L’inganno delle apparenze, il caso del crac Parmalat

Il caso del crac Parmalat è probabilmente uno dei più clamorosi casi di bancarotta, poiché ha visto coinvolta una società che era sotto i riflettori e veniva considerata un’azienda di successo, che produceva e vendeva e che oltretutto aveva nel proprio “patrimonio” anche una società di calcio. Ma bisogna andare con ordine. Il tutto ruota attorno alla figura di Calisto Tanzi, un imprenditore emiliano che aveva inizialmente fondato un’azienda che dapprima prese il nome di Dietalat e successivamente venne chiamata Parmalat la quale, mediante la vendita porta a porta si era fatta conoscere sul territorio. La brama di sperimentare nuove soluzioni da un punto di vista commerciale, portò Tanzi ad essere il primo ad utilizzare, intuendone l’economicità e la versatilità, il Tetra Pak. Tramite quello che fu un vero e proprio successo, diremmo un’intuizione, riuscì ben presto ad utilizzare tale tipo di imballaggio anche per quanto riguardava i succhi di frutta e le conserve alimentari che consentirono a Parmalat di affermarsi e di crescere nel proprio settore. In seguito a tale successo per consentire la crescita ulteriore della propria azienda, Tanzi tra gli anni 70 e gli anni 80 fece incetta di pubblicità e di campagne varie oltreché di programmi di sponsorizzazione che lo portarono ad essere ulteriormente noto col proprio marchio. Non mancarono certamente gli appoggi da un punto di vista politico soprattutto dalla DC, in particolar modo nella persona di Ciriaco de Mita. Le diverse acquisizioni che furono fatte dall’azienda, che era in rapida ascesa, furono però condotte senza adeguate ricapitalizzazioni, il che fece crescere il passivo in maniera esponenziale. Questo modo di condurre gli affari insospettì le banche e cominciò a girare la voce che, data la situazione debitoria notevole,la società del gruppo Tanzi dovesse essere già fallita. Nel frattempo però il gruppo societario riuscì addirittura ad acquisire la società calcistica del Parma, che negli anni a venire otterrà risultati sportivi prima impensabili, e nello stesso tempo a portare il marchio alla produzione di nuovi prodotti sempre più apprezzati dai consumatori.

Nel frattempo però i continui rilanci nell’emettere obbligazioni da parte della società Parmalat, la quale dichiarava di avere dalla sua notevoli risorse di liquidità, fece sorgere in capo alla Consob notevoli perplessità su quella che a ragion veduta doveva essere una solidità totale del gruppo societario. La Consob infatti avviò degli accertamenti che portarono alla scoperta del crac finanziario tra i più famosi al mondo. Anzitutto si scoprì un primo ammanco quantizzato in 600 milioni di euro nel patrimonio dichiarato dalla società; i revisori contabili di Parmalat però avevano dalla loro la tranquillità della presenza di un deposito di quasi 4 miliardi di euro intestato a Bonlat una controllata del gruppo Parmalat. Le indagini condussero fino alla Bank Of America, la quale smentì l’esistenza della controllata Bonlat, era il 18 dicembre del 2003. Il caso Parmalat fu un vero proprio scandalo di bancarotta fraudolenta e di aggiotaggio che finì con il fallimento della società alimentare. Le apparenze ingannavano veramente: una società pienamente in vista, pubblicizzata a tutti livelli e che aveva anche le mani nel panorama calcistico italiano oltre che nelle tasche di tanti azionisti, si rivelava essere in realtà una società in grande difficoltà che mascherava mediante il falso in bilancio ben 14 miliardi di euro di ammanchi. Per il crac della Parmalat, molti azionisti si trovarono in grave difficoltà, soprattutto i piccoli risparmiatori i quali fino al giorno prima della tragedia avevano investito le proprie risorse in una società all’apparenza solida. Una volta avviato il procedimento Calisto Tanzi venne condannato per bancarotta fraudolenta a 18 anni di reclusione, pena che si ridusse a 17 anni e 10 mesi da parte della Corte di Appello di Bologna con sentenza del 23 aprile 2012.La Corte di Cassazione confermò la sentenza d’Appello il 7 marzo 2014, in quanto la riduzione di pena da parte della suprema corte fu di appena cinque mesi per un totale di 17 anni e 5 mesi di reclusione. Il caso del crac Parmalat, ancora oggi a sentirne parlare desta sgomento e scalpore, poiché lo “spettatore ignaro”, colui che pensava nel miracolo italiano e nel modo corretto di fare impresa e che affidava a questa i propri investimenti personali, spesso frutto di una vita di sacrifici, si ritrovò in realtà con un pugno di mosche nelle mani. Il burattinaio che muoveva i fili di tutte queste vicende, Calisto Tanzi, era stato anche insignito delle onorificenze di Cavaliere del lavoro, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, le quali gli furono revocate entrambe per indegnità con un decreto del Presidente della Repubblica. Quest’ultimo episodio non fa altro che sottolineare e porre l’accento, su come il modo di fare impresa debba essere condotto, rispettando le regole del gioco e non venendo mai meno agli impegni presi nei confronti dei risparmiatori.