karin vibrante e combattuta, simbolo di una possibile via di fuga, mentre Alvia Reale ha donato a Marianne una disarmante lucidità e rassegnazione.
L’allestimento scenico di Gianni Carluccio, con pannelli scorrevoli e un’ambientazione angusta e minimale, ha meravigliosamente amplificato il senso di chiusura e claustrofobia, accompagnato dalle luci evocative e dai costumi di Daniela Cernigliaro. Le musiche di Pasquale Scialò, con le note di Bach, Bruckner e Brahms, hanno infine donato alla pièce un’atmosfera malinconica e implacabile
Sarabanda ha così regalato ai numerosissimi spettatori davvero un’esperienza teatrale di rara intensità, un viaggio nell’abisso delle relazioni umane, che non a caso ha lasciato il pubblico sospeso tra emozione e inquietudine. Straripanti gli applausi finali, che hanno sancito il trionfo di un ineludibile Bergman, ritornato dal grande schermo al suo amato palcoscenico, senza perdere un briciolo della sua forza devastante.