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Intervista alla prof.ssa Stefania Mazzone:”La paura della libertà genera mostri”

Stefania Mazzone è una docente universitaria a Catania di Storia delle dottrine politiche con una carriera assai brillante. Ha conseguito la laurea in Filosofia e il dottorato in Filosofia Politica, all’Università di Pisa. Ben presto si dedica alla ricerca con una passione divorante e diviene professoressa associata nel 2001 presso il Dipartimento di Scienze Politiche e sociali dell’Università di Catania.  In modo particolare nella sua lunga attività di studio approfondisce l’eterno tema del rapporto tra ideologie e istituzioni, essendo particolarmente interessata e vocata alla ricerca sulle manifestazioni artistiche, letterarie e di genere. Recentemente si è occupata del rapporto concernente  l’eversione e i problemi dell’ordine pubblico nella storia del pensiero politico e delle scienze sociali. Ha svolto studi anche sulla questione storica  e quanto mai  attuale dei fenomeni migratori con particolare riguardo agli   effetti che tali fatti producono nei confronti del potere costituito, dell’economia e della società. Negli ultimi anni si è cimentata nel dibattito  storico tra interventismo e astensionismo in Italia nei primi anni del Novecento e del rapporto tra eversione e ordine pubblico nell’Italia post–unitaria fino al fascismo. Numerose le pubblicazioni messe in campo tra cui vanno menzionati: Tempo e Potere. Tragitti di democrazia costituente ( 2004); Passioni e artificio. Individuo e ordine sociale nella filosofia di David Hume (1999); Stato e Anarchia. Il pensiero politico del libertarismo americano: Murray Newton Rothbard(2000); Sul Cristianesimo (2007), La filosofia del corpo (2012), Seta e Anarchia. Teorie e prassi degli anarchici italiani a Paterson (2018), Narrare le Migrazioni. Tra diritto, politica, economia (2019), Generose utopie. Il giornalismo politico di Guido Dorso 1919-1925(2019).

Stefania Mazzone è dotata di grande vivacità intellettiva oltre che di un tratto assai simpatico con un carattere aperto, sensibile e arguto. Abbiamo svolto con lei un interessante e stimolante conversazione sui temi della polis, della democrazia e delle libertà.

Abbiamo assistito in questi anni alla deriva del populismo che ha messo in discussione la democrazia rappresentativa. Qual è la ricetta per invertire questa sfiducia incipiente ?

Non esiste una soluzione al populismo sul piano istituzionale che non nasca sul terreno delle lotte sociali. Il populismo nasce dalla degenerazione, del tutto prevedibile, di una tradizione, potremmo dire “vincente”, che ha attraversato la storia del pensiero politico occidentale da Platone ai nostri giorni. La tradizione del soddisfacimento del “bisogno come mancanza”, Da Platone a Hegel, passando per Hobbes, contro la tradizione del “desiderio di potenza”, da Aristotele a Foucault, Deleuze, Guattari, passando per Spinoza. Il problema è antropologico. L’idea che gli individui debbano, in società, costituire un patto che trasformi la loro pluralità e differenza in “popolo” quale soggetto unico e dominato sotto la minaccia della paura, quale soggetto “mancante”, contro l’idea delle soggettività molteplici e plurali della moltitudine non rappresentabile e dinamica, sotto la spinta del desiderio di divenire, conduce su un crinale autoritario e di regime. Sul piano della prassi politica, l’affermarsi di costruzioni identitarie semplifica il lavoro del potere e ingabbia la moltitudine dentro una cornice di bisogni indotti che controlla spazio giuridico, politico ed economico che annulla le diversità. Da questo punto di vista, il populismo non può avere che sbocchi autoritari, anche in sistemi formalmente democratici, per la sua necessità di semplificazione e controllo. La costruzione dei bisogni ingabbia nel gioco della rincorsa all’unificazione e omologazione delle tematiche, delle parole d’ordine, delle estetiche. Alcuni degli antidoti utilizzati possono addirittura avere conseguenze negative. Si guardi ai partiti moderati che cercano di sottrarre elettori ai partiti populisti avvicinandosi a loro sulle questioni specifiche. Su questo terreno assistiamo ad una omologazione di programmi e strategie che concorre nel medesimo agone della politica istituzionale creando false alternative. Tenere il punto sulla difesa ed espansione dei diritti civili e sociali, da parte delle nuove soggettivazioni emergenti, dalle comunità LGBTQ+ ai migranti, alle nuove istanze della generazione del Friday for Future, di Occupy the Web, ai Riders ai nuovi femminismi, apre spazi di libertà e democrazia reali, agiti sul piano della mobilitazione permanente.

Nel mondo le democrature autoritarie crescono mentre le democrazie liberali si indeboliscono. L’umanità continua ad avere paura delle libertà ?

“La paura della libertà è il sentimento che ha generato il fascismo. Per chi ha l’animo di un servo, la sola pace, la sola felicità è nell’avere un padrone e nulla è più faticoso e veramente spaventoso dell’esercizio della libertà”, scriverà Levi nel 1944, in una delle sue frasi più celebri. Eppure sull’idea di libertà si fonda interamente la cultura occidentale, quale segno precipuo e qualificante. Lo stesso Erich Fromm, nel 1941, in Fuga dalla libertà, in dialogo ideale con “La paura della libertà” di Levi, condividerà il giudizio sugli esiti di questa paura, ma sarà anche illuminante nel determinarne le cause: “L’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura, perché lo obbliga a prendere delle decisioni”. Da qui si deve ripartire per comprendere la tensione tra paura e decisione, responsabilità e sottomissione. A nulla servirà, ai fini della libertà, la memoria e l’insegnamento dell’orrore. Bisogna mettere mani alla questione della paura che è generatrice naturale del potere.

In che modo la scienza e la filosofia politica  possono incidere nella formazione, nel miglioramento e nell’elevazione delle classi dirigenti?

Bisogna costruire società plurali e inclusive dove anche il concetto di “classe dirigente” venga superato dalla responsabilità della scelta e dell’impegno individuali nel farsi parte dirigente dell’intera comunità. Liberare l’accesso alla formazione tradizionale e alle nuove forme di sapere nate dal progresso tecnologico, saperi di rete e in rete, attraversando e superando le diseguaglianze sociali è la strada principale per la partecipazione attiva e l’innovazione delle forme della politica, della cultura, dell’arte, della scienza da parte di quella soggettività plurale e immateriale che Marx chiamava nei Grundrisse, General Intellect.

La relazione tra ethos e polis è un nodo scoperto che incide in profondità nella vita democratica. Quali sono le motivazioni storiche per l’assenza di una moderna etica della responsabilità individuale ?

Bisogna stare molto attenti quando ci si appella ad un ethos della polis. Certamente, nel suo senso di sentimento dell’intelligenza, come lo considera Nussbaum, che aristotelicamente diventa conoscenza e trasmissione di postura morale, agisce nella polis in termini pedagogici, ma anche demagogici. La politica è, invece, generata da un “tra”. È ciò che auspicava Hannah Arendt nel suo “Che cos’è la politica”: «La politica si fonda sul dato di fatto della pluralità degli uomini, tratta della convivenza dei diversi, nasce nell’infra, e si afferma come relazione». In questo senso, relazionale e comunicativo, non si dà polis senza ethos, e viceversa. Al di fuori della relazione paritaria tra diversi, però, la rivendicazione di un ethos risulta autoritaria e omologante.

Oggi si parla sempre più di un deperimento della vita democratica con fenomeni di scarsa partecipazione dei cittadini. Cosa è accaduto nella vita associata ?

La democrazia non dovrebbe, spinozianamente, essere un sistema di governo, ma una dinamica. Pensare ad una democrazia rousseauviana significa pensare ad un sistema molto diverso, fondato sull’uniformità del “popolo” in una “volontà generale” fondata su un ethos della maggioranza che nulla ha a che fare, ad esempio, con la democrazia liberale e deliberativa di tipo lockeano, quale metodo di governo, contro e a prescindere dall’esistenza di un ethos. Tocqueville temeva l’omologazione e l’apatia di un sistema di maggioranze e minoranze, ma in nome della democrazia si è costruito a cavallo di due secoli, un movimento operaio dai convincimenti socialisti, di una democrazia sostanziale, come l’esperienza dei soviet. Di quale democrazia parliamo oggi? Dove e come si assumono le decisioni? Quali spazi di partecipazione? Ritengo che la sfiducia nel voto passi, un po’ in tutto l’occidente, per il decentramento degli spazi deliberativi che, in termini di potere dell’opinione pubblica, appaiono sempre più digitali e meno “fisici”. Ecco che l’alfabetizzazione tecnologica e la lotta per l’accesso popolare alle nuove tecnologie rappresenta uno snodo ineludibile per una democrazia che non può essere che dinamica in una società plurale e moltitudinaria. Non dimenticando, poi, che sono le concrete condizioni materiali che determinano i livelli di partecipazione alla decisione politica. Dunque, misure come il salario sociale e il rafforzamento delle garanzie e coperture dei diritti fondamentali degli strati più disagiati della società rappresentano le fondamenta di un sistema che vuole dirsi democratico, in qualunque contesto economico questo si ponga. Nuovi diritti, anzi, civili e sociali, per nuove società plurali e multiple, sono necessari a garantire benessere e integrazione, con contenimento del conflitto in termini di espressione dei molteplici desideri.

Le migrazioni sono una costante della storia. Eppure qualcuno pensa di riportare indietro le lancette della storia. Come si realizza l’integrazione delle diversità ?

La Xenia  sanciva l’obbligo di mutua assistenza attraverso l’offerta di ospitalità che veniva sancita pubblicamente. Il patto avveniva con lo scambio di symbola: piccoli oggetti spezzati in due parti che valevano da riconoscimento e prova di legami anteriormente stabiliti. Il patto era autentico se le due parti combaciavano, se unite ricomponevano l’intero attestando il legame di ospitalità. Erano tessera di riconoscimento: tessera ospitalis. Il patto rendeva così i due contraenti philoi (amici) e li obbligava al dovere di un’ospitalità reciproca.

Si ricorda come uno degli esempi più pregnanti del valore del symbolon, quale testimonianza di una solida relazione di amicizia si trova nel Simposio di Platone (191 d, 4-5): “Ciascuno di noiè anthropou symbolon, è una metà di un uomo, spaccato come le sogliole, e d’uno fatto due [ex henos dyo]. Ciascuno per ‘compiere’ la propria identità sempre necessita di qualcuno che gli corrisponda”.

L’istituto della Xenia è ampiamente e concordemente testimoniato, dunque,  lungo tutta la cultura greca. Ne troviamo traccia anche in Omero e in Platone e in età romana verrà ripreso da Ovidio nelle Metamorfosi.

Certamente, l’identificazione dello straniero con il nemico e la necessità dell’invenzione del nemico entra in gioco nei termini della scrittura di uno spazio striato, confinato, che l’antichità, con il suo limes poroso, non conosceva. La nascita delle nazioni comporta, dunque, la “stranierizzazione” di popoli interi, come rileva Arendt  parlando di apolidi a proposito del totalitarismo, così come di hospes/hostis. Ma noi, nomadi dell’identità e migranti degli spazi lisci, oggi, non dimentichiamo che proveniamo da una cultura dell’umanità fondata su una semplice narrazione, così per come ce la propone Pierre Levy, il filosofo dell’intelligenza collettiva e del cyberspazio: Qual è la colpa di Sodoma? Negare l’ospitalità. Invece di accogliere gli stranieri, gli abitanti di Sodoma vogliono abusarne. Ora, l’ospitalità rappresenta in modo eminente la garanzia del legame sociale, un legame concepito nella forma della reciprocità: l’ospite è indifferentemente colui che è ricevuto o colui che riceve. Ognuno può diventare a sua volta straniero. L’ospitalità garantisce la possibilità di viaggiare e in generale di incontrare l’altro. Grazie all’ospitalità, colui che è separato, diverso, straniero viene accolto, integrato, compreso in una comunità. L’ospitalità è l’atto di connettere l’individuo a una collettività. Rappresenta il contrario, sotto ogni punto di vista, all’atto di esclusione. Il giusto include, “inserisce”, ricuce il tessuto sociale. In una società di giusti, nella forma della reciprocità, ciascuno si impegna a includere gli altri. In un mondo in perenne movimento e in cui tutti sono portati a cambiare, l’ospitalità morale dei nomadi e dei pellegrini, diventa la morale per eccellenza. Tuttavia non bisogna pensare che il giusto, nel suo lavoro di tessitura del legame sociale, coltivi ad ogni costo l’unità, l’uniformità, l’unanimità. Al contrario, Lot si assume il rischio di essere in minoranza, in minoranza assoluta poiché difende gli stranieri solo contro tutti. Così facendo situa se stesso nella posizione dello straniero. Colui che include di più può diventare l’escluso. Accettando di integrare lo straniero, a sua volta cacciato, facendo entrare gli altri e non rispettando lui stesso i confini, il giusto è il passatore per eccellenza[…]”. Non si tratta di “integrare” nessuno. Si tratta di “sconfinare”, tutti insieme.

Dalla parte dell’essere e della potenza, i giusti contribuiscono a produrre e preservare tutto ciò che popola il mondo umano.

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Rosario Sorace, nasce a Giarre il 13 maggio 1958;nel 1972, a 14 anni, inizia un intenso impegno politico e sociale. A soli 25 anni diventa segretario regionale dei giovani socialisti in Sicilia e dopo due anni, nel 1985, viene eletto al Consiglio Comunale di Giarre. Successivamente, viene eletto al Consiglio Provinciale di Catania dove svolge la carica di Assessore allo Sviluppo Economico. Nel 1991 viene eletto Segretario della Federazione Provinciale del PSI di Catania. Nel contempo consegue la laurea in Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Catania in cui ha svolto il servizio in qualità di funzionario di Biblioteca del Dipartimento di Scienze Chimiche. È giornalista pubblicista dal 21 maggio 2021. Collabora dal 2018 con i giornali on line IENE SICULE, SIKELIAN, IL CORRIERE DI SICILIA, AVANTI LIVE e PRIMATV ON LINE. Direttore responsabile di CLESSIDRA2021 ,giornale fondato dallo stesso. È un grande di lettore di prosa e scrittore di poesie.

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