La libertà di manifestazione del pensiero tra “uso e sopruso”

Si è molto discusso – e si continua a farlo – a proposito di alcuni eventi accaduti durante lo svolgimento della Kermesse sanremese, dalla quale è stato possibile estrapolare validi spunti di riflessione, per dare seguito a valutazioni di più ampio respiro che fondano le proprie radici nell’evolversi della società e dei suoi costumi.
Se è vero che lo star system segue delle regole proprie, basate su intrattenimento ed audience, è altrettanto valido sostenere la presenza di un contenuto minimo di decenza e pudore che esula dal “contenitore” specifico, all’interno del quale, le condotte dell’agire umano prendono forma e, quindi, si materializzano in concreto. Tra pseudo nudità, baci più o meno appassionati e pose discutibili (per informazioni, chiedere a Rosa Chemical…), si tira in ballo la centralità che riveste l’art. 21 Cost. recante la libertà di manifestazione del pensiero che, invero, estende la sua efficacia, fino a riconoscere livelli di tutela costituzionali persino ad atteggiamenti dai contorni anticonformisti, rispetto ai quali, non si mette in discussione la possibilità del loro compimento, benché si palesino distanti da un certo tradizionalismo consolidatosi nel tempo, di cui però, si ha modo di poter registrare la costante e pericolosa erosione.
Non è soltanto questione di opportunità, cioè scegliere se si possa fare o meno un qualcosa sulla scorta della soggettiva convenienza, o sollevare interrogavi sull’ampiezza effettiva che scaturisca dai mutevoli confini da ricercare in tale ambito, ma c’è sicuramente di più.

L’obiettivo non è quello di svolgere un’analisi allo scopo di giungere ad un giudizio che investa la componente morale che caratterizza tutti e ciascuno, quanto piuttosto procedere ad evidenziare i limiti a cui risultano assoggettate le azioni umane, soprattutto in relazione al bisogno di salvaguardare una soglia imprescindibile di liceità da osservare in conformità all’ordinamento giuridico; infatti, a tal proposito, assume rilievo la clausola generale del “buon costume” che, pur evolvendosi nel tempo e nello spazio, non ammette decadimenti verticali in virtù di interessi superiori che sorpassano quelli di estrazione personale. Accanto al buon costume, che funge da limite esplicito, sussistono però anche altri limiti cosiddetti impliciti, la cui natura dei quali esalta la delicata funzione interpretativa spettante in capo a coloro che, chiamati a garantire il rispetto di quella zona di confine che oscilla tra l’esercizio della libertà e l’osservanza del divieto, sotto l’egida protezione della Costituzione, dovranno orientare a beneficio del convivere civile.
In sintesi, l’elaborazione assai larga con la quale viene concepita la libertà di cui all’art. 21 della Costituzione, non può, tuttavia, rappresentare in alcuna circostanza l’espediente propizio, attraverso il quale, realizzare ogni forma di volgarità, eccesso e declinazione al ribasso, idonea a poter mortificare la dignità dell’essere umano ancorché le stesse relazioni, in cui, quest’ultimo, trova dunque occasione di potervi dimorare.