Il libro della poetessa Rosalba De Filippis “Madrebianca”

<<Ahi che la Tigre, la Tigre
Assenza,
o amati,
ha tutto divorato
di questo volto rivolto
a voi! La bocca sola
pura
prega ancora
voi: di pregare ancora
perché la Tigre
la Tigre Assenza
o amati,
non divori la bocca
e la preghiera>>
(Cristina Campo).
A lettura finita, e più volte ricominciata, del poemetto, “Madrebianca”, di Rosalba De Filippis, prefazione di Sergio Givone( Passigli Poesia Ottobre 2022) mi risuona il salmodiante bisbigliare di una lirica- preghiera, “La Tigre Assenza”, di Cristina Campo- voce di poesia tra le più alte del 900. Il tema dell’ assenza e dell’ addio occupano l’ intero spazio poetico di questo visionario libretto. Come una tigre, divorano parole, gesti, rituali, silenzi di un vissuto di perdita, di mancanza, di lutto. Irrisolto, e sempre in agguato, pronto a ferire, a dilaniare, a dividere e a ricomporre in un legame indissolubile il definitivo distacco di una madre dalla propria figlia. Una madre che non si arrende alla morte e più volte resuscita dal suo bianco sonno, evocata, ora da un profumo di lavanda, ora dal volo di una rondine, o da un fiore di bocche di leone- “nate a caso[…]a raso di altre piante nell’orto scalcinato tra le foglie del limone/o sul gradino liscio di un dolore”. Una figlia altrettanto indomabile nell’ostinazione a non lasciare morire la propria madre, a volerla strappare a un altrove a lei precluso- “datemi il corpo di mia madre”- aggrappandosi a ” falde di gonne svasate/e vestaglie granaglie spilloni”, invocando- “portami un colore, /una matita, /lo sfolgorio preciso delle dita, /la luce dell’estate e delle cose, /disegnami, ti prego, delle rose/ in questa notte bianca”.
Solo nella memoria poetica, non negl’inaffidabili ricordi, può ricomporsi il puzzle di una quotidianità terrena che la morte ha fatto a pezzi e disperso- “ho perso le strade per cercarti”. Ma nel non luogo della poesia può accadere che la madre rinasca dal gelo del suo inverno-“riaffiori dal tuo sonno all’improvviso/e fuggono le code dei tuoi sogni/ come girini sotto i sassi bianchi”- anche se il suo risveglio porta scompiglio e rinnovato dolore nel tran tran dei giorni, faticosamente ricostituito, della figlia. “Non vorrei il tuo ritorno/ sarebbe per poco/e mi dovrei piegare/ a salutarti ancora/ sulla soglia/ la scarpa storta sopra il pavimento”.
Madre-vita, madre-morte, figlia che si fa madre della propria madre nell’ ineluttabilità della fine: tra questi due poli antiteci, in una circolarità di richiami e di rimandi, si svolge il dramma dell’ umana esistenza. Della commistione tra inizio e fine, in un’atemporale insolubile continuità- unica forma di immortalità concessa ai morenti-è permeato il discorso poetico di Rosalba De Filippis. Un discorso laico che niente concede a visioni ultraterrene, pur cogliendo la sacralità del vivere e del morire- “eppure/uscendo/ mi segno/la casa è più sacra/ lasciata in silenzio”. Da qui l’ originalità del linguaggio di “Madrebianca”, che attinge a figure retoriche come la reiterazione, il simbolismo, l’ ambivalenza metaforica dello stile sapienziale, pur nell’uso di termini e di frasi colloquiali. Questo mix di inquieta sensibilità e di sobrietà espressiva, l’alternarsi di toni accesi e di atmosfere pacificate conferiscono al poemetto un’aura di spaesamento di forte impatto lirico, e una classica inattuale dimensione, che oltrepassa i labili confini del qui e ora.