Rai e pluralismo.Il “potere di indirizzo” dell’informazione pubblica

Un paese può definirsi democratico, nella misura in cui, i principi cardine che caratterizzano detto sistema, siano di fatto osservati specie nell’ambito afferente alla dimensione pubblicistica. Ove così non fosse, di converso, la democrazia che esprime una preziosa conquista di libertà che fonda nella storia le proprie radici, rischierebbe, quindi, di ripiegare negativamente verso una fisionomia di democrazia apparente o, persino, in ciò che correntemente viene definita come democratura, allorquando ci si interroghi in ordine a tali fenomeni controversi, idonei a poter valutare lo stato di radicamento dei principi democratici tra le pieghe degli Stati moderni.
Il senso più elevato che orienta verso un sistema democratico spinge ad intravedere, in quest’ultimo, il rispetto di libertà e diritti fondamentali, la salvaguardia della partecipazione collettiva nelle trame del confronto, ed inoltre la tutela delle rispettive posizioni con particolare riguardo alle minoranze. Sulla scia di tali considerazioni, emerge quindi, quel valore capace di esprimere una sorta di formula riassuntiva coincidente con il “pluralismo”, che, invero, manifesta uno degli effetti principali su cui si innesta una democrazia solida e matura.

La traiettoria che riveste l’analisi non circoscrive la portata all’art. 21 Cost., cioè alla libertà di manifestazione del pensiero, ma soprattutto alle modalità con cui la predetta libertà può manifestarsi in una cornice pluralista, attraverso i diversi canali a ciò preordinati come la carta stampata, la rete internet e, soprattutto, la televisione. Qui si discute infatti della Rai, la quale è talora criticata proprio per le questioni che riguardano il pluralismo; infatti, in molti casi, in Rai, la pluralità è condizionata dal livello di “proporzionalizzazione” delle figure di vertice all’azienda e dalla gestione del potere interno ad essa. Il massimo del pluralismo, in tale direzione, corrisponde con la tendenza a politicizzare la propria attività, risentendo spesso, e in modo esagerato, degli equilibri politici dominanti al tempo presente.

Il pluralismo, ancora, presuppone che vi siano editori differenti che con mezzi diversi perseguano finalità diverse, ovvero una concorrenza esterna, ma non la frammentazione del potere interno alla tv di Stato. Risulta particolarmente chiaro, come sia difficile orientare la Rai al di fuori di queste logiche discutibili, senza mettere in discussione il fondamento su cui le medesime logiche sono imperniate: ossia, la proprietà pubblica della Rai e l’anacronistico monopolio del servizio pubblico di informazione.
L’esigenza di garantire un servizio pubblico di informazione, non implica la presenza di una struttura le cui sembianze siano per forza quelle di una tv di Stato, laddove tale impostazioni non esente da criticità, presti il fianco a debolezze di parte, e soprattutto esasperatamente inclini al potere di turno, a discapito della stessa finalità di informazione generale da destinare e garantire al pubblico.
