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Un ricordo di Giuliano Montaldo

E’ scomparso qualche giorno fa a Roma, all’età di 93 anni, Giuliano Montaldo, il grande regista italiano.

Nato nel 1930 a Genova, Montaldo iniziò il suo percorso cinematografico come attore (ad esempio in “Achtung! Banditi!” di Carlo Lizzani), ma ben presto passò alla regia, firmando il suo primo film nel 1961: “Tiro al piccione”, una drammatica vicenda ambientata durante la seconda guerra mondiale. Nel 1965 il regista genovese diresse “Una bella grinta”, con Renato Salvatori, una pellicola che, come altre dello stesso periodo, prendeva spunto dal boom economico degli anni sessanta per evidenziarne i lati oscuri.

E’ del 1967 “Ad ogni costo”, un thriller dalla produzione internazionale e dal variegato cast (in cui figurano, addirittura, Edward G. Robinson e Janet Leigh), che consegnò Montaldo alla notorietà, anche e soprattutto al di fuori dei confini della nostra penisola; due anni dopo, infatti, gli fu affidata la direzione de “Gli Intoccabili”, ancora una volta con un cast internazionale (John Cassavetes, Peter Falk, Gena Rowlands) e scene girate negli Stati Uniti, per una pellicola che ebbe un notevole successo di pubblico, consolidando lo status di Montaldo di regista ormai affermato.

Forte del  successo professionale e di una maturazione artistica in rapidissima evoluzione, Montaldo girò quella che è ricordata come “la trilogia sul potere”.
Nel 1970 venne distribuito nelle sale “Gott Mit Uns”, con Franco Nero come protagonista, drammatico film sull’abuso di potere militare; nel 1971 Montaldo diresse quella che forse è la sua pellicola più famosa, e meglio accolta dai critici, “Sacco e Vanzetti” (con Gian Maria Volontè e Riccardo Cucciolla), film che racconta la tragica vicenda dei due anarchici italiani ingiustamente condannati a morte negli Stati Uniti; nel 1973 il regista genovese girò “Giordano Bruno” (dunque un film sull’abuso di potere religioso), ancora una volta con uno straordinario Volontè.

Montaldo, all’alba dei 45 anni, era ormai uno dei registi italiani più conosciuti e affermati, uno dei pochi capaci di coniugare spettacolarità, ricerca artistica, e un eclettismo tale da consentirgli di saltare senza timore da un genere all’altro, sempre con ottimi risultati.
Nel 1976 il regista tornò a raccontare la Resistenza, attraverso “L’Agnese va a morire”, con Ingrid Thulin, uno dei suoi film migliori, capace di porre l’accento sul contributo dato dalle donne alla Liberazione.

Nel 1978 Montaldo passò alla televisione, dirigendo “Circuito chiuso”, pellicola fortemente metaforica sulla rappresentazione della violenza al cinema, proprio in un momento in cui il cinema italiano di genere, attraverso poliziotteschi e western a volte  raffazzonati, premeva fortemente l’acceleratore di un sensazionalismo violento, in linea con le tensioni sociali di quel periodo.

“Il giocattolo” (1979), con Nino Manfredi, è in perfetta continuità con questo discorso critico: i problemi sociali, la violenza in eccesso, ma anche i cambiamenti nel cinema italiano, all’interno del quale la commedia non riusciva più a rappresentare efficacemente un mondo in rapidissima evoluzione, trovano riscontro nell’ennesimo film dall’ottima fattura.

Si arriva così al 1982, data cruciale per Montaldo. La Rai, infatti, gli affidò la direzione di un kolossal dedicato alla vita dell’esploratore veneziano Marco Polo, e Montaldo offrì il meglio di sé, in una produzione internazionale dall’alto significato artistico ma anche politico, perché in grado di alleggerire i rapporti con la Cina.
 “Marco Polo”, interpretato dal giovane Kenneth Marshall, affiancato da una folta schiera di stars, fu la produzione italiana più importante fino a quel momento, seconda solo a “Gesù di Nazareth” di Zeffirelli: esportato in tutto il mondo, accompagnato da una campagna pubblicitaria in qualche modo simile a quella degli attuali blockbusters cinematografici, lo sceneggiato fu un successo interplanetario. 

Dopo questa esperienza Montaldo tornò a dirigere pellicole per il cinema, distinguendosi sempre per una professionalità e una coerenza artistica che oggi è merce davvero rara.
“Il giorno prima” (1986) è un film sceneggiato addirittura da Piero Angela: un misto di fantascienza e sociologia, ancora una volta con un cast internazionale, ma con un esito (artistico e commerciale) non in linea con le aspettative.
“Gli occhiali d’oro” (1987), con Philippe Noiret, è invece un intenso dramma, che riportò Montaldo sotto i riflettori, garantendogli anche una candidatura al Leone d’Oro.
Del 1989 è invece “Tempo di uccidere”, con un giovane Nicolas Cage.

Premiato con il David di Donatello speciale alla carriera nel 2007, Montaldo tornò a graffiare, a 77 anni, con “I demoni di San Pietroburgo”, suggestiva pellicola che raccolse buoni consensi di pubblico e critica, e ancora con “L’industriale” (2012), con l’allora emergente Pierfrancesco Favino, in un film premiato con  il Globo d’oro.

Montaldo aveva, negli anni novanta, ripreso quella carriera d’attore precocemente interrotta negli anni sessanta: dopo varie interpretazioni (anche in “Il Caimano” di Moretti) ottenne la ciliegina di una incredibile carriera nel 2017, con il premio come miglior attore non protagonista per la sua interpretazione in “Tutto quello che vuoi” di Francesco Bruni, film delicato e commovente.
Un fatto che potrà sembrare incredibile, quello cioè di ricevere un premio come attore a 87 anni, dopo una vita spesa a fare il regista, ma che testimonia, forse più di ogni altra sua opera, la vitalità artistica e intellettuale di un grande uomo di cinema.

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Ivano Di Puglia, 49 anni, ingegnere edile e libero professionista. Appassionato di cinema sin da bambino, dello sport in generale e del tennis in particolare, amante dell'arte, della letteratura (anche quella a fumetti), della poesia. Ha collaborato, per un breve periodo, alla fanzine cinematografica "The Ed Wooder".
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