Francesco Nuti, il tragico destino di un artista unico

Francesco Nuti ci ha lasciati il 12 giugno, a 68 anni, dopo quasi 17 anni di sofferenza.
Una drammatica caduta, nel 2006, gli aveva procurato un gravissimo ematoma alla testa, e un coma che ne aveva minato le capacità motorie, nonostante anni di terapia.
Una fine triste e dolorosa per un artista grande e sfortunato, geniale e irrequieto, vulcanico e malinconico insieme.
Nuti aveva esordito come cabarettista, prima nei club e nei locali, poi in televisione, nel gruppo comico “I Giancattivi”, assieme ad Athina Cenci e Alessandro Benvenuti: la loro ironia, la loro comicità stralunata e surreale, avevano catturato il grande pubblico grazie a “Non Stop”, programma televisivo andato in onda sui canali Rai nel 1977 e nel 1978. Il passaggio al cinema, a quel punto, era quasi scontato, e in effetti “Ad Ovest di Paperino”, diretto da Benvenuti, fu un buon successo di pubblico e di critica: una pellicola godibile e divertente, che non tradisce lo stile dei Giancattivi, e sembra già indirizzare il futuro di Nuti, pronto a lasciare il gruppo per intraprendere una carriera di attore, regista, artista a tutto tondo.

Francesco Nuti nel film “Ad ovest di paperino”
“Madonna, che silenzio c’è stasera”, diretto da Maurizio Ponzi nel 1982, è il primo film di Nuti “in solitaria”. Un film in cui l’artista toscano conferma il suo talento in continua evoluzione, e che nel film successivo, “Io, Chiara e lo Scuro”, diretto ancora una volta da Ponzi nel 1983, trova una espressione già matura e compiuta.
La pellicola è infatti originale, briosa, divertente, ma con momenti riflessivi e malinconici, e con intermezzi sentimentali mai banali. Ispirato in parte al capolavoro di Robert Rossen, “Lo spaccone”, con una azzeccatissima, e realistica, ambientazione nelle sale da biliardo di periferia, “Io, Chiara e lo Scuro” è un film che aggiorna il linguaggio e il ritmo della commedia all’italiana classica, ed è un successo di pubblico e critica, con i due protagonisti, Nuti e Giuliana De Sio, capaci di fare incetta di premi.
“Son contento”, anch’esso girato nel 1983, è l’ultimo film della trilogia con Ponzi alla regia: una commedia che ricalca lo stile del film precedente, confermando il talento di un giovane ma già maturo artista, diventato in pochi mesi una solida certezza del cinema italiano.
Da quel momento in poi Nuti, che già non si limitava al lavoro di attore, collaborando in maniera attiva e proficua alla stesura delle sceneggiature dei film che interpretava, compie un ulteriore passo verso una indipendenza artistica completa, diventando anche regista.
Arrivano così “Casablanca, Casablanca”, atteso seguito di “Io, Chiara e lo Scuro”, e al tempo stesso ironica rivisitazione del classico di Curtiz con Bogart, poi “Tutta colpa del paradiso” e “Stregati”, pellicole contrassegnata dalla partnership con l’attrice italiana più popolare degli anni ottanta, Ornella Muti.
In questi film Francesco Nuti definisce in maniera più netta il suo stile, confermando le doti di cineasta ispirato, amante dei classici, ironico, con una innata capacità di declinare il romanticismo in maniera originale e mai scontata.
I suoi film sbancano puntualmente il botteghino, e il successo diventa per lui una sorta di asticella da superare: in ogni sua pellicola si nota il tentativo di essere sempre autentico, di non voler ripetere ad ogni appuntamento lo stesso film.
Le pellicole della fine degli anni ottanta e degli inizi dei novanta costituiscono un ulteriore passo avanti dal punto di vista produttivo: “Caruso Pascoski (di padre polacco)”, “Willy Signori e vengo da lontano”, “Donne con le gonne” confermano il successo di quella che è ormai una star del cinema italiano.

Francesco Nuti nel film “Caruso Pascoski”
E un artista a tutto tondo, che nel 1988 trova anche il tempo di esibirsi a Sanremo, con la bellissima “Sarà per te”: una interpretazione profonda, intensa e ispirata, che emoziona il pubblico.
Il successo di “Donne con le gonne”, più di 20 miliardi incassati, costituisce per Nuti un punto di svolta che segnerà il suo destino artistico. L’ambizione, dopo un decennio di successi, contrassegnato da una evoluzione artistica costante, è quella di cambiare radicalmente, utilizzando un budget molto più consistente, che Mario e Vittorio Cecchi Gori gli affidano in maniera convinta. Inizia così il parto di “OcchioPinocchio”, un’opera ambiziosa che però si rivelerà di difficile realizzazione, tanto da determinare un aumento spropositato dei costi (lievitati dai già notevoli 13 miliardi ai 30 finali) e problemi legali con i Cecchi Gori, disorientati dai ritardi nella conclusione delle riprese. “OcchioPinocchio” viene distribuito nelle sale nel 1994, con un anno e mezzo di ritardo rispetto alle previsioni. Il tiepido successo del film non consente di recuperare che una minima parte della spesa, e su Nuti, per la prima volta in difficoltà, si avventano come avvoltoi torme di critici, pronti a stroncare senza pietà la pellicola. Ho sempre trovato esageratamente cattive le critiche ad un film che invece non è affatto male, e il cui insuccesso si spiega invece con uno stile completamente diverso da quello delle opere precedenti di Nuti, ma anche con il cambiamento del pubblico, che negli anni novanta comincia a non vedere di buon occhio gli artefici dei successi del decennio precedente (analogo destino fu riservato a Montesano, a Pozzetto, a Jerry Calà, tanto per fare qualche esempio).

Francesco Nuti regista
Le pellicole successive sono quelle di un Nuti ancora creativo, ma segnato da quell’insuccesso e da problemi personali legati alla depressione e all’alcolismo: “Il signor quindicipalle” esce nel 1998, poi è la volta di “Io amo Andrea” e di “Caruso zero in condotta”. Pellicole che non sfigurano certo rispetto alla media della produzione artistica di quel periodo, intendiamoci; eppure Nuti non è più quello degli anni d’oro. Qualcosa dentro di lui è cambiato.
Fino a quel terribile incidente, in quel maledetto giorno, che interrompe per sempre la sua parabola artistica.
Del quartetto di cineasti che rivitalizzarono il cinema italiano agli inizi degli anni ottanta (Verdone, Benigni, Troisi, assieme al grande Francesco) Nuti è stato sempre il mio preferito.
La notizia della sua morte mi ha profondamente colpito, ma più in generale ad avermi addolorato, negli anni, è stata la sua parabola, la sua incredibile sfortuna.
Solo la visione dei suoi film, delle sue battute, dei suoi silenzi, del suo inconfondibile sorriso riescono a consolarmi, ricordandomi come, per un artista come lui, l’immortalità sia una certezza; il profondo cordoglio che ha accompagnato la sua morte è la conferma di un affetto del suo pubblico che non lo ha mai abbandonato, e che mai lo abbandonerà.