Muoversi in città

L’impressione che si ha, osservando le strategie sulla mobilità che agitano il mondo politico e industriale, tutti intenti ad introdurre strategie e nuove tecnologie finalizzate a ridurre le emissioni (inquinanti o meno) del parco auto, è che si stanno trascurando, non so se consapevolmente, delle evidenze che sono sotto gli occhi tutti.
La strategia di incentivare l’auto elettrica, ad esempio promuovendone l’acquisto o installando a pie’ sospinto colonnine per la loro ricarica oppure fissando scadenze e limitazioni alla vendita e uso di auto diesel, mi pare sia carente nel tenere in considerazione un aspetto ovvio: il problema della mobilità intensa (causa di emissione concentrate) è presente quasi esclusivamente nelle aree urbane, in particolare quelle con forte densità abitativa (fatto salvo qualche situazione di congestione temporanea in aree extraurbane).
Questa banale osservazione porta come conseguenza che il problema ambientale della mobilità è un problema tipico delle città, piccole medie e grandi, che, da quello che si legge, ora ospitano più della metà della popolazione mondiale.
Il primo passo per risolvere il problema dell’impatto ambientale dei veicoli sarebbe quindi quello di individuare dapprima il “dove”, evitando fuorvianti generalizzazioni. Chiunque si avvicini con un auto alla città dalle zone limitrofe noterà il modo di procede e della progressiva riduzione della velocità media, non solo dovuta ai limiti di velocità, ma al traffico. Si noterà (parlo per Roma, ma penso possa valere per ogni città) che il raggiungimento della destinazione non significa essere “arrivati”, in quanto l’individuazione di un luogo “lecito” o “legale” ove lasciare l’automezzo aggiunge al viaggio un ulteriore non trascurabile lasso di tempo. O l’ineluttabile multa!

Dai numeri disponibili per Roma si vede che ci sono 1.700.000 veicoli, che dovrebbero quindi avere garantito un adeguato spazio dove essere lasciati (un altro milione di veicoli inoltre affluisce e rifluisce ogni giorno dall’Interland). Sempre da numeri disponibili si viene a sapere che di quei veicoli urbani quelli circolanti quotidianamente sono circa 6-700.000. Il rimanente milione (un milione!) rimane fermo l’intera giornata.
Da questi pochi numeri ed informazioni si capisce che non è sostituendo veicoli di un tipo con un altro (ad esempio da diesel o benzina con altri elettrici o a biodiesel) che si risolve il problema: si può migliorare l’efficienza e quindi la qualità dell’aria, ma i problemi di intasare le nostre città con tante auto, ferme per la maggior parte del tempo, e di limitare i tempi morti, non sono intaccati.
Un’altra osservazione (anche questa banale. Scusate!) è che le nostre città, piccole medie e grandi, sono state costruite in epoche remote, quando l’unico problema ambientale erano le deiezioni dei cavalli, allora unico mezzo di trasporto a disposizione (ad inizio ‘900 l’introduzione dell’auto a combustione interna fu vista come la soluzione ecologica al trasporto urbano!).
Nei downtown delle metropoli americane è molto difficile trovare auto parcheggiate lungo i marciapiedi, in quanto quelle città sono state progettate e realizzate intorno al modello di un trasporto individuale con veicoli a motore (con altre conseguenze anche lì non sempre positive).
Quello che quindi si deduce è che le strategie europee (e quindi nazionali) sulla mobilità, e quelle conseguenti dell’industria che, ob torto collo, è obbligata a seguire, risolvono parzialmente il problema; ammesso ovviamente che quell’energia elettrica che dovrà alimentare il futuro parco macchine con batterie sarà prodotta da energia rinnovabile, perché altrimenti è solo un modo un po’ furbetto ed ingannatore di “delocalizzare” le emissioni (dalla città ad un “altrove”).
Non esistono tecnologie “buone” o “cattive” e l’obiettivo rimane quello di garantire in maniera efficiente e efficace la mobilità urbana delle persone (e non il possesso di un’auto), magari liberando le nostre città dall’obbrobrio metallico che le ha invase dalla metà del secolo scorso.
Le soluzioni sono disponibile e non c’è da inventarsi nulla. Ovviamente un efficace trasporto pubblico: in questo rientrerebbe anche quello pubblico privato (leggi taxi), ora in mano a piccole ed agguerrite lobby, che bloccano questa che è la vera soluzione al trasporto rapido e individuale in città. Ampliare e rendere abbordabili.i servizi taxi, magari utilizzando veicoli a basso impatto, è una scelta política che ogni parte politica ha sempre cercato di affrontare.
La tecnologia digitate ha cercato di supplire a questa deficienza inventandosi soluzioni innovative quali il trasporto condiviso (tipo UBER, prontamente bloccata in Italia), il car-sharing (tipo Enjoy dell’ENI) o la micro mobilità di biciclette elettriche e monopattini (anche questi, forse anche giustamente, sulla via di essere bloccati). O evitando di muoversi inutilmente, come con lo smart-working o la consegna delle merci a domicilio.
Sono primi passi, quasi sperimentali qui in Italia, verso un modo di muoversi (in città) più efficace e che al tempo stesso possa migliorare la qualità della vita delle persone e dell’ambiente cittadino.
Esiste ovviamente intorno all’auto, status symbol, della nostra società moderna, un mondo consolidato che, dai gestori di parcheggi alle industrie automobilistiche, su questo vive ed è cresciuto e che, naturalmente, resiste.
In questi casi servirebbe una Política lungimirante capace di compensare ed indirizzare progressivamente queste spinte verso una società moderna e più vivibile. Ma finora, dall’alto, arrivano solo slogan, diktat, scadenze e iniziative di autopromozione. Il solito.