Cosa rimane oggi del principio di sovranità dei popoli

Quando si discute del principio di sovranità, in molti casi, si storce il naso quasi a pensare si tratti di qualcosa che contrasti con la comunanza dei popoli o, peggio ancora, con quel dovere di solidarietà, a proposito del quale, è indispensabile poterne riaffermare la centralità sotto il profilo umano, e non soltanto giuridico.
Non si considera, invece, come la sovranità storicamente, a partire dalla prima forma di Stato Assoluto nel lontano XV secolo, rappresenti uno degli elementi costitutivi dello Stato moderno – insieme al territorio e al popolo – e, quindi, ben distante dall’insorgere di logiche meritevoli di condanna; in tale ambito, infatti, la concezione di sovranità coincide altresì con una serie di aspetti culturali e tradizionali, nonché in relazione alle usanze in qualche modo identificative di uno Stato-comunità, oltre all’interpretazione tipica che richiama l’esercizio del potere di imperio che, gli apparati statali, legittimamente, sono chiamati a svolgere all’interno dei propri confini spaziali.
La sovranità in quest’ottica, non può dunque costituire chiusura, bensì apertura. Ciononostante, è pacifico ritenere come la nascita di nuovi fenomeni come la globalizzazione, e persino l’ingresso oramai consolidato nell’Unione europea, abbiano particolarmente inciso in tale direzione, segnando, l’erosione del principio di sovranità che, se da una parte, può trovare giustificazione in ordine ad interessi superiori per i quali procedere al di là dei nazionalismi, dall’altra però, rischia di sporcare le naturali differenze esistenti tra i popoli che, in quanto tali, esprimono occasione di incontro e di reciprocità, piuttosto che di contesa.
Ciò conduce ad interrogarsi sull’esigenza che vi siano limitazioni di sovranità, allorquando, ciò diventi in special modo pretesto per sottoporre gli Stati all’influenza politica di altri Stati che, potrebbero, considerarsi così trainanti (si pensi la Grecia, i cui aiuti economici da parte dell’Unione, furono vincolati a programmi finalizzati all’acquisto di armamenti militari), con il pericolo di porre in essere le condizioni di un “neocolonialismo democratico” in una sorta di solidarietà di facciata che, nella sostanza, può tradursi in manifestazioni di assoggettamento dei molti per il volere dei pochi potenti.
Qual è il potere che oggi il settore della finanza, dei mercati, oggi riveste? Può ancora l’uomo considerarsi al centro delle agende politiche o, viceversa, la rigidità dei numeri basati su larghi aspetti di speculazione, diviene forse predominante? Ebbene sì, quando la sovranità non è benintesa o destinata a storpiate interpretazioni, si giunge alla costruzione di un assetto complessivo, nel quale, perdendo la bussola dei valori fondamentali, la politica cessa di trascrivere le regole per garantire lo svolgimento di una proficua sovranità, cedendo il passo a manifestazioni di “bon ton” istituzionale, svuotate, però, di quanto sia oggi effettivamente rilevante ai fini di una crescita reale e sostanziale.
Non può temersi la sovranità, poiché, quest’ultima va piuttosto orientata per continuare a rappresentare uno dei pilastri portanti, sui quali si fonda, la permanenza in essere dello Stato di diritto nella storia, come avviene peraltro già da secoli.