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Da Portella della Ginestra ai nostri giorni, un Paese senza verità

Con la nascita della Repubblica italiana si accesero nell’animo del popolo le speranze di una vita associata nuova sorretta dalla democrazia e dalla libertà.  Tuttavia sin da subito ci si rese conto che la strada era in salita e che i potenti erano intoccabili. Si doveva nuovamente celebrare il 1 maggio festa abrogata dal fascismo e in Sicilia si scelse una località denominata Portella della Ginestra, nel comune di Piana degli Albanesi in provincia di Palermo. In quell’occasione fu compiuto il primo eccidio di innocenti della storia repubblicana, ad opera di Salvatore Giuliano, il bandito  che spadroneggia con atti criminosi nell’Isola,il quale sparò senza esitazione sulla folla di contadini riuniti per celebrare la festa del lavoro, provocando undici morti e numerosi feriti. La banda di Giuliano operò  in un primo momento nella lotta per l’indipendenza della Sicilia, e, invece,  dopo irretito da poteri occulti e mafiosi , commise innumerevoli atti di violenza rivolti soprattutto nei confronti dei partiti della sinistra e delle camere del lavoro. Questi atti servivano sostanzialmente al mantenimento dei vecchi equilibri, rinsaldando il patto della mafia con il potere politico nel nuovo quadro istituzionale che si delineava.

Il bandito Salvatore Giuliano e il suo cadavere ritrovato il 5 Luglio 1950

In Sicilia il Blocco del Popolo  costituito dai partiti di sinistra nelle elezioni del 1947  era uscito vincente e per reazione a questo risultato si manifestò la precisa volontà di intimidire e contenere la protesta dei ceti popolari e dei contadini, i quali  occupavano la terra e chiedevano di poterla lavorare per riscattarsi dalle loro condizioni di vita. Si festeggiò, quindi, una vittoria di questa alleanza politica elettorale tra i socialisti di Nenni e i comunisti di Togliatti, che, appunto, alle elezioni dell’Assemblea Regionale Siciliana, del 20 aprile di quell’anno avevano conquistato 29 rappresentanti su 90 (con il 32% circa dei voti) contro i 21 della DC (crollata al 20% circa).

Si radunarono pacificamente duemila lavoratori che provenivano da vari centri e si diedero appuntamento a Portella della Ginestra, in una vallata circoscritta da monti a pochi chilometri da Palermo, per manifestare contro il predominio del latifondo e per ottenere l’uso delle terre incolte.

In quel periodo le condizioni di vita del popolo erano molto dure e molti avevano aderito alla manifestazione anche nella speranza di ottenere risultati concreti e immediati per potersi sfamare. La manifestazione era incentrata sulla speranza di riforma agraria e si richiedeva l’occupazione dei terreni non utilizzati e incolti, nonché che si procedesse con una diversa ripartizione dei raccolti per favorire maggiormente gli agricoltori, rispetto alle consuetudini  allora vigenti in Sicilia che favorivano i proprietari.

Ma tutto ciò era visto come una miscela esplosiva per i ceti dominanti e  come motivo di potenziale rivolta sociale, che avrebbe sconvolto gli equilibri di una regione, già sotto un ferreo controllo mafioso. Salvatore Giuliano ricevette precisi disposizioni da ambienti altolocati con l’ordine di organizzare la strage e lo stesso insieme ai suoi uomini si recarono quella mattina sul promontorio che dominava la vallata.

Alle 10  un calzolaio di San Giuseppe Iato diede inizio al comizio in sostituzione di Girolamo Li Causi, deputato del Pci, stranamente assente all’ultimo momento, e nell’ora prefissata dai banditi , improvvisamente dal monte Pelavet partirono sulla folla in festa numerose raffiche di mitra, provocando un massacro con undici morti (otto adulti e tre bambini) e ventisette feriti, di cui alcuni morirono in seguito per le ferite riportate.

Un’immagine del film su Portella della Ginestra

Successivamente alla strage di Portella della Ginestra, avvennero attentati con mitra contro le sedi del Monreale, Carini, Cinisi, Terrasini, Borgetto, Partinico, San Giuseppe Jato e San Cipirello. In tutti gli attentati vennero lasciati dei volantini firmati dal bandito Salvatore Giuliano che incitavano popolazione a ribellarsi al comunismo.

Solo quattro mesi dopo si seppe che a compiere gli attentati contro le sedi erano stati gli uomini del bandito separatista Salvatore Giuliano, ex colonnello dell’E.V.I.S..

Il rapporto dei carabinieri sulla strage faceva chiaro riferimento a “elementi reazionari in combutta con i mafiosi”. Resta il dubbio fondato che sullo scenario della strage ci fossero “altre presenze” nascoste  che hanno oggettivamente partecipato alla realizzazione dell’eccidio. Recentemente si è accertato che vi furono anche colpi sparati dal basso e persino lanci di bombe a mano da soggetti mai identificati.

Il processo sulla strage si svolse a Viterbo e iniziò nel 1950 per concludersi  nel 1953 con la conferma della tesi che gli unici responsabili erano Giuliano e i suoi uomini, che furono condannati all’ergastolo. Mentre  Salvatore Giuliano, secondo un prima versione ufficiale poi rivelatasi falsa, era stato ucciso il 5 Luglio del 1950 dai carabinieri comandati dal Capitano Antonio Perenze. Però al processo  il bandito Gaspare Pisciotta, oltre ad attribuirsi l’assassinio di Giuliano, chiamò in causa i deputati monarchici Giovanni Alliata Di Montereale, Tommaso Leone Marchesano, Giacomo Cusumano Geloso e anche i democristiani Bernardo Mattarella e Mario Scelba, i quali vennero accusati di aver avuto incontri con il bandito Giuliano per pianificare la strage.

Ma la Corte d’Assise di Viterbo dichiarò che le accuse di Pisciotta erano infondate, poiché il bandito aveva fornito nove diverse versioni sui mandanti politici della strage. Gaspare Pisciotta venne avvelenato in carcere prima di un nuovo processo per convalidare le sue accuse e morì dopo aver bevuto un caffè in circostanze misteriose, naturalmente mai chiarite.

Sulla  strage di Portella della Ginestra e i fatti successivi non si è mai voluto fare luce su tanti aspetti e si sono sempre occultate verità inconfessabili e inquietanti. Proprio in questi giorni vi è stata la sentenza sulla Trattativa Stato mafia e non stupisce più di tanto com’è finita in quanto dall’inizio della vita repubblicana succede che quando ci sono coinvolti uomini potenti dello Stato tutto finisce a tarallucci e vino. E’ una regola ferrea che non ammette deroghe così oggi si confezionano tre sentenze una diversa dall’altra. Quanto meno sembra esserci una sorta di “mediazione giudiziaria” che alterna sentenze l’una diversa dall’altra sino all’esito finale di cancellare tutto ed ammettere implicitamente che stabilire contatti da parte dello Stato con i mafiosi è legittimo. Su Portella della Ginestra ci sono segreti che durano da 76 anni con indagini costruite ad arte per depistare dalla verità.

Non si è mai scoperto chi furono i mandanti e se ci furono altri presenze sul luogo dell’eccidio. 

Il bandito(mafioso!?) Giuliano sembrava invincibile e inafferrabile e anche in questo caso ogni volta che ci poteva essere la sua cattura, succedeva sempre qualcosa che lo impediva. Da ricordare per esempio la vicenda su cui non si è fatta mai piena luce del vicecapo della banda, Salvatore Ferreri ( “fra diavolo” ), giovane molto feroce e ardito,  responsabile di alcuni sequestri di persona , ad alcune stragi e ad assalti alle caserme dei Carabinieri di Bellolampo, Borgetto, Montelepre, e Pioppo.  Salvatore Giuliano, gli affidò ruoli importanti e lo nominò suo “uomo ombra” facendolo divenire membro effettivo della banda.

Salvatore Ferreri

La sua morte è un racconto assai ambiguo, torbido e fosco. Infatti venne ucciso dal Comandante Giallombardo nella Caserma dei Carabinieri di Alcamo, il quale per difendersi dal fermato -Ferreri, per l’appunto- dopo essere stato catturato, dichiarò di avergli sparato. Ferreri pare che fosse infiltrato e avrebbe portato i carabinieri persino all’arresto di Giuliano.  Mentre il re di Montelepre invece non venne mai arrestato e fu ucciso mentre dormiva nella notte fra il 4 e il 5 luglio 1950 da Gaspare Pisciotta. Da qui la grave messinscena dei carabinieri che dopo l’uccisione rivestirono il cadavere portandolo nel cortile della sua abitazione dove si simulò un conflitto a fuoco. Ecco un primo grande depistaggio messo in atto e Gaspare Pisciotta, debitamente imbeccato a diventare un collaboratore con la promessa di un’assoluzione che non avvenne e infatti il bandito fu condannato per la strage di Portella. A quel punto Pisciotta sbottò dichiarando che avrebbe fatto e riaffermato i nomi di chi erano dei mandanti della strage. Il preannuncio della rivelazione gli fu fatale. Morì con un caffè avvelenato, all’interno della sua cella.

Gaspare Pisciotta

È vergognoso che ancora oggi ci sia ancora il segreto di Stato su questa strage e sui fatti connessi.

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Rosario Sorace, nasce a Giarre il 13 maggio 1958;nel 1972, a 14 anni, inizia un intenso impegno politico e sociale. A soli 25 anni diventa segretario regionale dei giovani socialisti in Sicilia e dopo due anni, nel 1985, viene eletto al Consiglio Comunale di Giarre. Successivamente, viene eletto al Consiglio Provinciale di Catania dove svolge la carica di Assessore allo Sviluppo Economico. Nel 1991 viene eletto Segretario della Federazione Provinciale del PSI di Catania. Nel contempo consegue la laurea in Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Catania in cui ha svolto il servizio in qualità di funzionario di Biblioteca del Dipartimento di Scienze Chimiche. È giornalista pubblicista dal 21 maggio 2021. Collabora dal 2018 con i giornali on line IENE SICULE, SIKELIAN, IL CORRIERE DI SICILIA, AVANTI LIVE e PRIMATV ON LINE. Direttore responsabile di CLESSIDRA2021 ,giornale fondato dallo stesso. È un grande di lettore di prosa e scrittore di poesie.
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