Intervista a Margherita Ingoglia “La scrittura è teatro dell’inconscio”

Margherita Ingoglia, giornalista e scrittrice, agrigentina di nascita, vive a Palermo, dove insegna nelle scuole secondarie superiori. Di lei si sanno poche cose giusto quelle necessarie per descriverne le sue doti artistiche in fieri. E’ una donna che viaggia molto e si muove per sua stessa ammissione come “una nomade in cerca di fissa dimora”. Viaggia quindi con il suo carico di libri appresso, insieme ai sogni che nutrono la sua natura aperta e spontanea, appassionata e allegra.
Da siciliana doc è vivace, molto discorsiva, dialettica e critica verso la realtà che la circonda. Margherita è ottimista e sorride alla vita possedendo anche un’anima rivolta ad epoche passate, è una collezionista seriale di cose belle. Ha un blog e un canale YouTube che si chiamano “Fimmina che legge” in cui si occupa di intervistare autrici e autori, e approfondire argomenti e curiosità culturali. È sicuramente una divoratrice di libri tuttavia non si discosta mai dalla realtà anzi l’affronta a viso aperto e senza ansie. Nella sua scrittura è sempre stata centrale la donna in relazione al proprio corpo e, dunque, della donna in relazione alla sfera maschile che convive dentro e fuori da sé nel contesto esistenziale e sociale. Margherita esprime ironia nel trattare il contrasto interiore del sentimento femminile con quello maschile. Ha scritto un primo libro “Aldebaran”(2006) e “…e il corpo fu oltraggio!”(2013). Con la prefazione dello scrittore di Bologna, Ariase Barretta in cui quel suono vocale dell’ “Io sono” intinge come una sorta di imperativo categorico l’intera raccolta poetica ha di recente pubblicato “La malagrazia. Ballate (delle) disturbanti” (A&B editrice) in cui vi è anche la postfazione della scrittrice e studiosa catanese, Marinella Fiume.
E’ un libro, questo de “La Malagrazia” in cui la poetessa-scrittrice riafferma con forza il fatto di essere “eretica” (nel senso di scelta) in ogni ambito esistenziale e sociale. In quest’opera le donne disturbanti e intrise di malagrazia si ribellano al conformismo e agli stereotipi, cantando in poesia la libertà dell’essere che rompono le catene anche se non riescono sino in fondo, incatenati a leggi antiche e patriarcali.
Abbiamo avuto un colloquio con Margherita per capire meglio la sua idea artistica.
In che senso ti definisci eretica?
Eretico è un aggettivo brillante e tuttavia oggi quasi obsoleto. Eretico era la “parola scarlatta” con cui venivano marchiati coloro i quali non si conformavano alle regole, disobbedivano alle tradizioni del tempo e cercavano di avere un ruolo in un ambiente castrante e purtroppo misognino. Oggi non ci sono eretici nel senso letterale del termine, né io mi sono mai definita eretica. In generale non mi piace confinarmi dentro le parole. Immagino che definirsi equivalga a conoscersi e, personalmente, rischierei di cadere in contraddizione, troppo spesso.
Nelle poesie sei contro il dogmatismo di qualsiasi “chiesa” che costringe la donna all’asservimento. Come mai non siamo ancora un Paese veramente laico?
Siamo un Paese laico legato alle tradizioni religiose. La nostra è una cultura legata alla fede, alla credenza in generale e anche a una certa immagine dell’uomo e della donna tramandata proprio da questa. Grazie a molte disobbedienti e eretiche (nel senso vero del termine) questa immagine stereotipata della donna ma anche dell’uomo è molto cambiata negli ultimi anni. Grazie al cielo!
La tua poesia è molto prosastica e icastica . Ritieni la parola poetica più efficace per lanciare messaggi?
La poesia è politica. L’arte è politica. A volte arte e poesia sono più eloquenti di: palco, propaganda e microfono. Certamente più eleganti.

Nella tua poesia vi è una voglia continua di autodefinizioni spesso parossistici. Cos’è forse narcisismo ?
La scrittura è teatro dell’inconscio. La poesia è maschera e travestimento; sofisticata magia. L’Io sono – che nelle poesie è l’Io lirico declinato al presente- diventa un IO plurale che si moltiplica. Nelle mie ballate, l’Io sono, smette di essere ‘prima persona singolare’, per divenire un plurale corale. l’Io è: tutto, tutti e ogni cosa. Le donne de ‘La malagrazia’, le disturbanti, parlano in nome loro o per voce di un oggetto, di una pianta, un animale o di uno spirito; talvolta parlano perfino in nome di Dio o della morte. E tutte queste cose, a loro volta, parlano a chi sta scrivendo. A volte si cercano. Il narcisismo, ne La malagrazia, non può esserci perché manca l’amor proprio. Piuttosto una volontà di ricerca di quell’amore. A quali poeti o poetesse ti ispiri?
Leggo e sono una lettrice curiosa, non so però in quale maniera queste parole si ristrutturino nella mia mente. Non so se mi ispirino o semplicemente ragioni su ciò che leggo.

La tua poesia è indirizzata all’universo femminile oggi più che mai pervaso da cambiamenti rivoluzionari. Pensi che la violenza e il femminicidio siano un modo per contenere l’emancipazione delle donne?
La poesia è indirizzata a tutti senza distinzione di genere. La frase è tremenda: la violenza e il femminicidio sono prima di tutto reati gravissimi, se fossero “modi per contenere l’emancipazione” saremmo tornati indietro di mille anni. Ma in ogni caso qualsiasi retro pensiero possa esserci dietro una violenza resta il fatto che sono reati. Gravissimi.
Nella tua poesia assumi le sembianze di Alice, la Bella Addormentata, Sherazade, Clitennestra, Messalina, Papessa, finocchia, maschia. Sono solo estri artistici?
La poesia è un inchino all’arte del travestimento.
Cos’è l’amore per te ?
Il più grande mistero doloroso.