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Intervista al giornalista Attilio Bolzoni “La mafia è sempre la stessa non cambia mai”.

Attilio Bolzoni, 67 anni, è un giornalista da quasi quarant’anni, lodigiano di nascita, appartiene ad una generazione dei grandi cronisti che hanno raccontato anni difficili e cruenti. Si è immerso e immedesimato da sempre nella realtà siciliana sin dal 1979 quando ha vissuto a Palermo , proprio iniziando la sua lunga carriera e prestigiosa al quotidiano L’Ora occupandosi in prevalenza di cronaca nera. Per le sue mirabili doti di giornalista asciutto, essenziale, elegante e la notevole intelligenza professionale viene chiamato come  corrispondente de La Repubblica nel 1982. Nel 1988 insieme al collega giornalista Saverio Lodato che scriveva per l’Unità sono al centro di un clamoroso arresto per avere pubblicato le rivelazioni del collaboratore di giustizia catanese Antonino Calderone.

Verranno assolti nel 1991 dall’accusa di peculato e amnistiati per quella di rivelazioni del segreto istruttorio.

Bolzoni continua ad occuparsi anima e corpo della drammatica cronaca della mafia siciliana lacerata dalle guerre scatenate dai corleonesi, costellata di morti eccellenti e delle relative torbide vicende in cui maturarono questi delitti facendo un’informazione d’inchiesta di alta qualità e correttezza. Nel frattempo inizia a pubblicare delle monografie sui temi da lui trattati e nel 1995 scrive con Giuseppe D’Avanzo “La Giustizia è cosa nostra”, recentemente ripubblicato, in cui si traccia la storia del giudice della Corte di Cassazione “ammazzasentenze” ,Corrado Carnevale ,il quale sarà anche accusato di aver aggiustato i processi in favore di Cosa Nostra. Per amore di verità Carnevale sarà assolto con formula piena dal relativo procedimento penale. Nel 1996 la collaborazione tra i due giornalisti prosegue e viene pubblicato “Rostagno: un delitto tra amici”, in cui si narra della storia di Mauro Rostagno, fondatore del movimento Lotta Continua e, poi, della Comunità Saman, ucciso dalla mafia e di cui ancora oggi non si hanno chiari i contorni definitivi del contesto in cui è maturata la sua eliminazione.

Nel 2004 è tra gli sceneggiatori della miniserie televisiva su Paolo Borsellino e nello stesso anno viene inviato in Iraq per il giornale La Repubblica. Sempre con Giuseppe D’Avanzo nel 2007 scrive la sceneggiatura de “Il Capo dei Capi” su Totò Rina da cui è stato poi tratta la fiction televisiva che porta lo stesso titolo del libro.

Nel 2008 pubblica  “Parole d’onore” sentendo le testimonianze degli stessi mafiosi che si raccontano e da cui è stato realizzato uno spettacolo teatrale.

Mentre nel 2009 riceva il premio “E’ giornalismo” riconoscimento più che meritato con la motivazione che il giornalista “da più di trent’anni racconta la Sicilia e la mafia”.Nel 2012 scrive “Uomini Soli: Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino” in cui affronta la vita dei quattro valorosi uomini dello Stato uccisi dalla mafia.

Insieme a Massimo Cappello realizza un docufilm “Silencio”, prodotto in collaborazione da Associazione stampa romana, Fondazione Musica per Roma, Sky e La Repubblica.

Infine da Gennaio 2021 la svolta apparentemente più impensabile con la rottura per dissenso sulla nuova linea editoriale indicata dalla nuova proprietà de La Repubblica e l’inizio della collaborazione con “Domani”, il nuovo quotidiano fondato da Carlo De Benedetti. Attilio è uno dei mostri sacri del giornalismo d’inchiesta, riferimento costante di una nidiata di giovani che si approcciano a questo tipo di attività professionale e all’impegno civile contro la mafia.

Intervistare un giornalista di lungo corso è più che mai stimolante e interessante.

Sei diventato giornalista iniziando sul “campo di battaglia” al quotidiano di Palermo L’Ora, giornale di Mauro De Mauro e di tanti giornalisti che erano in prima linea nella lotta contro la mafia. Cosa ricordi dell’esordio?

Tutto quello che so l’ho imparato a L’Ora perché c’erano dei giornalisti più grandi di me e di notevole preparazione. Io ero giovanissimo avevo 22 anni. C’era una redazione di giornalisti importanti e qualificati. Nessuno ti insegna niente, ma al contempo queste figure ti insegnano tutto, basta che li guardi e li segui. Da una parte ho potuto godere di questa grande scuola, dall’altra ho vissuto la coincidenza di essere arrivato  in questo giornale nel periodo più tragico a Palermo. Stava per iniziare la guerra di mafia, soprattutto, era già iniziata la mattanza contro i rappresentati delle istituzioni , poliziotti ,giornalisti e magistrati. E ,quindi, mi sono ritrovato in un turbine, in un vortice. Pertanto  l’approccio alla professione è avvenuto in maniera “violenta”, però potevo contare su questa grandi esempi di professionalità che esisteva in questo quotidiano. Spesso questo giornale veniva indicato come un giornale antimafia .Invece L’Ora era un giornale che dava le notizie mentre altri quotidiani le nascondevano.

L’Ora di Palermo

La libertà di scrivere su fatti e misfatti è la cifra della tua immensa esperienza professionale che si è consumata prevalentemente a “La Repubblica”. Hai mai subito limitazioni o censure nel narrare le vicende di mafia e nella tua vita professionale?

Ho lavorato con Eugenio Scalfari e Ezio Mauro per oltre vent’anni. Ho ripensato da adulto spesso al fatto che se m’avessero censurato,  come dire, controllato un pò di più all’inizio ,sarei stato felice. Infatti non c’era nessuna forma di censura, l’importante che le notizie erano vere, ben confezionate ,con fonti attendibili. Debbo dire che ho avuto una fortuna straordinaria perché non molti giornalisti possono  raccontare di avere avuto libertà assoluta sulle questioni di cui mi sono  occupato. E tal proposito ti faccio un esempio,  nei primi anni ottanta ero ancora un ragazzo, davo del lei a Scalfari e un sera mi chiama la segretaria del Direttore dicendomi “Scalfari ti vuole parlare” ad un orario strano perché si stava facendo il giornale. Il direttore esordisce dicendomi “Sai l’articolo di ieri Attilio non mi ha trovato per niente d’accordo” però era stato pubblicato lo stesso. Ho capito da questa telefonata l’immensa fortuna che avevo a lavorare in questo giornale e che nonostante l’articolo non fosse gradito al Direttore era stato pubblicato lo stesso.

Ezio Mauro ed Eugenio Scalfari

Sei passato dalle guerre di mafia a quelle in Iraq, hai fatto un periodo molto importante dei reportage sulla “demoniaca” umanità che uccide per dominare e comandare. Come hai vissuto e provato per queste esperienze professionali?

Sono stato prima nei balcani, poi cinque mesi a Kabul dopo l’11 settembre e poi circa otto mesi andavo e tornavo da Bagdad girando tutto l’Iraq. In quegli ambienti mi trovavo bene poiché li trovo come “primi cugini”, come dire, hanno una cultura per me comprensibile. Intanto venivo da esperienze abbastanza hard in Sicilia e nel Sud, quindi, ero abituato ad un certo tipo di problematiche. Là sicuramente c’era paura di essere colpito da una granata o dai cecchini, però la paura più grande sul piano umano e professionale l’ho avuta a Palermo. Una paura psicologica diversa e quotidiana l’ho avvertita intensamente  nel capoluogo siciliano.

La Repubblica

Tra i protagonisti della lotta alla mafia da te conosciuti che ti è rimasto maggiormente impresso?

Ero molto legato al commissario Ninni Cassarà che era un poliziotto moderno, intelligente e colto. Era un personaggio straordinario. Ho conosciuto pochissimo Boris Giuliano ma me ne hanno parlato tutti benissimo. Nei miei anni giovanili a Palermo ho frequentato la Sezione Investigativa della Squadra Mobile e, poi,  molto il “bunker”, l’Ufficio Istruzione del Palazzo di Giustizia ,dove sono andato ogni mattina e dove ho conosciuto bene Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Paradossalmente questi magistrati del pool mi hanno insegnato anche a lavorare come giornalista. Ho imparato tantissimo da loro studiando come si comportavano   nella loro attività professionale.Per me era una grande modello il dottor Falcone,il quale era di un garantismo assoluto , checché ne dicano in giro. Lui nel suo lavoro investigativo e d’indagine andava con i piedi di piombo e se non era sicuro non giungeva a conclusioni giudiziarie affrettate. Cosi ho imparato questa prudenza nel metodo di fare giornalismo  e se devo scrivere su cose che so, scrivo la metà di quello che mi risulta se non sono sicuro che si tratta di notizie certe e blindate, non mi avventuro in ipotesi e illazioni.

La mafia finanziaria ha preso le redini del comando isolando gli stragisti. Ancora oggi ci sono dei capitoli  oscuri e irrisolti anche se è stato dimostrato   storicamente  che la trattativa Stato mafia è esistita. Cosa ne pensi?

Intanto la mafia è sempre la stessa non cambia mai. L’anomalia vera è avvenuta dal 1979 al 2002, quasi venticinque anni, con l’avvento dei corleonesi e le stragi , mai prima la mafia aveva cercato uno scontro con lo Stato. E neanche in quell’occasione l’ha fatto, ha sferrato il suo attacco solo con quei rappresentanti o con quei pezzi dello Stato che si erano messi di traverso. Prima dei delitti eccellenti di fine anni ’70  la mafia non sparava su personaggi eccellenti e bisogna ricordare che  il delitto di un rappresentante delle istituzioni avvenne nel 1893 con l’omicidio Notarbartolo a Palermo. La stagione stragista è stata un’anomalia dal punto di vista mafioso. La mafia vera era quella che c’era prima e quella che c’è oggi , silente e sommersa,  che non usa e non si manifesta all’esterno con la violenza delle armi. Proprio per questo non riusciamo a districarci nel decifrare cosa è accaduto in quel periodo storico degli anni ottanta con i delitti eccellenti e con le stragi dell’estate del 1992. Non è solo mafia quello che è avvenuto perché se fosse stata sola mafia l’avremmo già scoperto.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Le tue note e gli articoli su Domani sono preziose e illuminanti e ci forniscono il quadro d’insieme di cosa è stata la mafia e di cosa potrebbe diventare il fenomeno mafioso. Non pensi che nell’agenda dei governi la lotta alla mafia viene trascurata nei fatti?

Noto che tutti i governi se ne fregano della lotta alla mafia. Nelle ultime competizioni elettorali tutti partiti non parlano mai di mafia, non è mai presente il tema mafia nei loro discorsi, è davvero poco popolare trattare questo argomento. La politica e i governi si occupano della mafia solo come problema di ordine pubblico, solo quando c’è il sangue, le stragi e i morti si scopre che c’è la mafia, altrimenti loro se ne fregano. Per gli uomini del potere politico la lotta alla mafia porta solo rogne. La cultura della politica e dei nostri governanti pensa  che la mafia sia solo un problema di ordine pubblico, mentre non è così. Le mafie ci sono in tutto il mondo. Il rapporto tra le “classi pericolose” e il potere ci sono in tutto il mondo ci sono ovunque da quando esistono gli stati moderni. Mentre in Italia a differenza con altri Paesi del mondo occidentale e dell’Europa queste “classi pericolose” hanno l’ambizione di diventare classi dirigenti.

L’ergastolo ostativo e il 41 bis sono sempre al centro di tentativi di metterli in discussione. Sono stati provvedimenti voluti soprattutto da Giovanni Falcone per combattere la mafia. Quali sono a tuo avviso gli strumenti che possono innovare e rilanciare la lotta alla mafia?

Intanto se facciamo l’analisi la legislazione antimafia di cui siamo dotati è tra le più avanzate del mondo e abbiamo davvero ottimi strumenti di repressione. Se apri il “cassetto” troviamo la  legge Rognoni La Torre del 10 settembre 1982 e ,poi,  quel pacchetto  di provvedimenti del 1991, come giustamente  hai detto, volute da Giovanni Falcone quando era Direttore del  Dipartimento degli Affari Penali al Ministro di Grazie e Giustizia. Le leggi sulla mafia si fermano là. Ritengo che il 41 bis sia uno strumento essenziale ma bisogna usarlo con cautela e lungimiranza,non deve essere uno strumento di tortura. Faccio l’esempio sui due boss mafiosi più famosi di Cosa Nostra, Provenzano e Riina. Nel contesto del 41 bis sono due casi completamente diversi: il primo veniva alimentato con un sondino non dall’esofago o dalla bocca ma direttamente dallo stomaco, dall’intestino e non capiva più niente sul piano mentale. Non si comprende allora perché si dovesse tenere in galera. Infatti lo scopo del 41 bis è quello di non consentire ai boss detenuti collegamenti con gli affiliati e di non trasmettere ordini dal carcere ai picciotti. Mentre  per Riina è un discorso  molto diverso perché era invece ben lucido e a capo dell’organizzazione mafiosa. A mio avviso questo strumento va utilizzato con parsimonia ed equilibrio giuridico altrimenti diventa un’altra cosa.

Hai collaborato a lungo ed eri molto legato con un gigante del giornalismo d’inchiesta in Italia qual è stato Giuseppe D’Avanzo. Cosa hai imparato da questa fervida collaborazione?

Siamo stati grandi amici. Intanto abbiamo scritto tre libri insieme. Abbiamo lavorato insieme sin da ragazzi. Lui prima da Napoli, io da Palermo, poi lui da Roma e io sempre da Palermo, poi vicini nella stessa sede. Questo legame è stato lungo e proficuo e devi pensare che quando è morto un sabato pomeriggio di  11 anni fa eravamo insieme in bicicletta. Era un’amicizia forte, solida e profonda e spesso oggi mi chiedo e mi piacerebbe sapere cosa direbbe Peppe  di tutti i fatti e gli argomenti che accadono nel mondo e intorno a noi.

Una domanda banale ma per noi giornalisti essenziale. Nel nostro Paese non passa giorno che la libertà di stampa non venga messa in discussione. Per ultimo l’estromissione di Lirio Abate da un noto settimanale. Che pericoli intravvedi?

Ci sono diversi aspetti da mettere in rilievo. Oggi è cresciuta la tendenza di citare in giudizio spesso i giornalisti. Succede poi il fenomeno diffuso delle  “querele temerarie” che puoi ricevere come giornalista. Allora se sei in una grossa struttura vieni tutelato perché hai gli staff degli avvocati che ti difendono. Mentre se sei in un piccolo giornale con la “querela temeraria” ti cuciono la bocca, non si riesce più pubblicare più e questo è un fatto scabroso. Gli spazi dei giornalisti oggi rispetto a 40 anni fa si sono ulteriormente ristretti. Io prima scrivevo sempre con molta più libertà rispetto ad ora sulle materie della mafia. A meno che non si scrive o si racconti della mafia degli “spara spara” e delle “facce sconce”. Ricordo che nel 1984 su Rai 1 in prima serata venne trasmessa “La piovra” del Commissario Cattani di Damiano Damiani ,che ebbe un successo straordinario, in cui si parlava di rapporti della  politica, finanza e massoneria deviata con la mafia e si spiegava con chiarezza della complessità del fenomeno mafioso. Oggi invece si fanno molto spesso fiction melense ed edulcorate.

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Rosario Sorace, nasce a Giarre il 13 maggio 1958;nel 1972, a 14 anni, inizia un intenso impegno politico e sociale. A soli 25 anni diventa segretario regionale dei giovani socialisti in Sicilia e dopo due anni, nel 1985, viene eletto al Consiglio Comunale di Giarre. Successivamente, viene eletto al Consiglio Provinciale di Catania dove svolge la carica di Assessore allo Sviluppo Economico. Nel 1991 viene eletto Segretario della Federazione Provinciale del PSI di Catania. Nel contempo consegue la laurea in Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Catania in cui ha svolto il servizio in qualità di funzionario di Biblioteca del Dipartimento di Scienze Chimiche. È giornalista pubblicista dal 21 maggio 2021. Collabora dal 2018 con i giornali on line IENE SICULE, SIKELIAN, IL CORRIERE DI SICILIA, AVANTI LIVE e PRIMATV ON LINE. Direttore responsabile di CLESSIDRA2021 ,giornale fondato dallo stesso. È un grande di lettore di prosa e scrittore di poesie.

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