Un vademecum per lo sviluppo delle relazioni del bambino in famiglia

Parlare di relazioni, specie quando riguarda i più piccoli, significa poterlo fare anche attraverso il racconto di una didascalia: camminando un bambino alza la mano cercando quella del padre che, con scarsa attenzione, la tiene ancora in tasca. Ebbene, quanti sono i casi in cui nella quotidianità di ogni giornodelle relazioni familiari si verificano tali “distrazioni”, magari preoccupandosi pure del bambino, ma trascurando il senso e il valore alla base delle sane relazioni che puntano sulla qualità.
Ogni bambino non è né il primo né l’unico; il bambino non è un monopolio né deve monopolizzare. Serve dunque porre il bambino al centro delle relazioni senza chiuderlo alle altrui relazioni o contenderselo o invischiarlo nelle proprie relazioni; questo è anche il significato che spiega la locuzione “interesse del minore”. Ciascun bambino, inoltre, conserva una propria identità, nonostante manifesta la presenza di affinità rispetto agli altribambini superando ogni forma di egoismo ed egocentrismo. In tale direzione è orientato il contenuto centrale della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.
Ciò non significa che bisogna accentrarsi e concentrarsi soltanto sul bambino. I genitori sono chiamati a misurare i loro interventi,e quindi la loro presenza, senza trascurare né la vita di coppia né altri ruoli o relazioni parentali o professionali. In modo particolare, è la suddetta Convenzione, all’art. 27, a statuire di quanto sia indispensabile “assicurare nei limiti delle loro possibilità e delle loro disponibilità finanziarie, le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo“.
Si diviene quel che si è e si è nella relazione, altrimenti il pericolo sarebbe quello di alimentare condizioni avverse di un involucro vuoto privo di contenuti per lo sviluppo del bambino: l’essere ha una costitutiva vocazione relazionale, viceversa si rischia di soffocare aspirazioni ed aspettative. I bambini hanno bisogno di trovare relazioni, situazioni, emozioni per vivere pienamente l’essere bambini.
Se si tenessero veramente a cuore i diritti dei bambini, non si dovrebbe nemmeno parlare di diritto di visita e di diritto di affidamento, perché limitativi e inquadrati secondo una prospettiva legata alla disfunzione che orbita nell’egoismo degli adulti. I bambini conservano immutato il diritto alle relazioni familiari, e volendo richiamare le parole pronunciate sul tema da un importante filosofo, Adriano Fabris, può dirsi che, “il figlio è colui che non si crea da solo. È colui che si sa sempre in relazione con altri: quelli che sono prima di lui, quelli che sono accanto a lui. Il figlio è colui che prolunga la propria relazionalità procreando a sua volta figli, di generazione in generazione. Il figlio, insomma, è l’esempio dell’essere umano in relazione“.
Il figlio, proprio perché tale, ha diritto a nascere ed essere accudito, avere un’identità certa e a relazionarsi con le figure fondamentali della sua vita e per la sua vita; tuttavia, molti genitori manifestano nei confronti dei figli forme di tutela narcisistica e molte persone – cresciute nel frattempo in età – vengono rovinate proprio da questo.
Questo, poi, si riflette nella sfera di relazioni in cui la coppia dimora; si nasce da una relazione, si cresce tra relazioni, si è quello che si è nelle relazioni, si tende alle relazioni e ognuno è una relazione con se stesso. Contributo altrettanto interessante è quello che promana dalla Carta di Ottawa per la promozione della salute del 1986, attraverso la quale, si poté osservare come “la salute è creata prendendosi cura di se stessi e degli altri, essendo capaci di prendere decisioni e di avere il controllo sulle diverse circostanze della vita. Non viviamo mai su un’isola affettiva. Siamo da sempre debitori di una cura gradita ricevuta senza merito” .
Nelle relazioni familiari il “focus” è in ogni caso il dialogo: dividere il tempo con l’altro e abbattere ogni distanza. Anche questo rientra nei doveri riguardanti la definizione dell‘indirizzo della vita familiare secondo le esigenze di entrambi i coniugi e quelle preminenti della famiglia stessa, di cui si afferma a tenore dell’art. 144 del codice civile.
Si ricava, dunque, come il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione. Una relazione autentica si fonda sulla comprensione, presenza, risonanza tra due persone che si vivono comunicando; presuppone, invero, reciprocitàemozionale, ascolto empatico e condivisione dei sistemi valoriali e culturali del mondo dei partecipanti.
Le regole della corretta comunicazione indicano che, per avere relazioni sane, bisogna acquisire capacità di espressione per aprirsi all’altro, in ogni circostanza e con qualunque interlocutore, in modo semplice e coerente con le emozioni esperite e gli stati d’animo che saranno suscitati a seconda delle modalità di interazione.
A causa delle frequenti crisi di coppia e di famiglie lacerate, anche per conflitti insanabili tra genitori e figli, occorrerebbe acquisire la consapevolezza dell’importanza delle regole di comunicazione e concepire insieme una specie di codice comune nel quale trovarsi e ritrovarsi. La comunicazione riveste una funzione nevralgica per la crescita e il benessere dei membri della famiglia e, più in particolare, per la stessa atmosfera di felicità, di amore e comprensione intorno al bambino che, talora, suo malgrado, è costretto a vivere da spettatore decisioni non proprie, ma subite e sofferte.
Bisogna liberarsi delle cosiddette relazioni tossiche perché nocciono non solo alla propria salute ma a tutta la famiglia e inficiano anche le altre relazioni e situazioni.