La Rai, Fazio e l’allontanamento: qualcuno diceva “è il gioco del pensiero unico”

Qualche giorno è arrivata l’ufficialità: dopo ben 40 anni di attività, la nuova Rai di Governo allontana Fabio Fazio dai suoi palinsesti televisivi per approdare al Nove, canale di proprietà di Warner Bros. Diciamolo chiaramente, dietro è chiaro e forte l’indirizzo politico che si vorrà dare nel breve termine alle trasmissioni della TV pubblica.
Quarant’anni di Fazio
Pronto, Raffaella? fu il programma che diede inizio alla carriera del presentatore ligure, ricca di successi e di soddisfazioni, culminata con la presentazione del Festival di Sanremo ad inizio anni 2000 e, successivamente, nei primi anni del 2010. Ma la sliding door per la televisione di Stato arrivò nel 2003, con la nascita di Che tempo che fa, uno dei più importanti talk show del nostro paese e palcoscenico costellato di ospiti internazionali che nel corso degli anni si sono intervallati. È chiaro, se sei qualcuno e vieni in Italia, sei invitato dal padrone di casa quale Fabio Fazio è. Durante questi 20 anni, CTCF è passato dalla rete principale, Rai 1, passando per Rai 2 e finendo per chiudere, di fatto, la sua permanenza in Rai 3.
Insomma, seppur figura controversa, Fabio Fazio ha fatto la storia della Rai ed ha il merito di aver portato sui nostri salotti personaggi storici e importanti, da artisti come gli U2, i Coldplay, Ed Sheeran, Madonna e Adele, passando per sportivi del calibro di Pelé, Maradona, Vettel e Leclerc, Djokovic e Nadal, finendo per politici e filantropi come Bill Gates, Gorbacev, Papa Francesco, Nancy Pelosi, Barack Obama. Degli ospiti stellari per uno studio che ha posto la pietra miliare dei talk nel nostro paese.
Ma la domanda è: quali sono le ragioni che hanno portato al divorzio?
Più politico che economico: il vertice governativo
Finita la spiegazione sulla favola Che tempo che fa, è ora di parlare concretamente. Il girotondo dei vertici Rai è ormai iniziato da tempo, dal precedente esecutivo Draghi e portato avanti dal Governo Meloni. Dopo le dimissioni di Fuortes da AD, adesso è il turno di Roberto Sergio costruito su immagine e somiglianza da Giorgia Meloni. Andiamo con ordine e cerchiamo di chiarire la situazione. L’allontanamento di Fabio Fazio, lo dico sin da subito, non è da attribuire a motivazioni economiche né tantomeno a condizioni contrattuali: di fatto il programma più seguito di Rai 3 con circa l’11% di share complessivo e più di 2,5 milioni di telespettatori. Numeri da capogiro per la terza rete della tivù di Stato che, prima ancora di erogare servizio pubblico è un’azienda e, da tale, deve certamente pensare anche ai profitti. Il complesso dei guadagni che la Rai in maniera trasparente comunica è convergente fra le varie reti, non abbiamo dunque un dato singolo per ogni canale, ma scavando un po’ fra i dati appare chiaro l’andamento del programma di Fazio. A fronte di una spesa di circa 500.000€, Che tempo che fa doppia le spese e registra un utile netto di 500.000€ per un guadagno totale di 1.000.000€. Dunque no, non è un problema di carattere economico ma di carattere politico e questo è assai, assai più grave.
Il progressismo, il gioco del pensiero unico, Belli Ciao
Andiamo anche qui con ordine: quando Fazio venne relegato da Rai 1 a Rai 2 e Rai 3 il fatto suscitò non poche polemiche ma è presto detto perché. Il passaggio dalla rete principale alle due minori indubbiamente riduce la visibilità, riesce a far diminuire l’appeal verso il programma stesso che, ovviamente, non verrebbe più seguito dai “generalisti” che praticano zapping ma, al contrario, dal pubblico più fedele a Fazio. Ebbene, il fatto che dovremmo più considerare, nonché quello più grave dal punto di vista della libertà di parola oltre che di espressione e, banalmente di “visione” è che ancora oggi sia la politica a decidere cosa possiamo e non possiamo vedere sulla televisione di Stato, al netto del passaggio su Discovery. L’attuale comportamento dei vertici governativi si rispecchia direttamente su ciò che noi andremo a guardare: a rischiare non sono stati solo Fazio e la Littizzetto (entrambi sul Nove) ma altri esponenti del fronte considerato “progressista”: Lucia Annunziata, Sigfrido Raneri e, addirittura, Amadeus colpevole, secondo il Governo, di aver reso il Festival uno spot del gender. Una vera e propria censura di Stato, insomma. Tutti questi presentatori, rei di essere solamente considerati “sinistri” (termine dispregiativo molto usato fra gli ambienti della destra), vedono applicarsi sulla loro pelle l’allontanamento dalle reti pubbliche per rispondere ad un bisogno di polarizzazione dell’opinione, ad una monocromaticità delle trasmissioni in favore della narrazione unica facendo fuori figure d’alto livello, dissonanti, senza però fare troppo rumore, rendendo questo Governo pronto ad imporre la logica della tifoseria da stadio, appesantendo un clima già di per sé non proprio serenissimo a fronte di altri problemi che in questi giorni colpiscono le più disparate fasce della popolazione.
Concludendo, vi allego il tweet del Vicepresidente del Consiglio, Ministro delle Infrastrutture e leader della Lega Matteo Salvini. Il silenzio, in questi casi, è l’arma migliore per rispondere a tali provocazioni. Ci ha pensato il pubblico di Twitter, comunque, a rispondere al Capitano.
Com’è che diceva la Presidente del Consiglio qualche anno fa? È il gioco del pensiero unico. Ma arrivati al potere, il pensiero unico lo sta applicando la destra, uccidendo di fatto la pluralità di pensiero.