L’odissea e il martirio di Lea Garofalo

Lea Garofalo era una testimone di giustizia sottoposta a protezione dal 2002 in quanto prese la decisione coraggiosa di opporsi alla ‘ndrangheta fornendo il suo contributo fondamentale per sgominare l’ organizzazione criminale che infestava il territorio. Si assunse la gravosa e rischiosa responsabilità di ribellarsi al contesto in cui viveva offrendosi di testimoniare per fare luce sulle faide interne della sua famiglia e quella del suo ex compagno Carlo Cosco.
Tutto inizia con l’arresto del fratello Floriano Garofalo il 7 Maggio 1996 quando i carabinieri scompaginarono il clan della ‘ndrangheta Comberiati – Garofalo e il fratello di Lea, boss di Petilla- Policastro,svolgeva un’attività criminale in Lombardia.
Floriano Garofalo, comunque, nove anni dopo il suo arresto l’arresto e dopo l’assoluzione al processo, fu ucciso a Petilia Policastro il 7 giugno del 2005.
Nel processo Lea venne interrogata e dichiarò che i fratelli Cosco si dedicavano allo spaccio di stupefacenti coperti dal boss Tommaso Ceraudo. Lea riferì che Floriano era stato ucciso affermò da Giuseppe Cosco (detto Totonno U lupu), appunto cognato della stessa e disse che tutto ciò si era avvenuto grazie al contributo del convivente, Carlo Cosco.
Lea era stata ammessa già nel 2002 in un programma di protezione insieme alla figlia Denise e venne trasferita a Campobasso ,mentre nel 2006 venne estromessa dal programma perché il suo apporto non era stato significativo in quanto fu ritenuta collaboratrice non attendibile. Lea fece un ricorso e si rivolse prima al Tar che respinse l’istanza e poi al Consiglio di Stato dove il ricorso venne accolto. Quindi nel dicembre del 2007 venne riammessa al programma sempre come collaboratrice di giustizia e mai come testimone, però a sorpresa nell’aprile del 2009 decise all’improvviso di rinunciare volontariamente a ogni tutela di riprendere i rapporti con la sua comunità di Petilia Policastro restando però a vivere nel capoluogo molisano per consentire alla figlia di concludere l’anno scolastico.
Il 5 maggio 2009 Massimo Sabatino tentò di rapire e uccidere Lea Garofalo presentandosi come colui che doveva aggiustarle la lavatrice rotta. Tuttavia la donna riesce a sfuggire all’agguato grazie al tempestivo intervento della figlia Denise informando immediatamente i carabinieri del fatto e si comprese del coinvolgimento dell’ex compagno che conosceva l’indirizzo della stessa.
Lea non si sentiva protetta adeguatamente e il 28 Aprile del 2009 scrisse una lettera al Presidente della Repubblica lamentando il fatto di essere stata qualificata come collaboratrice di giustizia, di non aver ricevuto un’assistenza legale adeguata, di essere stata costretta a trasferirsi in diverse città con la figlia piccola nell’ambito del programma di protezione, di non avere un lavoro, di non avere sufficienti risorse per mantenersi e per sostenere le spese degli avvocati.
Il 24 novembre del 2009 Cosco cerca un contatto con l’ex compagna nel frattempo uscita dallo speciale programma di protezione e la incontra a Milano con la scusa di parlare del futuro della loro figlia Denise. Ed proprio la sera del 24 novembre quando Lea rimase da sola senza Denise che Carlo la condusse in un appartamento dove doveva discutere con lei. In questa abitazione vi era Vito Cosco ed è qui che Lea venne uccisa. Dopo con alcuni complici Lea venne portata a San Fruttuoso,quartiere di Monza, dove la povera donna venne data alle fiamme per tre giorni fino alla completa distruzione.
Nell’ottobre del 2010 le indagini sulla scomparsa e l’omicidio di Lea portano a spiccare mandati di arresto nei confronti di Carlo Cosco e i suoi complici Massimo Sabatino, Giuseppe Cosco «Smith», Vito Cosco «Sergio», Carmine Venturino e Rosario Curcio. Altre due persone vennero arrestate per aver dato la disponibilità del terreno di San Fruttuoso dove il corpo della donna era stato bruciato.
Il processo vede la presenza della figlia della donna come testimone chiave, avendo questa deciso di testimoniare contro suo padre.
Dopo una lungo iter giudiziario Il 28 maggio del 2013 la Corte d’assise d’appello di Milano conferma 4 dei 6 ergastoli inflitti in primo grado nei confronti di Carlo e Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino; 25 anni di reclusione per Carmine Venturino e assoluzione per non aver commesso il fatto per Giuseppe Cosco. Nel dicembre del 2014 le condanne vengono tutte confermate in via definitiva dalla Cassazione. Resta indelebile l’odissea e il martirio di questa giovane donna che voleva cambiare vita per lei e la sua famiglia.