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“L’altalena” di Nino Martoglio messa in scena a Catania

Dal 20 al 25 giugno è andata in scena alla Sala Verga del Teatro Stabile, la commedia in tra atti di Nino Martoglio:“L’Altalena” o “Voculanzicula”con Tuccio Musumeci e Mirko Magistro, Guia Jelo, Filippo Brazzaventre, Carmela Buffa Calleo, Emanuele Puglia, Santo Santonocito, Luana Toscano.

La Regia è di Giuseppe Romani ,Scene e costumi di Giuseppe Andolfo, Musiche di Carmen Failla

produzione Teatro Stabile di Catania, Teatro della Città/ Centro di produzione Teatrale

Il 22 marzo 1909 al Teatro Paganini di Genova, allestita dalla Compagnia di Giovanni Grasso, esordiva LAltalena o Voculanzicula.

La tragi/commedia, una sorta di sceneggiata popolare dai toni esilaranti, ruota attorno alla contrastata vicenda amorosa dell’orfana Ajtina, che, sedotta e abbandonata da Mariddu, viene soccorsa e consolata da Neli, fratellastro del fedifrago fidanzato e segretamente innamorato della giovane.

Quando Mariddu esce dal carcere, dopo aver ferito Ajtina, spinto da un malsano senso del possesso vorrebbe riallacciare la relazione con la ‘sua’ ragazza che, con un colpo di scena, preferisce il generoso e timidamente innamorato Neli:

“Ma ora no, ora sugnu cunvinta ca ju sugnu ‘nt’ ‘o vostru cori comu vui siti ‘nt’ ‘o miu, e non vogghiu ‘ngannari a nuddu… e vi dicu a vui, ‘n prisenza d’iddu e ‘n prísenza di tutti, ca ccu vui, comu amanti, e macari comu serva, ci vegnu ccu’tuttu lu cori, ma ccu íddu no chiú, né comu mugghierí, né comu riggina!…”

L’arguto inserimento nella storia di figure caratteristiche della Civita del tempo e soprattutto dei cosiddetti ’giovani di barbiere’  i decisamente maturi Ninu (Miko Magistro ) e Pitirru (Tuccio Musumeci), e della ‘mavara’ ‘za Sara’ (Guia Jelo), animano con gag e improvvisazioni la scena riportando all’attualità forme arcaiche e obsolete della lingua siciliana in omaggio all’intento dell’autore di rendere famoso a livello nazionale il teatro dialettale.

Vengono superati così i toni patetici di fondo creando quel capolavoro di comicità che con i suoi successi ha superato il secolo conservando tutto il suo smalto.

La commedia è dedicata a Luigi Pirandello (con lui compose A vilanza e Cappiddazzu paga tuttu) estimatore e grande amico dell’autore di cui diceva:

“Martoglio è per la Sicilia quello che è il Di Giacomo e il Russo per Napoli, il Pascarelli e il Trilussa per Roma… Voci native che dicono le cose della loro terra, come la loro terra vuole che siano dette per essere quelle e non altre…Pirandello, Il teatro siciliano vive massimamente per lui ed egli ne è stato il vero e unico fondatore”. 

L’autore belpassese infatti invitò oltre Pirandello anche altri ‘grandi’ come Verga, Capuana, De Roberto, Rosso di San Secondo a creare un repertorio siciliano promuovendo il successo di attori (G. Grasso, A. Musco, Marinella Bragaglia, Mimì Aguglia, T. Marcellini) con l’intento di favorire una sinergia tra interpreti popolari e drammaturgia d’autore.

Ma al di là della divertente tragicomica ‘sceneggiata’, “L’Altalena” apre la strada a ben più profonde considerazioni sul piano storico e sociale, anche intrecciate alla vita dello stesso autore.

In primo luogo consideriamo che Martoglio, nasceva a Belpasso nel 1870 da un avvocato ex garibaldino e giornalista, Luigi, e da una maestra elementare Vincenza Zappalà Aradas. Una famiglia borghese e istruita dunque era il brodo di coltura in cui si formava il giovane Nino che ben presto volle entrare nella redazione della Gazzetta di Catania, fondata dal padre.

Non ancora ventenne creava un proprio giornale, il settimanale satirico D’Artagnan (1889 – 1904) in cui dava voce ai poveri della sottoproletaria Civita e alle sue istanze socialiste.

“Il socialismu -fa dire a uno degli interpreti della pièce- porta tanti vantaggi…prima di tuttu il vantaggio della fratellanza tra tutti ‘i suggialísti, che formano una famiglia…ti pari giustu, mintemu, ca ‘nt’ ‘o munnu, ci divi essíri ‘u riccu ca non travagghia, e ‘u puureddu, ca ietta sangu d’a taula d’u pettu?”.

Nel 1902 Martoglio era stato eletto consigliere comunale nella lista dei ‘popolari’; nel 1904 – entrato in urto con i socialisti catanesi – si trasferì a Roma.

Si dedicherà in seguito alle sue compagnie teatrali alle commedie, novelle, ai versi, e anche al cinema nel secondo decennio del Novecento, mettendo sempre in scena un’agile satira, anche se in chiave comica, dietro cui emergono le idee socialiste nell’interpretazione -tra fede paganesimo e istanze sociali- del popolino.

E questo fino all’incidente del 1921, alla misteriosa morte che lo colse prematuramente a 51 anni.

Non dimentichiamo che quelli erano gli anni di Giuseppe De Felice Giuffrida (1859-1920), il glorioso, anche se controverso, politico catanese fondatore del fascio siciliano dei lavoratori nel 1891, deputato per i ‘popolari’ l’anno dopo, prosindaco di Catania dal 1902 al 1906 (nel 1904 creò i forni comunali) e dal 1912 al 1914 (anno in cui fu presidente della Provincia).

Rieletto alla camera vi sedette dalla XVIII alla XXV legislatura: “U nostru patri” dei catanesi infiammati dai suoi comizi.

Martoglio respirava quell’atmosfera, tra provincialismo, perbenismo borghese ed emancipazione, e la tramutava in arte.

Anche il tema della pièce analizzata affonda le sue radici storico sociali fin dal medioevo.

L’onore sessuale femminile è un tormentone in una società di antico regime in cui l’unica certezza della paternità è legata alla verginità delle fanciulle e alla fedeltà delle mogli;

 l’onore perduto e recuperato con il sangue o con il matrimonio riparatore è presente nella legislazione da Federico II e in seguito: basti pensare alla Baronessa di Carini e alle tante vittime sepolte nell’oblio.

Ancora in età borbonica le leggi ‘illuminate’ De Raptu virginum e De stupro obbligano al matrimonio riparatore o ad un indennizzo ma rimangono molto severe nei confronti delle donne sempre sospettate di essere furbe ingannatrici pronte a irretire ‘giovani dabbene’

In questo panorama la donna è un oggetto passivo, se non ‘colpevole’.

Questo fino agli anni Sessanta del Novecento quando al boom economico seguirà il liberatorio Sessantotto.

In tale contesto, nel 1961 esce il film “Divorzio all’italiana”, di Pietro Germi che punta l’accento sul delitto d’onore (art. 587 del codice penale).

Nel 1964 con un altro film, “Sedotta e abbandonata”, il regista analizza l’ipocrisia del grottesco senso dell’onore.
Il 1965 è l’anno del caso Viola.

Franca Viola rifiuta il matrimonio riparatore con Filippo Melodia, il fidanzato che l’aveva rapita, violentata e segregata. Melodia venne incarcerato e Franca sarà insignita nel 2014 dell’onorificenza di ‘Grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana’.

La sua vicenda ispirò, nel 1970 il film “La moglie più bella” di Damiano Damiani.

Già nel 1964 a Catania un maestro di Piazza Armerina aveva ucciso in un’aula universitaria, con parecchi colpi di pistola Francesco Speranza colpevole di avere sedotto la figlia Maria Catena Furnari, allieva del suddetto docente.

Filippo Furnari fu assolto.

Fu l’ultimo delitto d’onore, reato che venne abrogato con la legge 442, promulgata il 5 agosto 1981a sedici anni di distanza dal rapimento della Viola.

Solamente nel 1996 lo stupro da reato «contro la morale» sarà riconosciuto in Italia come un reato «contro la persona».

Ma quasi un secolo prima Martoglio si mostrava sensibile a queste problematiche tanto da puntare il dito contro l’atavico concetto di onore e dare spazio alla libera scelta della donna in una società certamente non ancora pronta ad accettare tali aperture.

                                                                                                       

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Silvana Raffaele, laureata in Lettere moderne, è stata professore ordinario di Storia moderna presso l'Università di Catania. Nella sua lunga carriera, oltre a seguire allievi e tesisti, ha organizzato convegni di studio, seminari, conferenze, e viaggi di istruzione a livello nazionale e internazionale. Ha insegnato anche presso il Dottorato di ricerca in Storia del Mediterraneo dell'Università di Potenza. Specialista del periodo borbonico si è occupata, scegliendo tra un centinaio di pubblicazioni, di politica assistenziale specie dell'infanzia abbandonata, di demografia storica, di analisi delle strutture familiari, di storia delle realtà accademiche e universitarie specie nel campo della sanità, di patrimonio culturale dell'isola e di politica scolastica. Ha pubblicato infine un volume sul feudalesimo al femminile e in particolare sulle monacazioni forzate in età moderna. Negli ultimi anni ha ideato e completato un progetto di turismo culturale "Catania e i suoi Palazzi: il recupero della memoria" con cui si è proposta, attraverso l'apposizione di ben 162 tabelle e dopo una lunga ricerca di archivio, di recuperare l'architettura urbanistica in senso storico per imparare a leggere la città attraverso le categorie sociali che nel tempo hanno voluto autorappresentarsi con i loro edifici. Per circa quattro anni ha pubblicato su informarmaSicilia le recensioni di tutti gli spettacoli di lirica, sinfonica e prosa messi in scena dal Teatro Massimo 'Bellini', dallo Stabile e dal Brancati nella stagione invernale e in quella estiva.

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