L’omicidio mafioso di Andrea Raia a Casteldaccia. Si oppose alle speculazioni contro “I granai del popolo”

Settantotto anni fa Andrea Raia venne ucciso dalla mafia. Era un uomo fiero, un dirigente sindacale comunista che si prodigò in favore dell’emancipazione del mondo contadino. Nella notte tra il 5 e 6 agosto 1944 fu freddato dalla mafia di Casteldaccia, davanti alla sua abitazione mentre rientrava dopo avere preso un pò di fresco davanti l’uscio. Andrea Raia comunista rivestiva la carica di segretario della locale Camera del lavoro e di componente della Commissione comunale per l’ammasso obbligatorio del grano a seguito della decisione del primo Governo di unità nazionale di fronteggiare il fabbisogno alimentare dell’Italia del Centro Sud, che gli alleati avevano liberato dall’occupazione nazi fascista dopo l’8 settembre del 1943, mentre al Nord vi era la repubblica Sociale di Salò guidata da Mussolini. Raia fu il primo dei quarantasette omicidi mafiosi del dopoguerra che in qualche modo sono legati alla lotta impari e drammatica che contrappose i contadini per l’approvazione di una radicale riforma agraria che annullasse il potere feudale dei latifondisti. In quell’epoca il 52% dei siciliani si dedicavano all’agricoltura e alle foreste. Mentre 282 proprietari possedevano il 10,6% della superficie agraria e forestale, mentre 257.000 braccianti lavoravano la duramente senza diritti e non possedevano neanche un metro di terra ,infine altri 250.000 erano contadini poveri. Il contesto sociale condusse le organizzazioni politiche e sindacali che si richiamavano ai socialisti, comunisti e democristiani ad unificare gli sforzi per portare ad un rinnovamento e una modifica della legislazione nel campo dell’agricoltura.
E fu proprio nel 1944 che Andrea Raia si mise alla testa del movimento che consentisse di non evadere i grandi proprietari dall’obbligo di conferire ai “Granai del popolo” la loro quota di prodotto. Raia era assai scrupoloso nello svolgimento del suo ruolo, si scontrò ben presto con l’amministrazione comunale. Mentre gli agrari latifondisti con l’appoggio della mafia , dei separatisti, scaricavano totalmente sui contadini piccoli e medi tale obbligo. Gli venne affidato anche l’incarico di distribuire ai poveri tutte le provviste alimentari che arrivavano: farina, pasta, zucchero, ecc., e lui non approfittò mai di tutto l’approvvigionamento che gli veniva consegnato. Infatti nell’immediato dopoguerra vi era una penuria di beni alimentari e la gente pativa anche la fame. Raia custodiva le provviste di viveri, di materiali e di materie prime necessari a soddisfare le esigenze o ad assicurare la sopravvivenza della comunità di Casteldaccia.

Durante la guerra, molti giovani soldati avevano perduto la vita per la patria e lo Stato mandò alle famiglie, che avevano perduto il figlio, un risarcimento in denaro. Andrea Raia, ebbe l’incarico di distribuirle con equità e giustizia però molti componenti dell’Amministrazione comunale fecero pressioni e lo minacciarono per dividere tra loro quelle consistenti somme di denaro. La sua opposizione fu energica e irremovibile essendo contraria alla sua moralità e alla gente che lui difendeva e per cui lottava. E’ questo può essere stato il vero motivo per cui fu ucciso. Per vivere Andrea Raia si occupava della fabbricazione dei fuochi artificiale e il lavoro non gli mancava mai. Era molto stimato e ottenne l’incarico da parte dei comitati delle feste di tutti i paesi vicini, in occasione delle ricorrenze in cui era necessario gli spettacoli con i giochi d’artificio. Era anche capace di curare molte malattie con le erbe preparava medicine naturali per guarire. La gente aveva fiducia in lui e lo consultava sempre essendo anche esperto, inoltre, nei massaggi che alleviavano i dolori muscolari o mettere a posto con adeguati movimenti le distorsioni e le lussazioni articolari. Non si faceva mai pagare per queste sue prestazioni ed era felice di mettersi a disposizione di chi ne aveva bisogno. Cosicché Raia godeva di un ampio consenso e ai suo funerali partecipò tutto il Paese di Casteldaccia mentre i mafiosi misero in giro la voce calunniosa e misera per screditare la figura dell’attivista politico-sindacale come quella di un poco di buono, donnaiolo e spesso “alticcio”. Però lo stesso maresciallo della stazione dei carabinieri di Casteldaccia scrisse in un rapporto “che la uccisione del Raia sia stata determinata dalla attività da lui svolta in favore dei granai del popolo e per la propaganda contraria che gli faceva l’Amministrazione Comunale e specialmente il Sindaco al quale era pervenuta la notizia che il Raia aspirava a sostituirlo nella carica”.Tuttavia i mafiosi con la forza della violenza riuscirono ad intimidire la maggioranza dei cittadini restando come sempre in quel periodo storico assolutamente impuniti nonostante le accuse e la testimonianza della mamma di Andrea che fece dei nomi precisi sui presunti mandanti ed esecutori dell’assassinio. Infatti la madre Rosalia Tomasello riferì che dopo l’omicidio arrivarono tra i primi i fratelli Francesco ed Onofrio Tomasello, noti pregiudicati e temibili mafiosi: «Pochi minuti dopo che mio figlio Andrea era caduto a terra davanti alla porta siccome colpito da una fucilata, […] di cui Onofrio è rimasto davanti alla porta, mentre il fratello Ciccio è entrato in casa. Nessuno dei due mi ha salutato né mi ha chiesto che cosa era accaduto. Non mi sembrarono affatto impressionati anzi abbastanza cinici. Erano appena giunti che il Tomasello Francesco rivolto al fratello Onofrio disse: “È morto possiamo andare”.
La madre di Raia non si fermò solo a queste notizie aggiunse : “Francesco rivoltosi a me in tono sommesso mi ha detto: “Perché non lo levate non vedete che è morto?”. Con le famiglie dei fratelli Tomasello non abbiamo mai tenuto buoni rapporti nonostante fossimo lontani parenti. Ci siamo però scambiati il saluto. I fratelli Tomasello non furono notati in corteo funebre in onore di mio figlio, a cui partecipò una imponente e larga rappresentanza di popolo. Tutto il paese è venuto a farmi visita. Solo le famiglie Tomasello non si degnarono farlo. (…) Io con i miei occhi ho visto due volte mio figlio insieme ai Tomasello, a Di Domenico ed altre persone del Comune e conoscendo la loro capacità a delinquere ho detto per ben dire due volte a mio figlio le seguenti parole: “La madre non voglio che tu frequenti questa compagnia”. Egli più che convinto mi rispose: “Io lo so purtroppo che debbo morire tra le loro mani”. Sono più che convinta che mio figlio è stato assassinato ad opera dei fratelli Tomasello a causa della sua condizione di membro del Comitato Popolare di Controllo, la cui attività era d’intralcio a quella dei Tomasello che assieme ad altri elementi del Comune hanno sempre sperperato ai danni dell’amministrazione comunale o della povera gente. Il rapporto giudiziario dei carabinieri fu chiaro laddove si affermava che “a spingere i Tomasello ad assassinare Raia erano state “ragioni di dominio” e la paura che Raia potesse danneggiarli nei loro traffici con il grano, oltre a farne emergere il coinvolgimento diretto del saccheggio del mulino Piraino di Casteldaccia”. Secondo gli inquirenti i fratelli Tomasello non erano gli unici ad odiare Raia “Tutti – concludeva il rapporto – temevano dal Raia una azione di controllo spietata nei confronti del passato recente e lontano, tanto da decretarne l’eliminazione”.I fratelli Tomasello furono quindi denunciati come presunti autori del delitto Raia, tuttavia il 2 luglio del 1945 vennero assolti per insufficienza di prove al processo. Quando venne ucciso Raia aveva solo 37 anni ed era un uomo intelligente e ospitale , sapeva dialogare e stare con le persone colte, di tutti i ceti sociali.
Basti pensare che la prima manifestazione pubblica per ricordare il sacrificio il valoroso sindacalista si tenne nel 1963 a Casteldaccia e così un gruppo di vecchi compagni e di giovani aprì la sezione del PCI intitolandola ad Andrea Raia, nonostante che fossero ancora viventi i presunti mandanti ed esecutori del delitto. La sfida ai mafiosi è proseguita ogni anno con forti mobilitazioni antimafia, però Casteldaccia è divenuta con la seconda guerra di mafia degli anni ottanta il tetro “triangolo della morte”. Andrea si batteva per la comunità e la solidarietà sociale mobilitando la partecipazione fisica e culturale della gente. Rifiutava l’idea che i diritti al lavoro, alla scuola ,ai servizi sociali ,siano una concessione di favore. Per lui essere antimafiosi significava lottare per cambiare la società cancellando ogni ingiustizia sociale e disuguaglianza. A Casteldaccia non è stato mai dimenticato e gli sono stati dedicati un obelisco e una via.
Nell’ambito del “progetto memoria” ad ottobre del 2019 la Cgil e il comune di Palermo gli hanno dedicato una strada del capoluogo.