Femminismo etero e lesbico

Nei trascorsi decenni sulla stampa locale del nostro territorio ionico-etneo ho scritto molto di rivendicazioni e di libertà femministe. Non ho mai scritto, però, delle diverse soggettività femministe in campo, le ho sempre considerate nel momento unitario in cui tutte hanno posto progetti di libertà civili e culturali. In riferimento al secondo femminismo degli anni settanta del Novecento, invece, furono diversi le soggettività e gli spazi costituiti. Mi riferisco al femminismo eterosessuale e a quello lesbico. Quest’ultimo nel 1973 a Roma organizzò il gruppo “Vivere Lesbica” nella sede di via Pompeo Magno. Nel 1981 il collettivo tenne il suo primo convegno nazionale. Sempre in quegli anni, a Catania, le donne lesbiche diedero vita al gruppo “Le Papesse” fondato da Agata Ruscica. Nel 1980 esce nelle sale il film Immacolata e Concetta, proiettato anche a Giarre, sulla gelosia in un rapporto d’amore tra due donne. Nel suo complesso l’alleanza tra le lesbiche, che non si sentivano naturalmente il rovescio della medaglia della omosessualità, ed il movimento femminista non era in discussione, perché i rapporti fra donne, fuori dalla sorveglianza maschile, non sono una faccenda privata delle lesbiche, ma un nodo – il nodo- del femminismo. E poi in tutti i corpi di sesso femminile era inscritta la discriminazione sociale e culturale. La necessità, invece, era quella di concettualizzare l’esistenza e l’identità lesbica. Negli anni ottanta sulla “ridefinizione” delle soggettività, la filosofa Adrienne Rich pubblicò Eterosessualità obbligata ed esistenza lesbica.

La filosofa Adrienne Rich
Il testo è considerato un manifesto di piena autonomia e dignità del soggetto lesbico, che si rapportava con le altre donne attraverso un continuum lesbico, intesocome lo spazio in cui tutte le donne vivono esperienze non sessuali, come la maternità per esempio. Era cominciata l’era del terzo femminismo. Più radicale sarà Monica Wittig a pensare che il concetto di lesbica sta al di là delle categorie di sesso (donna e uomo) giacché il soggetto designato (lesbica) non è una donna , economicamente politicamente , o ideologicamente. Il femminismolesbico, articolato al suo interno, colse le istanze di altre soggettività non lesbiche. Donna J.Haraway nel 1985, nel suo Manifesto Cysborg ipotizza un soggetto in cui agli elementi costitutivi delle identità: definizioni, sesso, razza, sessualità classe, religione, si aggiungono le componenti artificiali. Il nuovo soggetto Cysborg costituito dalle componenti umane ed inumane, è un ibrido di macchina e organismo, una creatura che appartiene tanto alla realtà sociale quanto alla finzione. Sarà la pensatrice Judith Butler a rendere ancora più liquide e mobili le identità, che si autodeterminano attraverso il concatenamento ed un continuum del sesso , del genere, della pratica sessuale , che costituiscono forme mutanti del soggetto che desidera.

Judith Butler
Sesso, genere, pratica sessuale e desiderio non sono più delle conseguenze logiche dettate dalla natura, ma costituiscono le forme attraverso cui ogni soggettività stabilisce relazioni ed instaura le proprie interconnessioni vitali. Nel 1999 Teresa de Lauretis inaugura la queer theory che concettualizza le diverse soggettività storicamente emarginate e non riconosciute dal sistema duale donna / uomo. Ogni soggetto si ingenera secondo gli effetti del proprio senso e non dei costrutti sociali considerati in natura. Il pensiero femminista post- moderno anglosassone, dunque, ipotizza nuove identità dai confini mutanti, indeterminati ed indefinibili. In Francia, in Italia, invece, si sviluppa il pensiero della differenza sessuale, alcune pensatrici sono anche lesbiche. Questo pensiero decostruisce la categoria del neutro che attraversa il pensiero e il linguaggio come finora elaborati e praticati, che corrispondono ad una logica solo maschile. La dualità è la categoria su cui radicare il nuovo soggetto femminile, dalla quale prendere atto della sessualizzazione e della differenza dei corpi , perché il materno non è solo un costrutto o una responsabilità sociale , ma in esso si sperimenta un’autorità, in cui hanno corso sentimenti capaci di costruire mondo , coesione , non sul presupposto del potere da esercitare su altri o da subire o comunque da controllare : di quei sentimenti il legame materno dà esempi e mostra pratiche che ne fanno risorse a disposizioni di tutti. Secondo questo pensiero, dunque, è la differenza sessuale dove fondare le identità e non il genere. Sarà la filosofa europea Rosi Braidotti a coniugare la categoria epistemica di genere del terzo femminismo e quella di differenza sessuale.

La filosofa Rosi Braidotti
La Braidotti ipotizza un soggetto nel quale: classe sociale, razza, appartenenza etnica, genere, età ed altri tratti specifici sono gli assi di differenziazione che intersecandosi e interagendo, costituiscono la soggettività, la nozione di nomade, che si riferisce alla simultanea presenza di alcuni o molti di questi tratti nello stesso soggetto. Il nomadismo esistenziale non si ferma per sempre nello stesso spazio identitario. Per le pensatrici del terzo femminismo, soprattutto di origine anglosassone, i due sessi tradizionalmente riconosciuti, le donne e gli uomini, non esistono in natura. La loro statica definizione è un costrutto sociale che ha escluso altri soggetti segnati dalle varie pratiche sessuali, dai diversi desideri, dalla capacità autorganizzativa e riflessiva, dalla perfomance in una parola, nell’assumere e praticare i propri sensi di vita. Le identità dei soggetti sono plurali e mutanti perché diversi e molteplici sono gli elementi che le costituiscono, gli stessi corpi non si danno per sempre. Lesbiche, gay, bisessuale, trans, queer, dunque, sono identità incomprimibili ed altre rispetto alle donne e agli uomini il cui dato biologico è diventato un modello identitario cristallizzato, tale da chiudere i varchi ad altri sensi di sé . Il percorso appena sopra accennato si ritrova tutto nel nostro recente dibattito sulla proposta di legge Zan , contro la omofobia e transfobia.
