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Il complottismo al cinema

Oggi il termine “complottismo” suona davvero male: il complottista viene identificato, di solito, come un tipo strambo, dalla scarsa cultura, che cerca una sorta di rivalsa sociale inventando o accreditando inesistenti teorie del complotto. Le versioni ufficiali, di qualsiasi governo, vengono accettate con fiducia, e chi osa sollevare anche il minimo dubbio, su qualunque argomento, viene subito tacciato di ignoranza.
Questo vale per le persone comuni, ma ancor di più per il mondo dell’arte in generale e del cinema nello specifico: spesso andando contro i propri interessi, le case produttrici raramente cercano di instillare dei dubbi nel pubblico, e il più delle volte servono da cassa di risonanza delle solite versioni ufficiali.

C’è stato un periodo, tuttavia, nel quale le teorie del complotto non solo non venivano derubricate con noncuranza, ma finivano addirittura per alimentare la creatività di sceneggiatori e registi.

“Perché un assassino” (“The Parallax View”, Alan J. Pakula, 1974), ad esempio, è una brillante pellicola, dalla sapiente e robusta costruzione narrativa, che esplora, senza citarli esplicitamente, i casi degli omicidi politici dei fratelli Kennedy, John Ftizgerald e Robert.

E’ un film che si espone in maniera coraggiosa, evidenziando i meccanismi perversi dello spionaggio statunitense, e che si spinge molto oltre, arrivando a ipotizzare un controllo occulto (da parte di quelli che oggi verrebbero definiti “poteri forti”) sui cittadini e sul potere decisionale delle istituzioni. Il film vanta un cast notevole, a partire dal protagonista principale, Warren Beatty, uno dei divi più consolidati dell’epoca.

Sullo stesso tema, ma con un approccio più esplicito, quasi da inchiesta giornalistica, c’è naturalmente “JFK – Un caso ancora aperto” (Oliver Stone, 1991): sostenuto da una appassionata ricerca di documenti sulla vicenda, e da un cast strepitoso (con in testa la superstar Kevin Costner), è un film che prova a fare chiarezza su uno dei grandi misteri della storia americana, portando anche avanti alcune tesi e confutandone altre. Sicuramente ben fatto, forse non sempre appassionante in ogni suo momento.

La locandina del film “JFK” di Oliver Stone


Degli intrighi della C.I.A  si occupa invece “I tre giorni del condor” (“Three days of the condor”, Sidney Pollack, 1975), grande successo di pubblico. Tratto dal best-seller di James Grady, il film di Pollack rappresenta forse la vera legittimazione del complottismo, e la sua realizzazione sarebbe impensabile oggi, vist la chiara posizione che il regista prende nei confronti delle istituzioni americane, e in particolare della CIA, da sempre considerata la madre di tutti complotti.

La pellicola vanta la presenza di autentiche star, e questo avvalora la sua credibilità nell’affermare certe idee presso il grande pubblico: il protagonista principale è Robert Redford, una delle icone della Hollywood di ogni tempo (ed emblema dell’impegno sociale  e civile al cinema), accompagnato benissimo da Faye Dunaway, Cliff Robertson e Max von Sydow. La vicenda narrata, con al centro un impiegato della CIA, serve a illustrare, attraverso il dipanamento di una matassa all’inizio molto intricata, il lato oscuro di una organizzazione che viene rappresentata, per la prima volta, come una mostruosa piovra dai giganteschi e mortali tentacoli.

La locandina del film “I tre giorni del condor ”

Affronta un altro tema da complotto “Capricorn One” (Peter Hyams, 1977), pellicola diretta da un regista eclettico e abbastanza misconosciuto. Il film parla di una missione spaziale che la NASA ha intenzione di effettuare su Marte ma che, vista la sua irrealizzabilità dovuta a gravi problemi tecnici, viene trasformata in una truffa, con l’allestimento di un set in grado di riprodurre l’approdo sul pianeta rosso.

Si parla di Marte, certo, ma il pensiero va subito alla Luna, perché il vero argomento del film sembra proprio essere quello al quale moltissimi complottisti sono legati: lo sbarco lunare. Un tema che, naturalmente, non viene affrontato direttamente: sarebbe stato impossibile anche in un decennio “rivoluzionario” come quello dei settanta. Ma, in ogni caso, la pellicola riesce a tratteggiare in maniera brillante e convincente (anche grazie al decisivo apporto degli attori, tra i quali spicca Elliott Gould) quali giochi di potere, quali sforzi propagandistici si nascondano dietro la corsa allo spazio.

La locandina del film “Capricorn one”
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Ivano Di Puglia, 49 anni, ingegnere edile e libero professionista. Appassionato di cinema sin da bambino, dello sport in generale e del tennis in particolare, amante dell'arte, della letteratura (anche quella a fumetti), della poesia. Ha collaborato, per un breve periodo, alla fanzine cinematografica "The Ed Wooder".
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