Il neoliberismo limita l’equità sociale e la globalizzazione dei diritti

Nel dibattito odierno è affiorato un confronto accesso e duro in cui i nazionalisti vedevano nel ritorno alla sovranità dello Stato-nazione un’opzione come un rilancio dell’identità perduta e di un’efficienza da restaurare. Il malessere delle classi sociali che hanno pagato il costo di una crisi ha accelerato queste tendenze critiche di un processo di globalizzazione che ha concentrato sempre la ricchezza in poche mani e il nuovo contesto non è riuscito più a praticare politiche di distribuzione della ricchezza. Vi è stata l’apertura di nuovi mercati ampiamente deregolamentati che ha impoverito ulteriormente le classi con minori risorse economiche e culturali e si è sviluppata una tendenza opposta, un forte desiderio di protezione sociale.
E’ cresciuta rigogliosa una finanza slegata dall’economia reale con un panorama sociale sempre più autoreferenziale,corporativo, esclusivo con forti impulsi secessionisti partiti dal cuore dell’Inghilterra che da lì a qualche anno arriverà a proporre il referendum sulla cosiddetta “Brexit”.
Da lì è cominciato un processo molto accelerato nei due Paesi occidentali, Stati Unidit d’America e il Regno Unito, dove più forte è il condizionamento del capitale finanziario sull’economia e la società e si sono registrati proprio in queste Nazioni i più significativi mutamenti della politica progressista. In particolare vi è stata una ridefinizione ideologica e organizzativa sia del Labour inglese che del Partito Democratico americano con l’inizio di nuove esperienze più importanti protese a ricostruire la rappresentanza politica nell’ambito di una sinistra in profonda crisi nei Paesi mediterranei dalla Spagna al Portogallo alla Grecia e per finire adesso anche in Italia.
Quello che appare sin troppo evidente è il fatto che le maggiori istituzioni statunitensi ed europee non hanno mai agito o tentato di contrastare lo strapotere del potere finanziario con le sue pericolose derive di speculazione che destabilizzano l’economia e gli assetti sociali. Basta pensare che gli stessi responsabili della crisi del 2008 proprio quelli definiti “i giganti del neoliberismo” sono usciti sostanzialmente indenni dalla stessa tempesta finanziaria. Il capitalismo neoliberista non si pone il problema della sfida della globalizzazione economica deregolamentata e sono sempre altri soggetti a porsi il problema dell’equità sociale e di una giusta politica di redistribuzione della ricchezza problema.Si è acuita in questi anni la diseguaglianza in quanto i il capitalismo ha dato luogo a dinamiche incontrollabili di globalizzazione dei flussi finanziari, che hanno determinato l’emergere di grandi oligopoli multinazionali, con il fenomeno dell’offshoring e della grande evasione globale. Non vi è stata la “globalizzazione dei diritti”e si è legittimato lo status quo in grandi nazioni che violano i diritti umani e non accrescono i diritti sociali. In tal senso queste dinamiche sconvolgono gli equilibri nell’ Occidente e nel resto del mondo, generando nuove asimmetrie di potere in seno anche all’Europa. Da questo punto di vista vi è una criticità dell’integrazione politica, che ha definito l’avvento di un’Europa tedesca e non di una Germania europea, che oggi appare limitata dalle crisi covid e dalla guerra, e che, comunque, tende nuovamente a riaffermarsi dalla naturale tendenza tedesca a riaffermare l’egemonia sui paesi mediterranei considerati periferia del continente.
Si gioca ancora una volta per il futuro la sfida tra capitalismo, lavoro e democrazia e all’interno del quale il progetto del vecchio continente, consapevole del suo ruolo nel mondo, deve ridefinirsi.