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Il tempo: la ricchezza per l’umanità
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Chi sbaglia deve pagare, non morire!

L’uscita del film di Leonardo Di Costanzo Ariaferma è una buona occasione per riflettere e approfondire una tematica che spesso, troppo spesso, viene dimenticata dai più, ignorata da molti e sottovalutata da alcuni: le carceri e i detenuti.

Alcuni anni fa da studente in legge ebbi la fortuna di partecipare ad una conferenza tenuta dalla mia Facoltà, che aveva come tematica proprio quella della situazione carceraria in Italia e della quasi inoperosità del principio di rieducazione della pena; coloro che si trovano dietro le sbarre sono pur sempre dei cittadini in regime carcerario per scontare la propria pena detentiva e non per questo meritano di essere emarginati o peggio dimenticati dalla società. Alla stessa conferenza ebbi modo di conoscere un’attivista di primo piano sul tema: Marco Pannella, il quale con i suoi scioperi della fame e della sete spesso si opponeva a ciò che non andava nel “sistema Italia”. Ciò che si sottolineava allora e che è di attualità ancor oggi, è che troppo spesso il detenuto viene considerato un reietto della società, che lo etichetta come “sbagliato” e non da la possibilità allo stesso di un pieno reinserimento nella quotidianità. Paradossalmente i primi a compiere un errore in tal senso sono proprio gli istituti di pena. Una galera che è sinonimo di sterilità; sono infatti pochissimi gli istituti che fanno compiere un percorso rieducativo al detenuto che in tal caso ha la possibilità di imparare un mestiere, ricevere un’educazione civile che gli permetta di avere tra le mani una possibile futura occupazione ed una spendibilità nel mondo del lavoro che gli consenta di evitare di essere recidivo e ricadere “negli errori del passato”. La percentuale di recidive da parte di chi compie questo percorso è veramente bassissima, ciò significa che il “metodo” funziona e dovrebbe essere applicato su tutto il territorio nazionale; ma ahimè sono pochissimi, se non ricordo male solo due o tre, gli istituti che danno questa possibilità a chi ha sbagliato. Ovviamente questo è solo un lato del problema, l’altra faccia della stessa medaglia è che le carceri italiane sono veramente vetuste, squallide e totalmente da rinnovare. Strutture sorte negli anni 30 del novecento e mai rinnovate, che avrebbero bisogno di una vera e propria messa a nuovo.

Tornando per un attimo al film di Di Costanzo , con degli straordinari Tony Servillo e Silvio Orlando, il primo nel ruolo della guardia carceraria, il secondo del detenuto “di peso”, viene alla luce un aspetto interessante del rapporto tra bene e male nella loro contrapposizione all’interno del carcere; ciò che emerge è come i due protagonisti del lungometraggio, fatto di molti silenzi e tanti sguardi di straordinario spessore interpretativo, in realtà si conoscessero da prima della circostanza che li vede relazionarsi all’interno del carcere. Avevano avuto una comune infanzia, poi la vita li aveva portati ad indossare maschere diverse, una finzione che trova fondamento nella realtà. Un esempio che mi balza alla mente è quello relativo ai giudici palermitani Falcone e Borsellino che nelle varie interviste rilasciate nel corso della loro brillante carriera, hanno raccontato come gli sia capitato di far arrestare e processare quelli che un tempo erano stati compagni di giochi della loro infanzia vissuta nel quartiere della Kalsa a Palermo. Un episodio che esprime un tratto di particolare umanità e spessore che mi preme sottolineare, e che fa da fil rouge a questa riflessione sui detenuti e sul mondo carcerario, è relativa ad un aneddoto che vide protagonista il giudice Paolo Borsellino, il quale regalò il motorino del figlio ad un ragazzo per consegnare il pane. Fin qui si potrebbe dire “un atto di generosità”, ma c’è dippiù. Il padre del ragazzo in questione era un detenuto, arrestato in un’indagine condotta dallo stesso Borsellino. Il suo fu un atto “educativo”. Donò il motorino per evitare che il figlio seguisse le orme del padre ed in tal modo potesse costruirsi un futuro volto alla legalità fatta di un lavoro onesto e non all’illecito. Ecco cosa significa dare il buon esempio, cosa significa essere “Uomini” che fanno veramente la propria parte nella società. Ne avremmo ancora, e soprattutto oggi, un gran bisogno.

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Alessandro Sorace classe 1988, nato a Catania. Giurista, giornalista pubblicista, appassionato di arte, storia ed amante della cultura, del gusto e del buon vivere. Collabora da gennaio 2022 col quotidiano online "Clessidra 2021".

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