La sbiadita dimensione del voto come “dovere civico”

All’interno di un ordinamento democratico, l’esercizio del voto richiama alla massima espressione della sovranità popolare; talvolta, però, si omette di considerare la dimensione del voto in rapporto al “dovere” che esso rappresenta: cioè lo spazio di più alta contribuzione in capo al singolo cittadino nei riguardi della collettività in cui, questi, risulta inserito. Ora, dunque, riscoprire il principio di solidarietà sotteso al voto – nella sua concezione di dovere – orienta verso la costruzione di una cittadinanza attiva e partecipe sin dalle premesse, in aderenza a quanto stabilito dai Padri costituenti ab origine.
Curare la natura del dovere del voto consente di assumere consapevolezza in ordine alle scelte che si traducono nelle forme di democrazia rappresentativa degli attuali ordinamenti; pertanto, con il fenomeno dell'”astensionismo” opera una rottura capace di coinvolgere in negativo il funzionamento della polis, inverando le sembianze di una democrazia soltanto apparente, quale istantanea di uno scollamento che si registra tra la gente, da una parte, e la classe dirigente, dall’altra.

Pur in assenza di aspetti sanzionatori, circa il mancato esercizio del voto, tuttavia, la peculiarità del dovere, che insiste sul riconoscimento della titolarità dell’esercizio in sé, facendo proprio l’emendamento di Mortati (DC) durante la seduta plenaria del 21 maggio 1947, impone di partire dal considerare la qualità “civica” che risiede in tale dimensione, sicché da percepire l’art. 48 Cost. non come mera clausola di stile, bensì di attribuzione personale, responsabilità e di ampio respiro socialmente rilevante per le attuali e, ancor più, per le future generazioni.