Loading
Nuovo quotidiano d'opinione e cultura
Il tempo: la ricchezza per l’umanità
Nuovo quotidiano d’opinione e cultura

“L’ultima estate”di due onesti servitori dello stato

Un atto unico che lascia col fiato sospeso; Chiara Callegari ne firma la regia e
Simone Luglio e Giovanni Santangelo ne sono i due appassionati protagonisti.
“L’ultima estate” è la pièce che prende le mosse dal testo di Claudio Fava. Sospese
tra diario e cronaca,si sfogliano le pagine dell’ultima estate che, nel 1985, Falcone e
Borsellino trascorsero all’ Asinara. Reclusi per necessità e per scelta, animati dal
kantiano imperativo categorico del “devi quel che devi”,coniugato con un fortissimo
impulso alla giustizia ed alla “cura” delle virtù civiche,in quella landa remota e
blindata prepararono l’istruttoria del Maxiprocesso. Svestiti i panni degli eroi
celebrati post mortem dalla stampa,in una scena ridotta all’essenziale, essi ci parlano
con l’ironia e la consapevolezza di chi ha trascorso l’infanzia con personaggi di
spicco della mafia e che, scientemente, si è collocato sulle barricate, in una città
martoriata,amata e odiata al contempo.

I due attori Simone Luglio e Giovanni Santangelo


Lo spettatore rivive momenti della storia pubblica italiana e momenti privati della
loro amicizia fraterna; l’infanzia,la parrocchia, l’università, la scelta di occuparsi di
mafia un po’ per caso e un po’ per l’etica della responsabilità. E poi ci viene sbattuto
in faccia il crudo rituale preparatorio della morte del giudice Falcone: la scelta esatta
del luogo in cui provocare la strage, i 130 kg di tritolo, la 126 rossa, il momento
preciso dello scoppio, l’immagine di Santa Rosalia, il brindisi mefistofelico dei capi
di Cosa nostra dopo la notizia ferale …ci scorrono impietose davanti agli occhi quelle
immagini che negli anni si sono stratificate e cristallizzate nella nostra memoria, e
che, rivissute sulla scena, smuovono ancora gli animi,suscitano un sussulto di
commozione viscerale e sdegno amaro.
Tutti ricordiamo il luogo ed il momento esatto in cui abbiamo appreso della strage di
Capaci,e Simone Luglio è davvero magistrale nel suo ruolo,così come lo è Giovanni
Santangelo. Due amici, Paolo(o Paolino come lo chiamava Falcone),preoccupato
perché consapevole che non avrebbe potuto veder crescere i suoi figli, e Giovanni,
pragmatico, ironico e tradito da chi avrebbe dovuto proteggerlo.
Falcone…la signora con la falce l’aveva già avvisato all’Addaura, il 21 giugno
1989,nei pressi della villa presa in affitto per il periodo estivo, allorché,in una
tranquilla giornata di sole e di mare, le sollecite guardie del corpo e i sommozzatori
riuscirono a scovare, tra gli scogli,una borsa carica di esplosivo,con 58 candelotti di
dinamite e gelatina. “Menti raffinatissime” le definì il magistrato stesso “che
tendevano ad orientare le azioni della mafia”. Si scoprì anche che il giudice veniva
spiato e vi erano interessi eterodossi nelle indagini in corso. Quel momento segnò
l’inizio della fine. Egli,però, non si arrese nemmeno quando venne umiliato nel suo
lavoro di magistrato e coperto di fango da chi sosteneva che la bomba se la fosse
messa lui, fu costretto,pertanto, a subire un demansionamento ed un ostracismo
immeritato.
Poi all’ Asinara,sempre insieme,sempre affratellati nella lotta, rinchiusi in pochi metri
quadrati, vicini al braccio di massima sicurezza del super carcere di Fornelli. In un
bunker,perennemente circondati da guardie e sentinelle. Un mese di notti insonni, di
carte e faldoni da registrare,sistemare,battere a macchina, attenti a non urtare la
suscettibilità di chi raccomandava l’uso della prudenza e preferiva, sui documenti, il
verbo “attinto”,perché edulcorato e meno violento,meno connotato,sia
semanticamente che psicologicamente,del brutale participio passato “morto
ammazzato”. Alla fine lo stato presentò loro il conto: 10.000 lire al giorno per la
foresteria, più i pasti. Una vacanza forzata, costata 415.000 lire a testa,come rivelò
un amareggiato Paolo Borsellino nell’intervista concessa a Lamberto Sposini qualche
tempo dopo,nel 1988. Non occorre scomodare Ernest Hemingway per capire che all’
Addaura era suonata la campana,e la seconda volta,il 23 maggio 1992, purtroppo, il
bersaglio fu centrato. Sembrano sfilare davanti a noi quei potenti che indossavano in
volto la maschera dell’afflizione quando presenziarono alle esequie di Falcone e
recitarono discorsi di circostanza,rilasciando interviste tuonanti di apocalissi e di
speranze di palingenesi imminente per tutti i siciliani. Rimane in bocca l’amaro della
consapevolezza che “A Palermo si muore solo quando si resta soli”. Allora
rimbocchiamoci le maniche, custodiamo preziose, nella memoria, queste due vite e
prestiamo loro ascolto quando ci parlano…faremo il miracolo!

Share Article
Nata a Catania nel lontano 19..(il tempo è solo uno stato d’animo!), dopo aver conseguito la maturità classica si iscrive presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo di Catania. Si laurea in Lettere classiche con votazione di 110/110 “cum laude” e si immerge nel mondo del lavoro. Dopo aver vinto il Concorso a cattedra nel 2001 inizia ad insegnare presso i Licei. Partecipa a diversi convegni come corsista e come relatrice, cercando di tenersi costantemente aggiornata. Si occupa di temi e problemi della sfera umanistica, collaborando con diverse riviste. Appassionata di libri, ama dipingere, recarsi a teatro, ascoltare musica e suonare il pianoforte. Ama viaggiare, e la sua valigia è sempre pronta!

You may also like

TOP