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La figura epica di Lorenzo Panepinto, lottò per “le affittanze collettive ” e la Cassa Agraria Sociale

Lorenzo Panepinto è una figura epica delle lotte contadine che merita di essere ricordato ai posteri. Nacque il 4 Gennaio 1865 a Santo Stefano Quisquina, piccolo Comune in provincia di Agrigento. La sua attività lavorativa fu quella di maestro elementare ed ebbe due grandi passioni che coltivò con dedizione: la la pittura e la politica . Iniziò l’impegno nelle istituzioni locali a 24 anni e nel 1889 fu  venne eletto al consiglio comunale del suo paese nel gruppo dei democratici mazziniani. Tale movimento riuscì a mettere in minoranza la rappresentanza consiliare dei liberal-moderati che sino ad allora deteneva la maggioranza. Tale raggruppamento dei conservatori  reagì con veemenza facendo sciogliere il consiglio comunale e ottenendo la nomina del regio commissario, Roncourt. Quest’ultimo agì sempre nell’esclusivo interesse dei liberal moderati e nonostante ciò costoro furono nuovamente sconfitti nelle elezioni svoltesi nel mese di agosto 1890. In seguito a questo risultato elettorale Antonio Di Rudinì ,capo del Governo , commissariò nuovamente il comune e Lorenzo Panepinto si ribellò a questo stato di cose dimettendosi per protesta, dedicandosi all’insegnamento e alla pittura. Panepinto dopo il matrimonio si trasferì a Napoli e ritornò in Sicilia nel 1893 quando erano in corso le agitazioni provocate dai Fasci siciliani, movimento di protesta del proletariato dell’Isola.  Dunque Panepinto prese l’iniziativa di fondare il Fascio di Santo Stefano Quisquina, che era stato sciolto dopo appena pochi mesi dal governo del siciliano di Ribera, Francesco Crispi, il quale divenne anche colui che ebbe il compito di reprimere tutti i Fasci nati dell’isola. Panepinto ruppe gli indugi e aderì senza titubanze al Partito Socialista Italiano.

Le conseguenze di tale decisione non tardarono e giunse per lui un provvedimento di licenziamento del comune in cui veniva sollevato dal posto di maestro elementare. Ma Panepinto non era il tipo di abbattersi facilmente e continuò i suoi studi di pedagogia e metodi didattici riuscendo anche a pubblicare degli studi assai interessanti  nel 1897. All’inizio del Novecento iniziarono gli scioperi nel campo dell’agricoltura e Panepinto si legò avvicinandosi alle posizioni di Bernardino Verro che operava a Corleone e Nicola Alongi che era a Prizzi. Insieme a questi due dirigenti sindacali  si fece la scelta innovativa di realizzare per i contadini  le cooperative agricole e le Casse Agrarie, per mettere fuori gioco i gabelloti dei feudi. Panepinto si trasferì anche in America nel 1907 ritornando però l’anno dopo nel suo Paese dove riprese la sua battaglia in favore dei contadini. Il giorno fatale della morte arrivò il 16 maggio 1911 quando venne assassinato a Santo Stefano Quisquina.

Gli spararono davanti la porta della sua abitazione, in via Madre Chiesa n. 21, vicino alla centralissima piazza principale, a quell’ora frequentata da molta gente. La giustizia anche in questo omicidio di mafia non trionfò e il processo che si celebrò a Catania durò solo con 11 giorni dibattimento. Fu emessa una sentenza dalla Corte d’Assise nell’udienza conclusiva che si tenne il 7 aprile 1914 in cui l’unico imputato Giuseppe Anzalone venne assolto anche per i tentati omicidi di Antonio Picone e Ignazio Reina che accompagnavano Panepinto nella sua abitazione. Tale sentenza venne definita scandalosa lasciando impunito tale atroce assassinio. La cosa che però destò ancor più clamore fu il fatto che la parte civile si ritirò non costituendosi e a darne comunicazione alla Corte fu l’avv.Luigi Macchi, noto esponente dei socialisti catanesi. Si ritirarono  anche gli altri avvocati di parte civile, Gaspare Nicotri e Francesco Alessi, componenti della direzione regionale del Partito Socialista, e l’avv. Antonino Vinci Juvara con la motivazione della “possibilità di equivoco di identificazione” che invece era stata confermata  da una testimone Provvidenza Rumore, la quale aveva identificato nelle udienze l’imputato senza nessuna paura o timore. Anzalone era un giovane campiere dell’ex Feudo “Melia” originario di Lercara Friddi e questo feudo era controllato dai gabelloti tali fratelli Petta. Molti avevano indicato in Anzalone come il responsabile dell’omicidio però la scelta dei difensori della vittima di ritirarsi pare essere stata dettata da minacce. Il processo si era svolto a Catania per legittima suspicione chiesta dall’avvocati di parte civile in quanto Anzalone era “figlioccio” del ministro di Grazie Giustizia on. Camillo Finocchiaro Aprile. Oltre al sicario furono denunciati nel 1911 dalla polizia e dai carabinieri di S. Stefano Quisquina: Rosario Ferlita, Domenico Ferlita, Giuseppe Ferlita, Ignazio Scolaro e Giovanni Battista Scolaro, tutti grossi gabelloti degli ex feudi di S. Stefano Quisquina.Il processo venne istruito solo contro l’Anzalone, mentre tutti gli altri denunciati come mandanti furono prosciolti in sede istruttoria. Panepinto lasciò la moglie Maria Sala e i tre figli piccoli Angela, Libero Federico e Laura,nella più completa povertà. La notizia dell’omicidio  scosse l’opinione pubblica non solo in Sicilia ed ebbe un vasto eco nazionale.Venne riportata da tutti i giornali  e ai funerali parteciparono oltre 4.000 persone, che portarono il feretro  in corteo con la bara scoperta. Intervenne ai funerali l’on. Alessandro Tasca che fece un commemorazione vibrante e dura contro “la maffia padronale” difendendo il proletariato agricolo nelle sue rivendicazioni. In quel periodo anche Bernardino Verro era stato oggetto di un agguato proprio il 6 Novembre del 1910   e per Tasca Bisognava condurre “una lotta senza quartiere” poiché “è stata apertamente dichiarata agli organizzatori del proletariato agricolo. È il duello mortale ripreso contro i nostri contadini a distanza di venti anni circa dai Fasci”. L’omicidio avvenne nella fase in cui Lorenzo Panepinto stava costituendo la Cassa agraria di S. Stefano e,quindi, tale atto costituiva un danno per i gabelloti locali  che reagirono pesantemente allo sviluppo delle cooperative di credito e delle affittanze collettive che  avrebbero messo in discussione il controllo della terra, nonché  limitato l’usura e il controllo del mercato del lavoro. I contadini si ribellavano al subaffitto chiedendo di divenire soci .

Panepinto era riuscito a riprendere in mano e riattivare il movimento represso dei fasci siciliani.
La mafia del feudo non poteva tollerare le richieste delle affittanze collettive e la costituzione delle cooperative.  Le cosche  mafiose scelsero la strada di uccidere coloro che avevano ideato questi strumenti di riscatto per i contadini. Le affittanze collettive furono un’esperienza originale del socialismo isolano. In tal modo i contadini potevano ottenere direttamente dai latifondisti proprietari terrieri la gestione degli ex feudi superando l’intermediazione parassitaria dei gabelloti mafiosi. E’ questo fu il fatto propulsivo della loro feroce e violenta  reazione.    
Tra l’altro, a S. Stefano Quisquina Lorenzo Panepinto era riuscito già nel 1910 ad ottenere l’affittanza collettiva dell’ex feudo “Mailla”. E il 6 gennaio 1911 aveva anche costituito la Cassa Agraria Sociale Cooperativa, che poteva esercitare il credito agrario ai contadini, assumere in affitto le terre, fare prestiti fruttiferi, acquistare sementi, concimi, sostanze anticrittogamiche, bestiame, macchine e attrezzi da distribuire ai contadini, e vendere collettivamente prodotti agricoli. La Cassa Rurale Cattolica era presieduta da Felice Leto, che dominava in modo assoluto l’economia e la politica locale. E Leto era cognato di Rosario Ferlita,che venne denunciato come uno dei mandanti dell’assassinio Panepinto. Le idee di Panepinto con le “affittanze collettive” e la costituzione della Cassa Agraria Sociale si opponevano agli interessi della grande proprietà terriera e dei gabelloti mafiosi segnando la fine terrena del maestro elementare.

Non erano passati neanche 10 anni proprio nell’ottobre del 1920, i socialisti di S. Stefano riuscirono a conquistare il municipio, eleggendo sindaco Peppe Cammarata, suo amico e collaboratore, che divenne famoso per coraggiose lotte per l’occupazione delle terre e per l’acquisto collettivo del latifondo “Mailla”. Cammarata non dimenticherà mai il suo maestro politico , proseguendo la sua battaglia.

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Rosario Sorace, nasce a Giarre il 13 maggio 1958;nel 1972, a 14 anni, inizia un intenso impegno politico e sociale. A soli 25 anni diventa segretario regionale dei giovani socialisti in Sicilia e dopo due anni, nel 1985, viene eletto al Consiglio Comunale di Giarre. Successivamente, viene eletto al Consiglio Provinciale di Catania dove svolge la carica di Assessore allo Sviluppo Economico. Nel 1991 viene eletto Segretario della Federazione Provinciale del PSI di Catania. Nel contempo consegue la laurea in Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Catania in cui oggi svolge il servizio in qualità di funzionario di Biblioteca del Dipartimento di Scienze Chimiche. È giornalista pubblicista. Collabora dal 2018 con i giornali on line IENE SICULE, SIKELIAN, IL CORRIERE DI SICILIA e AVANTI LIVE. È un grande di lettore di prosa e scrittore di poesie.

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