Alberto Asor Rosa: leggere è superare i confini

A distanza da qualche giorno dalla scomparsa di Alberto Asor Rosa, avvenuta lo scorso mercoledì 21 dicembre, mi sembra doveroso ricordare non solo il grande studioso, ma la grande persona che è stata.
Nato a Roma nel 1933, professore di Letteratura Italiana alla Sapienza di Roma, ha ideato e diretto diverse “Grandi Opere”, soprattutto per Einaudi, ma fu anche impegnato in politica fin da giovane, legandosi al PCI e diventando uno dei fondatori per così dire della corrente “operaista”, in particolare con la rivista Classe Operaia e successivamente con la direzione del settimanale Rinascita (nominato nell’ottobre 1989), che aveva avuto Togliatti come fondatore nel 1944. La sua esperienza personale in politica, e non solo, lo ha portato a guidarci in un percorso diacronico sul legame tra cultura e potere, passando per Dante e continuando fino all’Ottocento, quando il Risorgimento comportò un’accelerazione e intensificazione di questo processo, facendo spesso degli intellettuali dei politici in prima persona.
Ha scritto molto di letteratura e non solo italiana. Nonostante fosse un italianista, infatti, celebre è il suo saggio su Thomas Mann. Più tardi, lasciata la cattedra di Letteratura Italiana alla Sapienza, si dedicò, anche, alla narrativa, non smettendo di pubblicare saggi, articoli e volumi. In particolare, guardò alla sua storia familiare con L’alba di un mondo nuovo e poi, soprattutto, con Assunta e Alessandro. Sono, infatti, i suoi genitori la coppia di cui Asor racconta le vicende. “Assunta e Alessandro hanno vissuto esperienze molto simili a quelle di milioni di altri italiani, ma con la peculiarità di essere fatti in un certo modo”. Ha voluto raccontarli attribuendosi il ruolo di testimone, che però di loro ne sa più di chiunque altro.

Ha dedicato la sua vita alla letteratura e al piacere di leggere, che consiste nello “scoprire in una qualsiasi forma di scrittura qualcosa che fino a quel momento il lettore non aveva nemmeno immaginato che esistesse” così amava ripetere.
Forse non eravamo pronti alla perdita di un grande come lui, capace di mostrarci che la lettura supera confini e di conseguenza i limiti della propria esperienza; illuminandoci su quanto sia importante “far apparire in superficie l’interiorità, farla diventare esteriorità, vita, relazione tra essere umani” e diventando, infine, addirittura un visionario imbevuto di pessimismo cosmico-storico, ma alla ricerca, sempre, di una via di salvezza.
Mi chiedo: “la salvezza dove sta?” Nel vedere la vita da un’altra prospettiva, forse di un libro.