“Funerale d’inverno”di Hanoch Levin al Teatro Brancati di Catania

Funerale d’inverno dell’autore israeliano Hanoch Levin, diretto da Armando Pugliese, ha debuttato in prima nazionale al ‘Teatro Brancati’ di Catania giovedì 16 febbraio alle ore 21 (fino al 19) e in seconda battuta dal 23 al 26.

È una produzione inedita del ‘Teatro della Città’ di un testo mai proposto prima in Italia e che vede in scena Angelo Tosto, Elisabetta Alma, Cosimo Coltraro, Margherita Mignemi, Emanuele Puglia, Giovanni Rizzuti, Olivia Spigarelli, Vincenzo Volo, Agostino Zumbo, Aurora Cimino, Dario Magnano San Lio, Claudio Zappalà. Le scene sono di Andrea Taddei, i costumi di Dora Argento, le luci di Gaetano La Mela e l’aiuto regia di Norma Martelli.
La scena si apre sulle ultime volontà circa il suo funerale della vecchia madre del protagonista; subito dopo la donna incontra ‘l’angelo della morte’ che la porta con sé.
Tradizione ebraica vuole che il solerte figlio avvisi la parente più prossima, la cugina, delle esequie invitandola a partecipare. Ma il funerale coinciderebbe con il ben organizzato matrimonio
(400 invitati e 800 polli!) della nipote per cui entrambe le famiglie degli sposi non vogliono saperne di rispondere agli appelli del neo-orfano.
Da qui prende il via un caleidoscopio di incontri e intrecci tra le insistenze di quest’ultimo e i burrascosi e rocamboleschi rifiuti dei primi che, armati di ombrelli, svolazzano -come in un quadro di Chagall- giungendo addirittura in un monastero tibetano.
Se a questo aggiungiamo uno stravagante professore, due salutisti, l’angelo della morte che miete vittime e la conclusiva scena del matrimonio, ecco confezionata questa commedia, tra battute grottesche e nonsense, di Hanoch Levin (Tel Aviv 1943-1999) uno dei rappresentanti della seconda generazione del ‘teatro dell’assurdo’.
Termine, questo, coniato dal critico Martin Esslin per indicare le opere di autori composte tra gli anni Quaranta e Settanta del Novecento, basate sull’idea filosofica di assurdità dell’esistenza elaborata dall’esistenzialismo di Sartre e Camus.
Attraverso il superamento della trama e del linguaggio logico/consequenziale questi scrittori preferiscono dialoghi volutamente senza senso, ripetitivi, serrati e comico-tragici.
Il risultato è un lessico disarticolato che serve a sottolineare vuoto e assenza; una successione di eventi privi di logica apparente; personaggi/marionette intrappolati in un mondo incomprensibile.
Parlando dei padri di questa drammaturgia intendiamo riferirci soprattutto a Samuel Beckett di Aspettando Godot e a Eugène Ionesco di La cantatrice calva.
La proiezione del mondo interiore dell’autore rumeno, del dramma individuale dato che non si può raggiungere l’universale, è al centro del suo teatro.
“Anti-teatro” è quello del drammaturgo irlandese, premio Nobel nel 1969, che si basa a sua volta sull’attesa, l’immobilità, l’incomunicabilità, la solitudine di fronte alla morte e l’assurdità della vita: l’uomo non può che occupare il tempo che lo separa dalla sua fine con gesti ripetitivi e parole vuote.
L’israeliano Hanoch Levin, poco conosciuto in Italia, è certamente debitore nei confronti di questi ‘grandi’, segue la strada tracciata da Jarry, Ionesco, Beckett, Pinter e si spinge anche più in là.
Al contempo risente dell’atmosfera tradizionale della sua famiglia ebrea profondamente religiosa, discendente da una stirpe di rabbini chassidici, emigrata dalla Polonia in Palestina nel 1936.
Levin ricevette pertanto un’educazione rigorosa e convenzionale che avrebbe influenzato, nonostante l’appartenenza al Partito Comunista, le sue commedie incentrate sul microcosmo della casa, della famiglia, degli amici e vicini.
Gli archetipi della società israeliana del matrimonio che dà inizio a nuove vite, e della morte, che quelle conclude, sono al centro anche del Funerale d’inverno.
‘Riscoperto e rivisitato’ da Armando Pugliese (classe 1947) napoletano di nascita ma romano d’adozione. Firmatario di circa centosessanta spettacoli -spesso premiati- il regista è ben conosciuto dal pubblico catanese.
“Levin -sottolinea Pugliese- applica la satira feroce alle liturgie della famiglia tradizionale ebraica – come il rito stereotipato del matrimonio, come il rito stereotipato del funerale, il rito del mangiare, il rito della salute; ma non solo, si possono leggere in controluce anche altri significati, frutto di una visione nichilista del percorso umano… con un così forte potenziale di teatralità e di comicità, e una totale identificazione con il suo approccio alla vita e alla morte così dissacratorio”
Confesso di non amare particolarmente il tetro dell’assurdo ma riconosco che Levin/Pugliese hanno saputo raccontare la grottesca tragicità della vita in maniera fantasiosa e a volte irriverente: l’elogio del ‘culo’ e il significato esistenziale dello ‘scorreggio’ sono al limite del cattivo gusto.
Il gruppo teatrale del ‘Teatro di città’, affiatato e molto bravo, in ogni caso è sempre stato all’altezza della situazione, incuriosendo, invitando alla riflessione, divertendo e strappando non poche risate.
“Si tratta – conclude infatti il regista – di un testo scritto in modo accattivante e molto particolare …e tutti gli attori della compagnia catanese possiedono lo spirito giusto per rendere al meglio questa commedia”.