Intervista ad Antonio Ingroia: ” La trattativa Stato mafia è esistita”

Antonio Ingroia, 63 anni, palermitano ,oggi avvocato, è stato un importante magistrato che giovanissimo collaborò attivamente con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Innanzitutto la sua formazione giuridica è stata costellata da ottimi risultati universitari conseguendo con il massimo dei voti a Palermo la laurea in Giurisprudenza proprio su una tesi di diritto penale sull’associazione mafiosa . A tale proposito vinse nel 1986 il Premio Speciale dell’Istituto Gramsci Siciliano per la migliore tesi di laurea sulla mafia. Dopo poco tempo entrò in magistratura svolgendo il tirocinio professionale nel Tribunale di Palermo con Giovanni Falcone. Successivamente nel 1989 è stato nominato sostituto procuratore a Marsala ed ebbe modo di collaborare a fianco di Paolo Borsellino che in quel periodo era procuratore proprio nella città suddetta. In virtù della formazione acquisita si è occupato in questa Procura di rilevanti e delicati procedimenti penali, in modo particolare di inchieste sulla mafia,divenendo in breve tempo uno dei più qualificati e preparati magistrati della stessa Procura. Ingroia ha potuto acquisire in diverse fasi di indagine dichiarazioni e rivelazioni di importanti collaboratori di giustizia della provincia di Trapani. In quegli anni ha accresciuto in modo considerevole la sua conoscenze ed esperienza portando avanti scottanti inchieste e procedimenti penali per omicidi, anche di mafia, per reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, traffico di droga a livello locale e internazionale, del business di eroina e cocaina fra la Sicilia e altre regioni d’Italia. Questi illeciti traffici si consumavano e svolgevano in svariate parti del mondo e hanno portato alla proposizione di numerose rogatorie internazionali in Asia, Africa e America Settentrionale, Centrale e Meridionale. Non sono mancate nella sua carriera anche il perseguimento di reati contro la pubblica amministrazione che coinvolgevano burocrati, imprese e amministratori per illeciti di abuso e corruzione.
Nel 1992 venne nominato sostituto procuratore a Palermo continuando a lavorare sempre vicino a Paolo Borsellino, che nel frattempo venne incaricato dal Csm a ricoprire il ruolo di procuratore aggiunto nel capoluogo siciliano. Nell’aprile 1992 Ingroia fu nominato componente della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo e sino al 2012 è stato magistrato della Procura di Palermo come Pubblico Ministero .Tra le inchieste più importanti si devono ricordare il processo sull’omicidio del giornalista Mauro Rostagno e quello per concorso esterno mafioso a carico del Dirigente del Sisde, Bruno Contrada, che venne poi condannato con sentenza definitiva a 10 anni di carcere, anche se la Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha ritenuto che il reato ascritto all’imputato(concorso esterno alla mafia) non esisteva all’epoca dei fatti. Poi si è cimentato nel delicato processo ad uno dei fondatori di Forza Italia, l’ex senatore, Marcello Dell’Utri, che è stato condannato con sentenza definitiva a 7 anni di carcere. Tuttavia l’inchiesta più complessa che Ingroia ha iniziato è stata quella sulla trattativa Stato mafia, poi proseguita da Nino Di Matteo e altri Pm, che ormai è giunta ad un punto di svolta con il deposito delle motivazioni in cui si spiegano le ragioni dell’assoluzione degli ufficiali del Ros Mario Mori e Leonardo De Donno, mentre vengono condannati i capi mafia coinvolti nel procedimento. L’inchiesta particolarmente scottante e delicata soprattutto perché doveva consentire di fare piena luce sui torbidi intrecci e ,quindi, chiarire le motivazioni dell’accelerazione dell’attentato che portarono alla strage di Via D’Amelio in cui perse la vita l’amico e collega Paolo Borsellino. Ingroia, ormai uscito dai ruoli della magistratura, nutre speranza che il ricorso presentato dai Pm in Cassazione sull’esito del processo di secondo grado possano dimostrare le responsabilità degli uomini dello Stato e consentire di rivedere e ribaltare la sentenza in un nuovo processo nella Corte d’Appello. Bisogna comunque sottolineare che la sentenza condanna i mafiosi per avere commesso il reato di minaccia ad un corpo dello Stato assolvendo i carabinieri dei Ros ,anche se riconosce in via definitiva che l’esistenza della trattativa definendola con un eufemismo un’azione “improvvida”. Abbiamo posto alcune domande al dottor Ingroia per capire se si riuscirà mai a fare coincidere la verità giudiziaria con quella storica su quei terribili anni della stragi che hanno segnato la vita di un’intera comunità nazionale.
Come accade spesso nella storia giudiziaria una sentenza di assoluzione in secondo grado che fa seguito un’altra di condanna. Come si spiega sul piano giuridico tutto ciò, inestricabile per i comuni cittadini, in cui la prima individua gli elementi soggettivi e oggettivi di colpevolezza e un’altra che invece li esclude?
Bisogna ben spiegare ai lettori che queste sono le regole del gioco. Nei processi più complessi e delicati, come certamente è il processo sulla trattativa, è ben possibile che giudici diversi valutino in modo diverso le prove addotte dall’accusa e la linea difensiva. Perciò, fa parte della fisiologia del processo penale che i giudici di primo grado condannino e i giudici d’appello assolvano, o anche il contrario. Così come è ben possibile che i Giudici della Cassazione che saranno investiti dell’ultimo giudizio, sulla base del ricorso presentato dalla Procura Generale di Palermo, possano ribaltare ancora una volta il giudizio. E’ comunque indubbio che il diverso approccio fra i giudici di primo grado e di appello in questo processo nasconde una diversa valutazione della rilevanza penale della condotta di un uomo di Stato che trova un accordo con criminali stragisti, come i mafiosi assassini di Falcone e Borsellino, su una trattativa in corso per piegare lo Stato.
La sua inchiesta sulla trattativa proseguita da Nino Di Matteo si fondava su probabili intuizioni che erano appuntate nell’agenda rossa di Paolo Borsellino scomparsa dalla sua borsa?
Devo precisare che l’inchiesta che io ho concepito, proseguito e portato a termine fino al processo a dibattimento, poi proseguito da Nino Di Matteo, si fondava su robusti, obiettivi ed incontestabili elementi di prova. Possiamo solo ipotizzare che la famosa agenda rossa di Paolo Borsellino sia stata sottratta da una “mano di Stato” che voleva occultare altre prove della trattativa, ma si tratta di una verosimile ipotesi investigativa di cui non abbiamo prova certa.

Nella sentenza appare sin troppo evidente il tentativo di giustificare gli autori della trattativa per fini “solidaristici”, per evitare appunto altre stragi. Non le sembrano queste cupe ragioni di Stato?
E’ il tema di questa indagine che io posi in modo chiaro e netto in una pubblica intervista che all’epoca fece molto scalpore, ormai vent’anni fa. Io chiesi, lo ammetto, un po’ provocatoriamente, che se ci fosse stata una “ragion di Stato” alla base della “trattativa” i vertici delle istituzioni repubblicane avrebbe dovuto apertamente dichiararlo, con la conseguenza che noi magistrati avremmo dovuto prenderne atto, rinunciando all’azione penale. Ma chi lo avesse pubblicamente dichiarato avrebbe dovuto renderne conto davanti ai cittadini italiani: quale ragion di Stato può mai giustificare una trattativa con gli assassini di Falcone e Borsellino per di più provocando altre stragi e delitti come dimostra la prosecuzione della strategia stragista del ‘93?
Lei è stato testimone diretto di qualche confidenza scomoda del giudice nei 55 giorni del 1992 che vanno dalla strage di Capaci sino alla sua morte in Via D’Amelio?
Di molte ovviamente. Ma ormai sono tutte pubbliche, negli atti giudiziari, delle Commissioni Parlamentari Antimafie e del Consiglio Superiore della Magistratura, che mi hanno sentito. Ma, nonostante alcune rivelazioni fossero – a mio parere – enormi, non è accaduto nulla. Purtroppo, la maggioranza degli italiani è tristemente abituato ad ingoiare di tutto senza reagire. Anche perché l’informazione, complessivamente, anestetizza certe notizie che in altre parti del mondo farebbero crollare governi e regimi.

In tutte le sentenze non si è capito bene chi avrebbe delegato dall’alto i Ros ha iniziare la trattativa con la mafia per tramite Ciancimino. Che idea si è fatta?
Ho sempre ritenuto che, ovviamente, nessun alto ufficiale dei Carabinieri, per quanto autorevole, avrebbe mai potuto aprire una trattativa con i vertici di Cosa Nostra, specie nel pieno della stagione stragista del ‘92-’93, senza un avallo politico. Riconosco che la nostra indagine è rimasta una grande incompiuta perché non siamo riusciti a mettere bene a fuoco le responsabilità dei politici, di cui gli uomini degli “apparati” erano solo degli esecutori. Ma l’indagine è rimasta un’incompiuta non per nostra inerzia o responsabilità ma perché il massimo vertice dello Stato, e cioè il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si mise di traverso rispetto all’indagine con il famoso “conflitto di attribuzione” contro la Procura di Palermo, un atto apparentemente incomprensibile che ha solo una spiegazione: bisognava fermare la nostra indagine. Ed è stato un atto di ostacolo che, venendo da un così alto livello, ha raggiunto il suo obiettivo: i politici “mandanti” della trattativa non sono mai stati davvero scoperti sino in fondo.
Il famoso papello consegnato dalla mafia di Riina nelle mani di chi è giunto ?
Io credo sia raggiunta la prova che arrivò a destinazione, e cioè al Governo. Come minimo a qualche ministro del Governo. Se così è, difficile pensare che non sia arrivato ai vertici più alti dello Stato.
Si ammette nella sentenza l’apertura di una trattativa con l’ala moderata di Cosa Nostra rappresentata da Bernardo Provenzano. Non è scandaloso questo antefatto?
E’ scandaloso per chi ha un senso morale ed etico. Ma viviamo in un modo sempre più senza morale e senza etica.
Come si inquadrano nel contesto della trattativa gli omicidi Luigi Ilardo e Attilio Manca?
E’ sempre la stessa storia. Sono altre vittime della “trattativa”. Ilardo venne ucciso perché stava per rivelare alla magistratura tanti risvolti della trattativa e i responsabili politico-istituzionali di quella trattativa. E non è un caso che la mafia lo seppe certamente da altri uomini dello Stato, gli unici a conoscenza dell’intenzione di Ilardo di collaborare e raccontare proprio questi risvolti. Il medico Attilio Manca è stato ucciso dal circuito mafioso-istituzionale che proteggeva la latitanza di Bernardo Provenzano proprio perché Provenzano era il “garante” sul versante mafioso della tenuta della trattativa. Manca, che era stato contattato da quegli ambienti proprio per “curare” Provenzano durante la latitanza di quest’ultimo senza che il medico inizialmente si rendesse conto di chi era il suo “misterioso paziente”, appena cominciò a sospettare andava eliminato, e venne inscenata un finta morte accidentale o per suicidio. Tipica tecnica dei Servizi Segreti “deviati”.
Il ministro Lunardi affermò a suo tempo che bisogna abituarsi a convivere con le mafie. Non le sembra che lentamente stiamo tornando ad una lunga tregua tra Stato e mafia?
Certo. Ci siamo già e da un pezzo. E la tregua non è altro che il risultato della trattativa.
Non le sembra che la politica abbia cancellato la priorità della lotta alla mafia dai programmi dei partiti?
Assolutamente sì. La lotta alla mafia è scomparsa. Dai programmi dei partiti come dall’informazione dominante. Si è assecondato il processo di mimetizzazione ed invisibilità della mafia. Anche questo è frutto della “trattativa”. Tu Stato non mi tocchi più e io Mafia smetto di fare stragi, mi mimetizzo, fingo di non esistere…
Che ricordo personale oltre che professionale conserva di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?
Potrei raccontare mille aneddoti personali. Con una costante, un filo che li collega tutti, ed esprime la loro intransigenza etica e morale. Con la mafia non si tratta. A nessun costo. Il contrario dell’Italia degli anni dopo il loro tragico sacrificio. A prescindere dalle declamazioni in occasione dei loro anniversari. L’Italia dei decenni successivi non merita la loro eredità.
