Lo spazio del nuovo Welfare in Italia riassunto in un messaggio

Si è tanto parlato negli ultimi giorni – e pure polemizzato – in relazione ai messaggi ricevuti da parte di Inps a numerosissimi italiani percettori del Reddito di Cittadinanza, ai quali è stata comunicata la cessazione dell’erogazione della misura assistenziale, legata al sussidio introdotto oramai nel lontano 2019.
È bene partire dalla base, quindi dal Reddito di Cittadinanza. Il Reddito si inscrive nelle misure di “reddito minimo”. Si tratta di misure di welfare piuttosto comuni in Unione Europea: è significativo il fatto che il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali preveda il diritto “per le persone che non possono godere dei servizi” di avere un aiuto “extra” dal governo. L’Italia è stato l’ultimo Paese, del Sud Europa, ad adottare una simile misura.
Non è stata però un’innovazione ben accolta. In questo senso, la proposta del Governo Meloni si inserisce perfettamente nelle critiche che vennero levate contro il Reddito nei mesi precedenti la sua approvazione: il reddito è accusato di essere una misura che disincentiverebbe la ricerca attiva di lavoro. Per correggere questa distorsione, laproposta del governo è quella di creare un nuovo strumento, l’Assegno di Inclusione, che avrà dei criteri di eleggibilità (cioè le regole per ricevere l’assistenza) leggermente diversi dal Reddito.
Una delle maggiori differenze riguarda infatti la “scala di equivalenza” con cui viene attribuito il “punteggio” che contribuisce a determinare l’importo dell’assegno mensile: nel caso dell’Assegno, le famiglie con maggiorenni under 60 non disabili, ottengono un punteggio minore rispetto a quello che avrebbero ottenuto con il Reddito (da 0,40 punti a 0).
In altre parole, i maggiorenni “abili” dovrebbero cercare un lavoro. Al contempo, i nuclei familiari con componenti tra i 18 e i 59 anni, senza disabili né minori a carico, non potranno accedere all’Assegno, ma saranno eleggibili (se in situazione di povertà assoluta) per il Supporto per la Formazione e Lavoro.
Questo è un nuovo strumento che fornirà ai beneficiari sia corsi di formazione che un assegno mensile di 350 euro (la cui durata coincide con quella della formazione, e non oltre i 12 mesi). In base a questa riforma, si dovrebbero avere due effetti.
Il primo, più ovvio, è un restringimento dell’output del reddito: secondo uno studio condotto dal Corriere della Sera, 615mila individui (400mila nuclei familiari) perderanno il Reddito, circa un nucleo famigliare su tre. Il secondo effetto è la dislocazione di molti ex-percettori di Reddito: grazie al nuovo regime, diremmo pienamente workfarista, gli individui “abili” verranno incentivati a formarsi e accettare offerte di lavoro.
Rispetto alla parte di “attivazione” del Reddito di Cittadinanza (incarnata nella figura del “navigator”), il nuovo sistema di attivazione farebbe perno sul Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa (SIISL): trattasi di una nuova piattaforma digitale che dovrebbe permettere di mettere in comunicazione le banche dati dei vari servizi di inserimento lavorativo presenti in Italia.
Va fatto inoltre notare che, il decreto legge, prevede che il SIISL non debba comportare “nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, segno che il legislatore voglia ottenere un’implementazione davvero efficiente.
Una volta formati, dunque, che lavoro potrebbero trovare gli ex percettori di Reddito ora riconosciuti come “abili”?
In questo senso, è opportuno chiedersi quali siano le politiche del lavoro del Governo Meloni. Negli ultimi mesi del precedente Governo Draghi, la proposta di introdurre un salario minimo legale in Italia, sulla spinta delle iniziative UE, era stata dibattuta pubblicamente.
In Europa, 21 Paesi su 27 hanno già questo tipo di misura. Le proposte, presentate alla Commissione Lavoro della Camera, variano: il salario minimo potrebbe andare dai 9 ai 10 euro orari. La logica della proposta è comunque simile: si tratta di stabilire una soglia minima, per tutto il territorio nazionale, al di sotto della quale non si possa essere pagati. La logica, in questo senso simile a quella del Reddito di Cittadinanza, è di portare i salari a una soglia economicamente accettabile.
La questione concerne un dibattito aperto che continuerà a far discutere e, verosimilmente, a sollecitare aspri confronti e possibili divisioni, tuttavia restando fermo il dato basilare secondo cui, i termini della materia essendo così rilevanti sul piano economico e sociale, impongono serie riflessioni e l’adozione di soluzioni partecipate da tutti i protagonisti coinvolti, fino al perseguimento di scelte sganciate da prese di parte e ideologie aprioristiche, bensì orientate piuttosto al migliore interesse generale della comunità in chiave futura.