Letteratura che corre avanti alla vita

L’ Accabadora è il primo romanzo di Michela Murgia, edito nel 2009, da Einaudi( Premio Campiello 2010). Un’ opera singolare per i temi- allora non di forte impatto civile e umano come lo sono ora-, e per la scrittura che rompe ogni schema, sia di modernità che di tradizione, per attingere alle fonti delle grandi opere sapienziali che hanno attraversato indenni il Tempo di tutti i tempi. Arcaiche e moderne precorrono i giorni che verranno. L’ Accabadora-dallo spagnolo acabar che vuol dire porre fine-era colei che portava la morte ai malati senza speranza di guarigione. Chiamata “l’ ultima madre” perché chiudeva il cerchio vita-morte, era una figura sacrale nella cultura sarda. Praticava l’ eutanasia e per questo pietoso uffizio veniva rispettata e temuta
nella comunità a cui apparteneva. Dare la morte a chi è prossimo a morire, liberarlo dai tormenti dell’ agonia non era una colpa da perseguire e punire, come lo è oggi. Semmai un dono, un privilegio concesso ad alcune donne. Come soltanto le donne possono dare la vita, solo alle donne è dato di aiutare a morire. La modernità ha rimosso dall’ orizzonte esistenziale insieme con la morte il diritto a una buona morte. Diritto che nelle culture premoderne era riconosciuto come lo era il diritto alla vita, a una buona vita. L’ Eudemonia come l’ eutanasia rappresentavano nel pensiero greco due poli convergenti verso un unico fine: il bene. In questo romanzo di Michela Murgia ci sono già tutti i temi delle sue battaglie intellettuali e civili, e quasi un presagio della propria personale vicenda, del suo modo di vivere la malattia come generosa lotta per la vita in vista di un distacco da essa senza lacerazioni, con la naturalezza di ciò che accade perché deve accadere, perché è nell’ordine delle cose che accada.
L’ altro tema che diventerà oggetto di battaglia civile, ma che soprattutto determinerà il corso della sua vita affettiva è quello della famiglia elettiva, la famiglia queer. Che a differenza di quella naturale non è fatta di vincoli di sangue, ma di legami che nascono da affinità e scelte. La famiglia che si fa propria, che si adotta per una spontanea, gratuita consuetudine di affetti. L’ Accabadora ha una figlia d’anima, Maria, che adotta, cresce, educa senza chiedere niente in cambio. Soltanto di non essere lasciata sola nel momento della fine. Ancora una volta la letteratura anticipa la vita, sembra quasi indirizzarla verso un finale a tema. Come se la visione del mondo di Michela Murgia, trasgressiva del proprio tempo e antichissima,
avesse preso corpo nel suo vissuto.
Come Pasolini fu soprattutto un poeta-dal suo essere poeta, la sua profetica lungimiranza-, così Michela Murgia è stata, più di ogni altra cosa, una straordinaria narratrice che non ha fatto in tempo a riassumere in un grande romanzo la sua epoca. A trasfondere nella sua magnifica prosa il proprio pensiero, le sue visioni, i miti ancestrali che affondano nell’ unicità della sua terra. Questo è il più grande rimpianto che Michela Murgia con la sua morte precoce lascia in chi ha letto l’ Accabadora.
Anna Vasta.