Considerazioni sul reato perseguito nel processo sulla cosiddetta “Trattativa Stato-Mafia”

Il tema storico giudiziario della cosiddetta Trattativa Stato- mafia nell’ambito della grande maxi inchiesta che ha cercato di occuparsi della connivenza di settori istituzionali culminato nell’ondata di stragi del biennio ‘92-‘93, ha sempre creato dibattito sul principio di legalità, stringente in ambito penale. Principio espresso nel codice penale all’articolo 5 che recita “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”. Per non complicare la vita a nessuno con nozioni che talvolta possono provocare sonori mal di testa, il principio di legalità formale ci dice che se un reato non è previsto dal codice penale e l’evento della realtà naturale non vi può rientrare, in gergo tecnico si dice che “non vi è sussunzione”, allora quel determinato comportamento non può essere punito dalla legge come illecito. Nella vicenda che vede protagonisti parti dello Stato, in particolar modo i vertici dell’Arma dei Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale (R.O.S.), nelle persone del Gen. Mario Mori e degli Ufficiali Antonio Subranni e Giuseppe De Donno , i quali conferirono con l’ex Sindaco di Palermo Vito Ciancimino, nota figura di politico-mafioso, per addivenire ad un tregua alla stragi mafiose o per capire cose stesse succedendo dentro Cosa Nostra. Nonostante che questi contatti e fatti sono ampiamente acclarati sul piano giudiziario ancora oggi una certa informazione, molti opinionisti pensano di spostare l’attenzione dal problema centrale che è morale ed etico e ,quindi, che non vi fosse un reato nel fatto che gli ufficiali dell’arma avessero avuto contatti per tramite di Ciancimino con l’organizzazione mafiosa. Questa è stata un’operazione soprattutto portata avanti da un’informazione in aperta mala fede, che ha voluto far passare l’idea che vi fosse un errore da un punto di vista giuridico, in quanto si riteneva che non esistesse nessun “reato di trattativa” per quegli uomini che rappresentavano lo Stato e nella relazione con un personaggio del calibro di Vito Ciancimino, mediatore nella “trattativa” molto probabilmente con terminale Bernardo Provenzano. A ben vedere questa considerazione è erronea: il reato perseguito non è quello di trattativa, sicuramente inesistente, ma di “minaccia ad un corpo politico amministrativo o giudiziario” sancito dall’articolo 338 del codice penale, il quale punisce con la pena della reclusione da uno a sette anni “chiunque usa violenza o minaccia un corpo politico amministrativo o giudiziario o una rappresentanza dello stesso o ad una qualsiasi pubblica autorità costituita in collegio, per impedirne, in tutto in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attività”. Quest’ultimo, aggravato dal successivo articolo 339 c.p., il quale prevede per l’appunto le aggravanti dell’articolo antecedente. Pertanto il bene giuridico leso è la “libertà di autodeterminazione dei corpi politici amministrativi e giudiziari dello Stato” che, per così dire, sono dovuti scendere a patto con esponenti della criminalità organizzata per provare a placare la situazione di totale destabilizzazione che era presente nell’Italia dei primi anni ‘90, e che portò alle stragi del ‘92 ed a quelle del ‘93, nonché all’ultimo mancato attentato allo Stadio Olimpico del 1994, che, qualora si fosse realizzato, avrebbe rappresentato probabilmente il più grave mai portato a termine da Cosa Nostra. La Corte di Cassazione ha ritenuto che non vi fosse reato, la Corte d’Appello solo comportamenti condannabili, però in tutti i gradi giudizio permane il problema etico che coinvolge parte dello Stato nei confronti di coloro che hanno e perso la vita a vita contro la mafia e non si sono avvalsi di sotterfugi o di giochi segreti. È da censurare e condannare poiché assolutamente riprovevole che uomini che fanno parte delle istituzioni, scendano a patti per quella tanto declamata a sproposito “ragion di Stato” con soggetti che rappresentano il cancro della società e che si sono resi responsabili di centinaia di morti e violenza. In definitiva questa resta forse la cosa più grave, disonorevole e indegna da sottolineare per chi si approccia a tali problematiche.