“La La Land”, una re-visione

Quando vidi per la prima volta al cinema “La La Land” pensai che tutte le cose che avevo scritto sul cinema recente (spesso brutte) fossero sbagliate: è come quando ti innamori, dopo esserti ripromesso di rimanere single per un paio di secoli.
Il film mi aveva sorpreso, e non succede spesso.
Il merito è di Damien Chazelle, il regista: raramente avevo visto in un film tanto amore per il cinema del passato, accompagnato dalla consapevolezza di poterne riproporre la forza, la capacità di far sognare, l’eleganza, l’energia dirompente.
Chazelle mi aveva dato l’impressione di giocare col fuoco (il fuoco dell’Arte) senza bruciarsi, di voler creare un classico omaggiando e sfidando insieme i classici.
Ciò che contraddistingue qualsiasi musical è la sua artificiosità, che diventa una palla al piede pesantissima quando un film non viene baciato dalla genialità, dalla soavità: “La La Land” mi era sembrato leggero ed elegante come una farfalla, e capace di pungere come un’ape.


Ho rivisto il film giusto qualche sera fa: mi è sembrato persino più bello della prima volta.
Una pellicola straordinaria, che lascia stupefatti per la maturità esibita da un regista così giovane come Chazelle, per la sua perfetta padronanza di una materia assai ostica da trattare (il musical), che peraltro viene “modernizzata” senza tradirne lo spirito: così la pellicola diverte, fa sorridere, fa emozionare, commuove, e lo fa senza ricorrere a facili scorciatoie. Fa sognare, soprattutto, come dovrebbe far sognare qualsiasi musical, da Astaire-Rogers in poi, perché in ciò consiste questo genere: non solo intrattenimento, ma materializzazione del sogno, attraverso le immagini, la musica, la danza, la coreografia.
Emma Stone è un film nel film: la sua interpretazione è ai livelli della Garland in “E’ nata una stella”, che è quanto di più alto possa sperare un regista (o uno spettatore come me); è accompagnata benissimo da Gosling, un attore che lavora spesso per sottrazione, e che, a dispetto delle malelingue, incide sempre tantissimo nei film in cui recita.
“La La Land” è stato un successo perché è un film coraggioso sul piano artistico, nel quale il tema di quanto coerente con sé stessa debba essere l’arte è forte almeno quanto quello sentimentale: sia su questo punto, che su quello dell’interpretazione della protagonista, il film di Chazelle supera nettamente “E’ nata una stella” di Cooper.
Essere coerenti con sé stessi non è sempre garanzia di riuscita, non solo in ambito artistico, e non di rado porta anzi a dei disastri: per questo dobbiamo essere felici dei risultati trionfali di questo film, per questo possiamo minimizzare le voci contrarie di chi ha sottovalutato la pellicola solo per il genere a cui appartiene, o “solo perché parla d’amore”, come se un sonetto di Shakespeare e un romanzetto rosa fossero la stessa cosa.
E, nello stesso tempo, possiamo tranquillizzare anche quegli appassionati che, pur apprezzando il film, si sono lamentati per il finale: non il classico happy ending che in molti auspicano vedendo una pellicola che ha nel romanticismo uno dei suoi temi.
In realtà la stupenda scena conclusiva, una sequenza di 10 minuti che è la punta di diamante di uno splendido film, da una parte afferma, prepotentemente, la dignità artistica del musical, dall’altra sottolinea, shakespearianamente, l’esistenza dell’Amore: “Amore non muta in poche ore o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio: se questo è errore e mi sarà provato, Io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.”